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domenica 14 luglio 2019

L'equivalenza ricardiana è difendibile ?


Un Gentile (anonimo) Lettore ha commentato l'ultimo articolo del blog nei termini seguenti.

“Monacelli è un ordinario di economia monetaria. Pur se il concetto di equivalenza ricardiana è discutibile (e se ne discute da decenni, in modo più approfondito da Barro in poi) posso far notare che l’atteggiamento di supponenza (“il peso che merita… nessuno”) e il modo sbrigativo con il quale trattate questioni complesse (i saldi settoriali… sic!!) da un lato non vi fa onore, dall’altro induce il sospetto di una certa povertà di conoscenza che può preoccupare. Capisco che un blog porti a semplificare, ma c’è modo e modo, a mio avviso. PS Monacelli non ha bisogno della mia difesa, ma è tornato un paio di settimane fa da Londra, dove la Bank of England era interessata ad ascoltare il suo parere. Sarei un filo più cauto nei giudizi sommari, per quello che conta (temo nulla, visto il tono dei commenti…) Saluti.”

Caro Gentile Lettore, la ringrazio dell’intervento e mi fa piacere risponderle. E tuttavia, senza intenti polemici, mi sento di iniziare osservando che il commento sbrigativo, qui, è il suo (“i saldi settoriali…sic!!”). A me non pare di essere stato sbrigativo, casomai sintetico (ma la sintesi non è un difetto, se non pregiudica la chiarezza) nel far notare che l’equivalenza ricardiana è un concetto largamente screditato, da molto tempo, e che comunque non c’è alcuna ragione di chiamarla in causa per spiegare la correlazione tra alto debito pubblico e alto risparmio finanziario privato interno, in paesi con saldi commerciali esteri in equilibrio o positivi.

Monacelli è professore ordinario in Bocconi, certo. L’ho scritto io stesso all’inizio dell’articolo che lei ha commentato. Ma fosse anche un premio Nobel, resterebbe a mio modesto avviso applicabile l'insegnamento di un Nobel vero, Richard Feynman:

“Non abbiate alcun rispetto per l’autorità. Dimenticate chi ha detto una cosa, e guardate invece da dove parte, dove finisce, e chiedetevi “è ragionevole” ?”

Dove “non avere rispetto” non significa “mancare di rispetto”. Significa “non avere timori reverenziali”.

Essere un professore ordinario rende magari più facile far conoscere il proprio pensiero, compreso eventualmente alla Bank of England. E’ anche legittimo – visto che le informazioni sono tante, tutto non si può leggere, e un criterio di selezione bisogna pur darselo – adottare come principio “quando leggo di economia, ignoro tutto salvo che sia scritto – minimo – da un professore ordinario”.

Se lei avesse adottato questo principio, non avrebbe letto né commentato il mio articolo, visto che io non sono professore ordinario di nulla.

Ma avendolo, invece, letto e commentato, l’argomentazione che “Cattaneo è in disaccordo con Monacelli, quindi… (?)”, mi scusi tanto, non argomenta niente e di conseguenza non conduce a una discussione proficua.

Mi fornisca invece, se ritiene, le sue (o di qualcun altro, magari di Monacelli stesso, se lo conosce e ha occasione di sentirlo) ragioni di contrasto alle mie obiezioni. Le pubblicherò con piacere e ne nascerà, nel caso, un confronto utile.

venerdì 5 luglio 2019

La (dis)equivalenza ricardiana


Tommaso Monacelli, professore ordinario di economia politica in Bocconi, qualche giorno fa ha formulato (su twitter) una serie di affermazioni che meritano alcuni commenti.

Alcuni paesi con alto livello di indebitamento pubblico, come il Giappone (ma come anche l’Italia) sono nello stesso tempo caratterizzati da alti livelli di risparmio finanziario privato interno. In altri termini, lo Stato emette debito e i privati risparmiano.

Secondo Monacelli, questo sarebbe spiegato dall’”equivalenza ricardiana”: il principio secondo il quale se uno stato spende più di quanto preleva in tasse, i cittadini si rendono conto che le tasse dovranno aumentare in futuro (o la spesa dovrà essere tagliata) e quindi risparmiano per far fronte alle future restrizioni fiscali.

Ne segue che i deficit pubblici non stimolano la domanda perché, in generale e soprattutto se il debito pubblico è già elevato, i soldi immessi nell’economia vengono risparmiati e non spesi.

L’equivalenza ricardiana in realtà è un concetto, per citare Paul Krugman, dubbio (io direi anche di peggio…) perché “ben poche persone hanno le conoscenze o l’inclinazione necessarie a stimare l’impatto dei budget pubblico corrente sulle tasse che dovranno pagare nel corso della loro vita”.

Del resto a quanto pare lo stesso Ricardo aveva formulato il concetto, ma dopo averci riflettuto non ne era affatto convinto. Spiega la Wikipedia inglese: “Ricardo nota che la proposizione è teoricamente implicita in presenza di un’ottimizzazione intertemporale effettuata da contribuenti fiscali razionali: ma poiché i contribuenti non agiscono così razionalmente, la proposizione in pratica non è vera. Quindi, nonostante la proposizione porti il suo nome, non sembra che Ricardo ci credesse”.

E infatti la correlazione tra debito pubblico e risparmio privato si spiega in tutt’altro modo, come Monacelli saprebbe se capisse i saldi settoriali. Un’immissione di potere d’acquisto effettuata dal settore pubblico incrementa il risparmio finanziario privato anche se il maggior potere d’acquisto viene speso e non risparmiato. Il motivo è semplice: la spesa di qualcuno è il reddito di qualcun altro. Se io ricevo soldi dal governo (o me ne rimangono di più in tasca perché mi abbassano le tasse), anche se li spendo, creerò reddito e risparmio a favore di altri soggetti.

Questo qualcun altro naturalmente potrebbe essere un fornitore straniero di beni o servizi. Ma se l’immissione di potere d’acquisto è effettuata senza che peggiorino i saldi commerciali esteri, il risparmio finanziario rimarrà all’interno del paese.

Per questa ragione in paesi come l’Italia e il Giappone, i cui saldi commerciali esteri sono tendenzialmente positivi o quantomeno in pareggio, l’alto debito pubblico va di pari passo con l’alto risparmio finanziario privato.

L’equivalenza ricardiana, la presunta tendenza di cittadini e aziende a effettuare complesse valutazioni e previsioni che li spingerebbero a risparmiare oggi in previsione di restrizioni fiscali future (come poi se qualcuno fosse in grado di effettuarle, previsioni del genere…) non c’entra proprio niente.


domenica 28 aprile 2019

La normalità del deficit pubblico


E’ da poco uscito un testo di grande interesse, “Macroeconomics” di William Mitchell, Randall Wray e Martin Watts. Ne raccomando la lettura perché si tratta della più sistematica e completa esposizione, tra quelle fin qui disponibili, della Modern Monetary Theory (MMT). Non so quando sarà pubblicata la traduzione italiana, ma penso a breve.

Un concetto chiave della MMT è quello dei saldi settoriali. Nel testo sopra citato lo trovate esposto in modo tecnico ed esaustivo. Ma il concetto base è semplice e può essere riassunto come segue.

Il risparmio finanziario privato interno (RFPI) di un paese corrisponde, evidentemente, alla differenza tra gli incassi di aziende e famiglie, e i pagamenti effettuati per l’acquisto di beni e servizi.

Ci sono solo due modalità tramite le quali si può formare RFPI.

La prima è che il paese produca un surplus delle partite correnti. Questo corrisponde a dire che i pagamenti ricevuti dall’estero per vendite di beni e servizi, più il reddito degli investimenti effettuati all’estero, più trasferimenti unilaterali tipo le rimesse degli emigrati, ecceda i pagamenti effettuati all’estero a fronte di analoghe causali. Un surplus delle partite correnti crea risparmio finanziario all’interno del paese; un deficit, al contrario, aumenta le passività finanziarie nette.

La seconda modalità è che il settore pubblico del paese sia in deficit. Il deficit pubblico significa, infatti, che le pubbliche amministrazioni effettuano più pagamenti di quanti ne ricevono. Questa differenza incrementa il risparmio privato. Il surplus del settore pubblico, al contrario, lo diminuisce.

Vediamo un esempio delle implicazioni di tutto ciò per tre paesi: USA, Germania e Italia. I dati sono in percentuale del PIL e si riferiscono alle previsioni per l’anno 2019 recentemente elaborate dal Fondo Monetario Internazionale.

USA
Surplus / (deficit) delle partite correnti (1)                     -2,4%
Deficit / (surplus) del settore pubblico (2)                      +4,6%
Risparmio finanziario privato interno (1+2)                   +2,2%

Germania
Surplus / (deficit) delle partite correnti (1)                     +7,1%
Deficit / (surplus) del settore pubblico (2)                      -1,1%
Risparmio finanziario privato interno (1+2)                   +6,0%

Italia
Surplus / (deficit) delle partite correnti (1)                     +2,9%
Deficit / (surplus) del settore pubblico (2)                      +2,7%
Risparmio finanziario privato interno (1+2)                   +5,6%

Per tutti e tre i paesi è prevista, nel 2019, una generazione di RFPI: poco più del 2% del PIL per gli USA, 6% o poco meno per Germania e Italia.

Ma le strade tramite cui questo risparmio si genera sono alquanto diverse.

Gli USA hanno un saldo negativo delle partite correnti, e lo coprono con un deficit del settore pubblico: avanzano un paio di punti di RFPI.

La Germania ha un enorme saldo attivo delle partite correnti. Il surplus di bilancio pubblico lo erode parzialmente, lasciando comunque sei punti percentuali di RFPI.

L’Italia ha un rilevante surplus delle partite correnti (anche se non delle dimensioni eclatanti di quello tedesco) e un deficit di bilancio pubblico. Questi due fattori concorrono in misura all’incirca uguali alla formazione di RFPI (a livelli vicini a quelli tedeschi).

Ora, una conseguenza di tutto ciò è che se prendiamo in considerazione l’economia mondiale, in un qualsiasi anno, una cosa di cui possiamo essere certi è che il saldo mondiale delle partite correnti è esattamente zero. I pagamenti effettuati tra un paese e l’altro sono per definizione pari agli incassi. Perché i pagamenti di qualcuno sono gli incassi di qualcun altro.

Questa è una pura e semplice identità contabile.

Non è invece un’identità contabile, ma penso sia facile convenire che si tratta di una situazione auspicabile e normale, che il totale mondiale del risparmio finanziario privato sia positivo. E’ normale e auspicabile, in altri termini, che nel complesso aziende e famiglie incrementino il loro risparmio finanziario netto.

La normalità per l’economia mondiale deve allora essere qualcosa del genere:

Mondo
Surplus / (deficit) delle partite correnti (1)                     +0,0%
Deficit / (surplus) del settore pubblico (2)                      +x%
Risparmio finanziario privato interno (1+2)                   +x%

Se l’obiettivo, in altri termini, è che nel mondo si formi un risparmio finanziario privato pari al 4%, il totale dei deficit pubblici deve essere anch’esso pari al 4% del PIL mondiale.

Il pareggio, per non dire il surplus, del bilancio pubblico non sono quindi una “virtù”. Sono un’anomalia, che un paese può sostenere nel tempo solo se produce altissimi surplus delle partite correnti (il che significa che altri paesi dovranno essere in deficit per pari importi).

Come possiamo allora definire la richiesta del Fiscal Compact, per i paesi UE che vi hanno aderito, di puntare al pareggio del bilancio pubblico ? e la medesima prescrizione recepita nell’articolo 81 della Costituzione italiana ?

A me viene in mente “bestialità contabile”. Che ne dite ?