Il tormentone greco
è prossimo a ripartire, com’era ampiamente prevedibile fin dalla firma del
catastrofico (per i greci) e irrilevante (dal punto di vista della possibilità
che mettesse fine alla crisi) accordo del luglio 2015.
In questi giorni
se ne sta parlando parecchio, a seguito della pubblicazione, a cura di
Wikileaks, di presunte intercettazioni telefoniche relative a un colloquio tra
alti funzionari del Fondo Monetario Internazionale.
E’ utile chiarire,
andando al nocciolo, quali siano i termini del dibattito tra FMI e Unione
Europea. Alcune ricostruzioni mettono il FMI in luce positiva, in quanto sta spingendo
per una riduzione dell’indebitamento che grava sulla Grecia.
Altri commentatori
fanno notare che questa riduzione comporterebbe di accettare, da parte della
Grecia, misure di austerità (ulteriori tagli di spesa sociale e incrementi di
tassazione) ancora più severe di quelle che la UE sembrerebbe disponibile a
concordare.
In realtà i “buoni”
in questa vicenda non esistono. E’ vero che il FMI preme per una riduzione dell’indebitamento
greco, ma il motivo è che si rende perfettamente conto che il debito greco non
è sostenibile, in presenza di politiche che continuano a comprimere PIL e occupazione.
Se - dicono al FMI - dobbiamo
rientrare nel quadro esponendoci con ulteriori finanziamenti (che, è bene
ricordare, non andranno a sostenere la ripresa dell’economia greca, ma a
ridurre l’esposizione di UE, BCE e stati membri dell’Eurozona) vogliamo che il debito totale sia preventivamente ridotto.
Il motivo è che il
FMI sa fare i conti discretamente bene, ed è consapevole che il debito greco è
fortissimamente a rischio di non essere ripagato. Se su 300 miliardi di debito
totale ne rientreranno poniamo 100, e oggi il FMI si espone per 30, finirà per
perderne 20 e recuperarne 10.
Se invece,
preventivamente, si verifica uno stralcio del debito totale da 300 a 200, non
verranno persi due terzi del debito ma solo il 50%. Sempre presumendo che il
FMI eroghi 30, ne recupererà in questo caso 15 – cinque in più.
La UE continua
invece a sostenere la finzione che il debito sia interamente ripagabile (magari
con allungamenti di scadenze e riduzioni di tassi d’interesse). Tutto ciò in
costanza delle attuali politiche di austerità: quindi mantenendo viva la leggenda
che l’austerità e le “riforme” produrranno, in un futuro non ben precisato, la
ripresa dell’economia.
Il dibattito tra
il creditore attuale (la UE) e il creditore potenziale (il FMI) si riduce al
fatto che quest’ultimo non vorrebbe rientrare nel quadro dell’operazione ma subisce
pressioni politiche. Cerca quindi, se proprio ci sarà costretto, di minimizzare
rischi e onerosità (per se stesso) dell’intervento.
Quanto al fatto
che la UE accetterebbe misure di austerità un po’ meno pesanti di quelle
richieste dal FMI, ammesso che sia vero è spiegato solo dal fatto che il FMI è
un po’ più realista nello stimare gli effetti delle misure. Che produrranno incrementi
del surplus di bilancio pubblico molto modesti in quanto, come al solito, l’austerità
sconfiggerà se stessa – provocherà un peggioramento ulteriore dello stato dell’economia
che vanificherà, in larga misura, i benefici (per il surplus) delle azioni
intraprese. Diventa quindi necessario chiedere molto per ottenere (forse) un
minimo beneficio (beneficio per i creditori s’intende, e a prezzo di ulteriori
pesanti danni per l’economia e per la popolazione greca).
Purtroppo la cosa
certa, dal punto di vista greco, è che tutto questo non risolverà ancora nulla.
Prospettive di ripresa non ce ne sono, in quanto qualsiasi tipo di accordo i
creditori finiscano per definire non contemplerà azioni di rilancio dell’economia.
E l’ammontare del debito, 200 o 300 che sia, è un numero appeso in aria – è
comunque non rimborsabile in costanza delle attuali politiche.
Le soluzioni
sensate (rilanciare domanda, occupazione e PIL) continuano a non essere discusse.
E le strade che non si sono percorse nel 2015 – strumento monetario parallelo o uscita secca dall'euro – restano in secondo piano, come possibilità che non si
vogliono concepire. Per ora.