domenica 29 dicembre 2013

Spagna, Italia, e il (solito) equivoco sul debito pubblico


Maurizio Gustinicchi illustra qui benissimo che la presunta ripresa dell’economia spagnola (presunta in quanto i dati macroeconomici 2013 sono di forte calo del PIL reale, un po’ meno disastroso di quello italiano, ma forte calo comunque) è in realtà tutta dovuta al fatto che la UE ha consentito un grosso sforamento del vincolo del 3% (relativo al rapporto deficit pubblico / PIL).

Vincolo al cui rispetto l’Italia è stata invece “millimetricamente” inchiodata.

Ritengo tuttavia utile commentare il cappello che il blog “Rischio Calcolato” mette in testa all’articolo, in particolare dove dice:

“La differenza tra Spagna e Italia è che loro il jolly dell’aumento debito / PIL se lo possono ancora giocare (sono sotto il 90%), noi ce lo siamo già giocato dai tempi di Craxi, Andreotti e Forlani”.

L’affermazione lascia intendere che lo sforamento è stato consentito alla Spagna (ma anche all’Irlanda, e in misura minore alla Francia) e non a noi perché il debito / PIL italiano è più alto (oltre il 130%, ormai).

Bene, può darsi che queste siano stata effettivamente le motivazioni di quanto stabilito dalle menti illuminate di Bruxelles. Ma se è così sono basate su analisi completamente sbagliate.

Se all’Italia fosse stato consentito un deficit / PIL più alto, per esempio di cinque punti percentuali (8% invece di 3%), il PIL italiano 2013 sarebbe stato nettamente più elevato.

Ipotizziamo che cinque punti di deficit in più (quindi di maggiore spesa pubblica al netto di minori tasse) si fossero tradotti in cinque punti di maggior PIL.

E’ un’ipotesi con ogni probabilità cautelativa, perché non tiene conto che, partendo da una situazione depressa, lo stimolo dato dal maggior deficit si traduce in una crescita di domanda e PIL in rapporto maggiore di 1:1. E nemmeno che il maggior PIL produce maggiori incassi fiscali, che a loro volta limitano l’incremento del deficit.

E’ anche vero, d’altra parte, che maggior domanda interna implica maggiori importazioni, che in parte riducono il beneficio sul PIL. Qui peraltro si sarebbe potuto senza difficoltà compensare l’effetto, destinando una parte delle risorse liberate dall’allentamento del vincolo deficit / PIL alla riduzione delle imposte sui costi di lavoro sostenuti dalle aziende (quindi del cuneo fiscale). Ottenendo così un almeno parziale riallineamento della competitività italiana rispetto a quella nordeuropea (tedesca in particolare).

Ma stiamo sul semplice. Diciamo maggior deficit = maggior PIL in rapporto 1:1.

Vediamo i risultati. Questi sono i dati 2013, ormai praticamente finali, per l’Italia.


PIL

 

1.557

Deficit pubblico

47

Deficit / PIL

3,0%

Debito pubblico

2.031

Debito / PIL

 

130,4%

 
E questa è la situazione, sulla base dell’ipotesi di maggior deficit che si converte 1:1 in maggior PIL, con un deficit pubblico dell’8%.
 


PIL

 

1.642

Deficit pubblico

131

Deficit / PIL

8,0%

Debito pubblico

2.116

Debito / PIL

 

128,9%

 
Sono 85 miliardi di maggior PIL. Vuol dire che invece di un calo di quasi il 2% il PIL italiano avrebbe avuto una crescita superiore al 3% (altro che il -1,3% spagnolo).

E il rapporto debito / PIL ? sarebbe stato più basso.

E’ difficile da capire tutto questo ? per il governo italiano pare di sì. Giusto l’altro ieri sentivo Emma Bonino (europeista di ferro, com’è noto) dire alla radio “d’altra parte il primo problema è il debito, il debito l’abbiamo fatto noi, non possiamo incolpare nessun altro”.

Ho cambiato canale.

Non senza ricordare che il 4 gennaio 1933 (non il 27 dicembre 2013) un signore di nome John Maynard Keynes (non Emma Bonino) pronunciava alla radio inglese (non italiana) queste parole:

“Non si potrà mai equilibrare il bilancio attraverso misure che riducono il reddito nazionale. Il ministro delle finanze non farebbe altro che inseguire la sua stessa coda. La sola speranza di equilibrare il bilancio in modo stabile e permanente passa dall’evitare l’enorme aggravio dovuto alla disoccupazione. Per questo sostengo che, anche nel caso in cui si prenda il bilancio pubblico come unico metro di giudizio, il criterio principale per giudicare se le politiche siano state o no un successo, è lo stato dell’occupazione”.

Oh, nel 1933 il debito pubblico del Regno Unito era pari a circa il 180% del PIL.

Senza contare che in una situazione di domanda pesantemente depressa, il maggior deficit potrebbe essere finanziato non da debito, ma da maggiore emissione di moneta – senza rischi di inflazione.

E, ancora, senza contare che una politica monetaria espansiva può essere attuata selettivamente anche nell’eurozona, dove serve in misura diversa (molto in alcuni paesi, meno in altri e per nulla in altri ancora), se si identificano gli strumenti adeguati.

Ma naturalmente Olli Rehn, ex scadente calciatore convertitosi in catastrofico commissario UE, mesi fa ha utilizzato le sue capacità di medium per farci sapere che “oggi nemmeno Keynes sarebbe un keynesiano”.
 
Nella migliore delle ipotesi, siamo nelle mani di un branco di incompetenti.

7 commenti:

  1. Non vorrei fare il guastafeste ma almeno in teoria sembrerebbe essere possibile far crescere l'economia mantenendo il bilancio in pareggio (teorema di Haavelmo). Visto che purtroppo il vincolo di bilancio in pareggio lo abbiamo in costituzione sarebbe bene considerare questa possibilità aumentando parallelamente tasse e spesa pubblica.

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    1. Il teorema di Haavelmo è basato sul principio che il moltiplicatore della spesa pubblica sia superiore a quello della tassazione. Dubito però che le differenze siano molto significative nel contesto attuale di domanda fortemente depressa, in cui l'effetto restrittivo della maggiore tassazione è particolarmente elevato.
      Più che di spesa pubblica vs tassazione, io parlerei piuttosto di categorie di tasse e di spese. Per esempio riduzioni di imposte regressive (sui consumi) finanziate da tagli di spese a moltiplicatore particolarmente basso (pensioni d'oro) potrebbero dare risultati interessanti. Sempre che si superino i blocchi politici, lobbystici eccetera che in passato hanno impedito di effettuare questi interventi.
      Tuttavia l'attuale output gap dell'economia italiana è così elevato che ragionare sulle riallocazioni rischia di far perdere di vista il punto più importante: che le risorse vanno AUMENTATE, poi si può pensare a riallocarle. Ma la riallocazione oggi è un tema non dico trascurabile, ma sicuramente SECONDARIO.
      Il che implica che il pareggio di bilancio in costituzione va, semplicemente, rimosso. O reinterpretato nel senso che possiamo anche accettare il pareggio tra incassi ed esborsi in euro, SE E SOLO SE mettiamo in atto una riforma che ci permette di fare deficit, cioè spesa eccedente le imposte, finanziata da uno strumento di natura monetaria, quale ad esempio i CCF.

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  2. Anche se non aumento la quantità di moneta nel sistema la crescita è possibile utilizzando meglio quella già esistente (aumentandone la velocità di circolazione). E' vero che la moneta è il lubrificante dell'economia però io posso immettere olio nell'apposito serbatoio ma se l'olio non raggiunge il motore non ottengo grossi risultati. Ci potrebbe essere sufficiente olio nel serbatoio (per es i 92 miliardi di evasione dei concessionari di slot, tetto alle pensioni d'oro, ecc) basta fargli raggiungere il motore (redditi più bassi e piccola e media impresa). In pratica si tratta di agire un po' alla Robin Hood togliere ai ricchi per dare ai poveri.
    Certo se si riuscisse ad ottenere anche un barlume di "sovranità monetaria" lo stesso risultato si potrebbe ottenere semplicemente dando ai "poveri" un bel po' di CCF, ma sembra che la strada più semplice non la voglia percorrer nessuno, nemmeno il M5S (la Lega non è credibile) che (nonostante i suggerimenti) non ha dichiarato di voler usare i CCF per finanziare il reddito di cittadinanza.
    Anche se spero vivamente di essere smentito dai prossimi eventi: non sarà che la strada della sovranità monetaria è per il momento una porta chiusa a tutti i livelli?

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    1. Io sono più ottimista, non credo che ci siano porte chiuse. Partiti e movimenti consapevoli che l'attuale sistema è insostenibile in realtà sono in maggioranza già oggi. A pretendere che si possa andare avanti senza una svolta verso la sovranità monetaria ormai sono rimasti solo Scelta Civica (che non conta più niente) e il PD.
      Serve ancora un passaggio elettorale. Che potrebbe essere quello di maggio se si faranno politiche ed europee insieme. O forse anche solo le europee tenuto conto dei segnali forti che arriveranno da parecchi altri paesi... e del dato di fatto che il deterioramento economico si sta approfondendo e allargando (due anni di PIL reale negativo, 2012 e 2013, anche in Olanda e in Finlandia...)

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