sabato 2 dicembre 2017

I tempi di reazione dell'economia italiana

Scambiando opinioni qualche giorno fa con Claudio Nesti, è emerso il tema dei tempi di reazione sull’economia di un’azione espansiva della domanda.

In altri termini, se immetto potere d’acquisto aumentando la spesa pubblica o i trasferimenti, oppure diminuendo le tasse, mi attendo un beneficio su produzione e occupazione.

Questo beneficio richiede che esistano massicce quantità di capacità produttiva inutilizzata: se l’economia fosse in situazione di pieno impiego l’effetto sarebbe sui prezzi (quindi si creerebbe inflazione indesiderata), non sulle quantità prodotte e vendute. Ma il sottoutilizzo della capacità produttiva – che va di pari passo con elevate disoccupazione e sottoccupazione – è esattamente la situazione odierna dell’Italia.

Detto ciò, il beneficio in quali tempi si concretizza ? immediatamente ? in pochi mesi ? in un anno ? in parecchi anni ? Nelle varie analisi e simulazioni effettuate riguardo al progetto CCF, si è sempre supposto che si verifichi entro i dodici mesi successivi all’immissione di domanda nell’economia.

Più a lungo termine, ci saranno con ogni probabilità ulteriori vantaggi in conseguenza del riavvio degli investimenti privati: ma questo avverrà molto più gradualmente, via via che si riassorbirà la capacità inutilizzata e le aziende avranno quindi stimolo e interesse a investire, non solo a riavviare gli impianti fermi o che comunque oggi funzionano a basso regime.

Ma l’impatto diretto, dicevo, è stato stimato aver luogo entro dodici mesi.

La plausibilità di questa stima è rafforzata dal fatto che tra il 2011 e il 2012 è avvenuto, proprio (ahinoi) in Italia, un “esperimento naturale” in cui una violenta azione fiscale (di segno opposto, contrazione invece di espansione) è stata effettuata in omaggio alle “prescrizioni” UE.

Le azioni restrittive, condotte soprattutto mediante aumenti di tasse e riduzioni di trasferimenti, hanno avuto luogo grosso modo in tre fasi. La prima nel secondo trimestre 2011; la seconda a fine estate; e la terza (la più violenta) a inizio 2012, dal governo Monti appena insediato.

Lo scopo era “riportare sotto controllo lo spread”: come è noto, un fallimento totale. Lo spread era ancora a 500 punti nel luglio 2012 ed è sceso in modo permanente solo quando, finalmente, la BCE si è decisa a fornire ai mercati una garanzia realmente ferma e credibile in merito alla sua volontà di agire per evitare la rottura dell’euro (il famoso “whatever it takes” di Draghi).

Ma gli impatti sull’economia reale italiana si stavano purtroppo producendo, perché il segno delle azioni fiscali restrittive non è certo stato invertito. E come si vede da questo ormai celebre (o famigerato) grafico, il PIL italiano ha iniziato IMMEDIATAMENTE a flettere in corrispondenza del primo pacchetto restrittivo (secondo trimestre 2011) per poi continuare fino, grosso modo, a inizio 2013 (un anno dopo l’ultima pesantissima azione di Monti).



Da lì in poi si è smesso di violentare ulteriormente (quantomeno, non più in modo così feroce e dissennato) la domanda interna italiana, e la curva del PIL si è stabilizzata.

Sventuratamente, la stabilizzazione è avvenuta a livelli ben più bassi dei precedenti, con il connesso effetto di disoccupati, aziende fallite, esplosione di persone gettate in povertà. Per poi lasciar posto, dal 2014 in poi, alla modestissima attuale “ripresa” a ritmi dello zero virgola o dell’uno virgola, del tutto insufficienti ad alleviare il pesantissimo disagio sociale prodotto dalla crisi.


I pacchetti di euroausterità del 2011-2012 danno comunque un’indicazione molto chiara in merito ai tempi di impatto di un’azione sulla domanda: iniziano in modo pressoché immediato, e sviluppano pienamente i loro effetti (quelli diretti, gli effetti indotti sugli investimenti sono più lenti e graduali) entro, all’incirca, un anno.

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