Mi ha fatto
sorridere un articolo in cui mi sono imbattuto pochi giorni fa. L’autore, tale
James Rickards, secondo la biografia pubblicata su Wikipedia vanta credenziali
non esattamente lusinghiere. E’ stato infatti responsabile per gli affari
legali di Long-Term Capital Management, un hedge
fund il cui collasso nel 1998 ha portato il mondo a un pelo da una crisi
finanziaria ed economica generale (obiettivo poi “conseguito” a seguito del
fallimento Lehman Brothers, dieci anni dopo).
E’ giusto precisare che probabilmente
non è stata colpa sua: il responsabile affari legali non prende (in genere)
decisioni sugli investimenti.
Più di recente,
nel 2009, Rickards ha dichiarato che “il dollaro USA stava per cadere in uno
stato di iperinflazione”. Previsione che si è rivelata errata quanto poche
altre.
Rickards ad ogni
modo non sembra aver perso la fiducia in sé stesso e nelle proprie idee.
Nell’articolo citato, ci fa sapere di aver identificato il “difetto
fondamentale” della MMT. Secondo la Modern Monetary Theory (che, è giusto
ricordare, ha ripreso un concetto alla base del cartalismo di Friedrich
Knapp), la moneta deriva il suo valore dal fatto che lo Stato la accetta in
pagamento delle tasse.
Rickards afferma
che questo concetto ha una “lacuna fatale,” in quanto esistono modi per
detenere ricchezza senza mai pagare tasse. Per esempio, se si possiedono azioni
o terreni o oro, senza mai venderli in quanto li si detiene per lasciarli ai
propri eredi, nessuna tassazione è dovuta, né oggi né in futuro.
Rickards afferma
che “di conseguenza” la tesi del valore della moneta derivante dall’utilizzabilità
per pagare tasse cade. La fonte del valore sarebbe, invece, la “fiducia” –
concetto non meglio precisato.
L’argomentazione
di Rickards è francamente scombiccherata. In primo luogo, un individuo che
detiene tutto il suo patrimonio in attività destinate a non essere vendute per
tutta la sua vita è una pura astrazione: in realtà non esiste. Di che cosa
campa questo signore, nel frattempo ?
Casomai
bisognerebbe immaginare una persona che detiene la sua ricchezza in forma di
cash, in misura sufficiente per tutta la sua esistenza, e lo consuma
gradualmente. Un individuo con queste caratteristiche è decisamente raro,
ammesso che esista.
In realtà,
peraltro, esistono molte forme di imposizione patrimoniale e sui consumi che
vengono subite anche dall'ipotetico soggetto che non genera mai, nel corso
di tutta la sua esistenza, un reddito tassabile: imposte sulle vendite, sul
valore aggiunto, sul possesso di immobili, sulla ricchezza finanziaria, sulle
successioni, accise sui carburanti, eccetera.
E comunque, se
anche questo “non-pagatore integrale di tasse” esistesse, si tratterebbe
evidentemente di un’assoluta eccezione. Perché in qualsiasi economia sviluppata
il settore pubblico preleva, sotto forma di tasse, imposte, accise, contributi
eccetera, una percentuale del PIL di solito compresa tra il 30 e il 50%. Anche
per il “non-pagatore integrale” le tasse giustificano, quindi, il valore della
moneta. Se pure non le paga lui, sa perfettamente che la moneta in suo possesso
potrà essere ceduta, in cambio di beni e di servizi, ad altre persone che le
tasse, invece, le pagano, e per le quali quindi la moneta ha valore. E si
tratta evidentemente della stragrande maggioranza della popolazione.
Non si è mai
sentito dire, del resto, che la moneta non abbia valore per gli evasori fiscali
(anzi…).
Certo, anche una
moneta, o un surrogato di moneta, non accettato a fini fiscali ma utilizzato
nell’ambito di un “circuito di compensazione multilaterale” può avere valore, in
presenza di opportuni accordi contrattuali e di una piattaforma di scambio ben
organizzata: vedi i casi del WIR elvetico o del Sardex. Ma l’utilizzabilità
fiscale è uno strumento di accettazione molto più potente, perché mette in
gioco il soggetto economico in assoluto, in qualsiasi paese, di maggior peso – il settore pubblico.
Per queste
ragioni, il presupposto del cartalismo e della MMT è assolutamente valido. E si
applica, infatti, anche al progetto Moneta Fiscale / CCF.
Detto ciò, un livello di emissione monetaria, SE crea eccessiva spinta sulla domanda – eccessiva rispetto alle dimensioni
dell’economia e agli incassi fiscali – può creare effetti
inflattivi che minano il valore della moneta. Ma è un altro discorso, e non
inficia il concetto che “taxes drive
money”.
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