venerdì 17 giugno 2016

“Moneta fiscale”: le disfunzioni dell’euro sono risolvibili

L’uscita “secca” dall’euro è un’opzione molto difficile da percorrere, e questo sta diventando evidente anche agli schieramenti politici che, con ragioni molto fondate, criticano l’attuale conduzione economica dell’Eurozona. Non è chiaro come potrebbero essere gestite le tensioni e l’instabilità che si produrrebbero sui mercati finanziari nell’imminenza di un “break-up”. A maggior ragione se la decisione fosse sottoposta a un referendum preventivo, che ha tempi non brevi di attuazione e incertezze in merito al risultato finale.

La “moneta fiscale” supera questi problemi perché consente di creare potere d’acquisto e liquidità complementare rispetto all’euro, senza mettere in atto rotture.

La “moneta fiscale” potrebbe essere introdotta sotto forma di Certificati di Credito Fiscale (CCF), titoli utilizzabili per ridurre pagamenti dovuti alla pubblica amministrazione (tasse, imposte, contributi eccetera) a partire da una certa data futura: per esempio, due anni dopo l’emissione.

Il M5S ha già presentato un progetto di legge (elaborato a cura del deputato Girolamo Pisano) per una prima applicazione dei CCF, in particolare rivolta ai settori delle ristrutturazioni e dell’edilizia sostenibile. Ma i CCF possono costituire la base di un progetto di rilancio economico molto più ampio.

I CCF possono, infatti, essere assegnati gratuitamente a lavoratori e pensionati per integrare i loro redditi, e alle aziende per ridurre i costi di lavoro lordi e migliorarne immediatamente la competitività. Potrebbero inoltre finanziare iniziative di spesa sociale quali il reddito di cittadinanza, nonché investimenti e opere di pubblica utilità.

I CCF sono un credito tributario non pagabile in euro, e ai sensi dei regolamenti Eurostat non costituiscono indebitamento. A differenza di BOT e BTP, non vengono emessi per raccogliere denaro che deve essere restituito alla scadenza. Non interferiscono quindi, al momento dell’emissione, con i parametri imposti dai trattati e dalle normative europee.

Per chi li riceve, peraltro, i CCF hanno valore immediato, perché costituiscono un diritto patrimoniale (diritto a beneficiare di sconti d’imposta) di importo finale certo. Il ricevente li può quindi convertire in euro vendendoli sul mercato finanziario come un normale titolo di Stato, o anche utilizzarli come corrispettivo per acquisti di beni e servizi con controparti disposti ad accettarli.

L’assegnazione di CCF stimola quindi una forte ripresa dell’occupazione e del PIL, che produrrà anche maggiori entrate fiscali lorde, più che sufficienti a compensare la perdita di gettito prodotta dai CCF stessi quando giungeranno a scadenza e cominceranno a essere utilizzati. In tal modo, l’Italia può rimettere in modo l’economia e, nello stesso tempo, avviare una rapida riduzione del rapporto debito pubblico / PIL.

La “moneta fiscale” è una strada molto più semplice e meno traumatica dell’uscita “secca” dall’euro. Potrebbe andare nel tempo a sostituire totalmente l’euro, creando le condizioni per un’uscita “morbida”; ma potrebbe anche costituire uno schema permanente, adottato anche da altri paesi dell’Eurozona, per riavviare la crescita dell’occupazione e del PIL, risolvere finalmente la crisi economica, e sgombrare il campo dai rischi impliciti nell’attuale struttura disfunzionale dell’Eurosistema.

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