venerdì 12 febbraio 2021

Gli insidiosi keynesiani da salotto

 

Gli economisti possono essere divisi in tre categorie, sulla base delle loro opinione in merito all’opportunità e utilità dei deficit di bilancio.

La prima categoria la denomino “euroausterici”. Vi appartengono i sostenitori del pareggio di bilancio, se non addirittura della virtuosità dei surplus nei conti pubblici. Non si trovano solo nei paesi appartenenti all’Eurozona, ma fanno danno soprattutto lì, perché l’austerismo permea i trattati e i meccanismi che governano il funzionamento dell’eurosistema. Sul piano teorico e concettuale, tuttavia, sono completamente screditati.

La seconda categoria è quella dei “gufi del deficit”, denominazione che danno di se stessi, in particolare, gli aderenti alla MMT. Nelle loro parole: non siamo né “falchi” né “colombe”. Siamo gufi del deficit perché sappiamo che un paese dotato della sua moneta può sempre finanziare il suo deficit emettendo la moneta stessa (o emettendo debito espresso in quella, che è pressoché la stessa cosa, dal punto di vista della solvibilità).

I “gufi del deficit”, con saggezza da gufi (appunto), non si preoccupano del livello del deficit, né del debito, pubblico. Sanno che il deficit deve essere quanto serve a portare il sistema economico al pieno utilizzo delle proprie risorse produttive, senza generare livelli eccessivi d’inflazione. Il deficit è lo strumento per immettere potere d’acquisto nel sistema economico, ed è la via più potente per assicurare il pieno impiego.

La terza categoria è quella che ho battezzato “keynesiani da salotto”. Sono quelli che hanno capito le cose a metà. Concordano che quando esiste forte disoccupazione i deficit di bilancio pubblico sono necessari. Ma si lambiccano con astruserie tipo “la relazione tra r e g”, dove r è il tasso d’interesse e g il tasso di crescita nominale dell’economia. Se r supera g, argomentano, si rischia una spirale di crescita ininterrotta del debito pubblico.

I “keynesiani da salotto” ignorano fatti rilevanti, ormai comprovati. Tra i quali (1) il fatto che uno Stato che emette la sua moneta non ha bisogno di emettere debito (2) se decide di farlo, ovvero se decide di offrire una forma di impiego senza rischio ai risparmiatori, può fissare a piacimento il livello del tasso d’interesse su quell’impiego.

Il capofila dei keynesiani da salotto è probabilmente Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale.

I keynesiani da salotto per certi aspetti sono ancora più insidiosi degli euroausterici. Al contrario di questi ultimi, non sono screditati, suggeriscono interventi di politica economica in molti casi analoghi a quelli sostenuti dai gufi del deficit, ma sempre con il freno a mano mezzo tirato, sempre con retropensieri insensati che li spingono ad arzigogolare su livelli massimi di deficit e di debito, su “limiti di velocità” che non sono quelli reali, a pensare che il vincolo alla crescita non siano le risorse produttive fisiche, ma grandezze finanziarie che il settore pubblico può invece emettere a costo zero.

La battaglia concettuale (anche se purtroppo non ancora, in particolare nell’Eurozona e in Italia, quella politica) contro gli euroausterici è vinta. La battaglia contro i keynesiani da salotto non ancora. E’ importante riuscirci: i falsi amici portatori di mezze verità possono essere più insidiosi degli avversari dichiarati.

 

4 commenti:

  1. Alfredo Casera: Ma sta cosa la proponi stando nell'euro o uscendone?

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    1. O rimuovi i vincoli dell'eurosistema (per esempio emettendo CCF) o ne esci. Restare così porta l'Italia alla catastrofe.

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    2. Alessandro Carità: sta cosa non c'entra niente con i metodi di uscita, è relativa alle scuole di pensiero.
      Se l'Italia fosse sovrana, il problema dei keynesiani da salotto rimarrebbe tale e quale.

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    3. Ma sarebbero molto meno in grado di fare danni, perché sarebbe molto più evidente che i vincoli di cui parlano sono immaginari.

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