Come da accordi,
alcune considerazioni in merito alle obiezioni formulate dal dott. Xxxxx in
merito al progetto Moneta Fiscale.
I punti chiave
delle sue argomentazioni mi sembrano essere i seguenti.
UNO, non si può
asserire che l’emissione di Moneta Fiscale non comporti aumento
dell’indebitamento per lo Stato, in quanto al momento in cui la Moneta Fiscale
diventa utilizzabile per ridurre pagamenti altrimenti dovuti, la riduzione
delle entrate dovrà essere compensata da future tasse o da una riduzione della
spesa.
DUE, non si può
asserire che “grazie a un fantomatico moltiplicatore si darà luogo con esatta
certezza a un incremento del PIL e della produttività”.
Il dott. Xxxxx nel
suo memo afferma di essersi confrontato, tra gli altri, con un “ex membro del
Ministero del Tesoro profondo conoscitore” oltre che della materia fiscale
“della teoria keynesiana”. Ora, è fondamentale ricordare, innanzi tutto, che la
“teoria keynesiana” prende le mosse dall’analisi della Grande Depressione degli
anni Trenta.
Aver vissuto
quell’episodio storico e averlo analizzato portò il grande economista inglese a
comprendere che esistono circostanze tali da creare una situazione di carenza
di domanda, che a sua volta genera un pesante sottoutilizzo della capacità
produttiva del sistema economico, inevitabilmente associato ad alti livelli di
disoccupazione e di sottoccupazione.
La crisi del 1929,
così come quella del 2008, hanno causato un contesto di questo tipo. E’
scoppiata una bolla speculativa sui mercati finanziari. Si sono verificati
diffusi fenomeni di insolvenze e di crisi bancarie, e una contrazione generale
del credito.
Fenomeni di questo
tipo inducono una caduta nei livelli di domanda e di attività economica molto
più accentuata rispetto a un normale fenomeno congiunturale. Ridurre i tassi di
interesse e agevolare il credito non è sufficiente a contrastare il fenomeno
recessivo. Anche se le banche centrali abbassano i tassi d’interesse fino a
zero, questo non è sufficiente per indurre aziende e cittadini a indebitarsi
per consumare e investire.
Si tratta del
fenomeno ben noto come “trappola della liquidità”. Le banche centrali immettono
moneta che rimane però intrappolata nel circuito finanziario: alimenta acquisti
di attività finanziarie e non domanda di beni e servizi reali.
Una situazione di
questo tipo può protrarsi per un periodo di tempo molto lungo, addirittura
indefinito, se non è contrastata da una politica attiva di sostegno della
domanda: in altri termini, dall’immissione di potere d’acquisto che vada
direttamente a supportare redditi, consumi e investimenti, non ad agevolare
indebitamento che il settore privato non ha desiderio di assumere.
Il “fantomatico
moltiplicatore” non ha nulla di fantomatico, ed è comunemente noto proprio come
moltiplicatore keynesiano. Il rafforzamento del potere d’acquisto rivolto ad
aziende e cittadini ha un impatto molto elevato proprio quando l’economia si
trova in situazione di “trappola della liquidità”, in quanto incrementa
capacità di spesa, quindi domanda, a fronte della quale esiste un ampio livello
di offerta potenziale non sfruttata.
Il sostegno alla
domanda si traduce quindi in maggiore produzione, e di conseguenza in maggior reddito
per cittadini e aziende, che sono a loro volta in grado di incrementare consumi
e investimenti, avviando un ciclo virtuoso: da qui il moltiplicatore.
Il “moltiplicatore
keynesiano” è al contrario basso o nullo quando il sistema produttivo si trova
già in una situazione di pieno impiego delle risorse. Non c’è offerta da
rimettere prontamente in moto, quindi la maggiore domanda si scarica sui
prezzi, non sulla produzione. Genera inflazione e non crescita economica.
Al contrario di
certe rappresentazioni fuorvianti, quanto non addirittura caricaturali, il
keynesismo non prescrive “spesa pubblica a debito sempre e comunque”. Prescrive
politiche fiscali di sostegno della domanda, quando le normali azioni di
politica monetaria (manovra dei tassi di interesse e facilitazione del credito)
sono insufficienti a risollevare l’economia da una depressione di domanda.
L’Italia si trova attualmente
in una situazione di pesante sottoutilizzo delle risorse produttive. Per rendersene
conto, si vedano i livelli dei principali indicatori macroeconomici 2015
confrontati con il 2007, l’ultimo anno prima dello scoppio della crisi Lehman
(dati ISTAT a prezzi costanti 2015, miliardi di euro).
2007 2015
PIL 1.783 1.642
Consumi 1.385 1.313Investimenti 386 273
Esportazioni 478 494
Importazioni 475 442
Il PIL reale è
inferiore, OTTO ANNI DOPO, di oltre 140 miliardi di euro rispetto ai livelli
del 2007. E l’intera differenza è dovuta al crollo della domanda interna: 72
miliardi di consumi e 113 miliardi di investimenti in meno.
Le esportazioni
sono invece più elevate, sintomo che, nonostante tutte le difficoltà intercorse
in questi anni, le aziende italiane sono assolutamente in grado di competere e
svilupparsi – nella misura in cui operano in un contesto dove la domanda non è depressa.
L’Italia è quindi
nelle esatte condizioni in cui l’immissione di capacità di spesa nel sistema
economico stimola domanda, produzione e occupazione. Quelle, in altri termini,
in cui il moltiplicatore keynesiano è con ogni probabilità superiore all’unità,
e anche largamente. Non perché si verifichi niente di miracolistico, ma perché
si mette al lavoro la capacità produttiva del sistema, eliminando un enorme
spreco – persone disoccupate, impianti che lavorano molto al di sotto delle
loro potenzialità.
E com’è intuitivo,
l’eliminazione di questo spreco è anche necessaria per l’adeguata gestione dei
temi di finanza pubblica. Per citare proprio quanto ebbe a dichiarare Keynes nel
1933, in una conversazione radiofonica con il banchiere Josiah Stamp (citato in
“L’assurdità dei sacrifici”, ed. Keynesiana, 2013):
“Non si potrà mai
equilibrare il bilancio attraverso misure che riducono il reddito nazionale. Il
ministro delle finanze non farebbe altro che inseguire la sua stessa coda. La
sola speranza di equilibrare il bilancio in modo stabile e permanente passa
dall’eliminare l’enorme aggravio dovuto alla disoccupazione. Per questo
sostengo che, anche nel caso in cui si prenda il bilancio pubblico come unico
metro di giudizio, il criterio principale per stabilire se le politiche
economiche attuare siano state o no un successo, è lo stato dell’occupazione”.
Non è minimamente
concepibile che il sistema economico italiano non sia OGGI in grado di produrre
ALMENO lo stesso livello di PIL reale generato nel 2007. Solo una devastazione
fisica – una guerra o una colossale catastrofe naturale – potrebbero produrre
cadute di capacità produttiva corrispondenti alla perdita di PIL subita in
questi anni dal nostro paese.
L’immissione di
domanda nel sistema economico può avvenire tramite vari canali: maggiore spesa
pubblica, maggiori trasferimenti ai privati, riduzione della fiscalità. Nel
loro complesso, questi interventi devono immettere maggiori risorse nette nella
disponibilità del settore privato.
Il finanziamento
di questo intervento può avvenire tramite due canali che sono entrambi, però,
al momento preclusi: emissione monetaria o emissione di debito pubblico.
Il primo non è
utilizzabile dallo Stato italiano in quanto la moneta legale utilizzata,
l’euro, è emessa dalla Banca Centrale Europea. Emettere euro a beneficio
diretto di famiglie e aziende – la cosiddetta “Helicopter Money” – è un’azione
di cui ultimamente si parla con frequenza crescente, ma la BCE non ritiene per
il momento di poter o dover effettuare un’azione del genere - che può
effettivamente essere considerata di politica fiscale, non monetaria, e di cui
si può quindi dubitare che rientri nelle attribuzioni dell’istituto di
emissione.
In ogni caso, le
decisioni della BCE non sono, evidentemente, sotto il controllo del governo
italiano.
Il secondo canale,
l’emissione di debito pubblico, è vincolato da trattati – patto di stabilità,
Fiscal Compact – orientati al consolidamento fiscale, non ad effettuare azioni
espansive. Al momento non esiste volontà politica condivisa tra i paesi
dell’Eurozona per arrivare alla loro modifica.
L’emissione di
Moneta Fiscale – di titoli che danno diritto a sconti fiscali futuri – supera
questi vincoli.
L’obiezione che
“al momento in cui la Moneta Fiscale diventa utilizzabile per ridurre pagamenti
altrimenti dovuti, la riduzione delle entrate dovrà essere compensata da future
tasse o da una riduzione della spesa” viene a cadere in quanto l’incremento di
PIL prodotto dall’azione espansiva sulla domanda genera maggiori livello di
gettito, più che sufficienti a compensare l’utilizzo sopracitato. E questo
maggior gettito non ha bisogno di NUOVE tasse, o di incrementi di aliquote, per
essere conseguito: è la conseguenza del ripristino di NORMALI livelli di
attività del sistema economico.
Vorrei inoltre
rassicurare il dott. Xxxxx in merito ad alcune sue altre considerazioni,
precisamente dove afferma che le azioni da effettuare devono essere
accompagnate da “specifiche e concrete misure di politica economica e
industriale come ad esempio una massiccia politica industriale nazionale a
favore dell’occupazione, e del recupero della manifattura nei confini
nazionali; un reale sostegno alle PMI, e un incentivo alle preziose quanto
disprezzate e danneggiate attività e mestieri artigianali; l’eliminazione della
sperequazione fiscale che le famiglie e le PMI subiscono ai danni dello
strapotere dei grandi gruppi multinazionali che operano non in regime di libera
concorrenza ma in modo oligopolistico”.
Personalmente – e
credo che questo valga per tutto il gruppo di studiosi e ricercatori che sta
contribuendo allo sviluppo e alla promozione del progetto Moneta Fiscale – sono
in totale sintonia con queste affermazioni. Tuttavia, si tratta di interventi
che in parte possono risultare politicamente impossibili da attuare; in altra parte,
se condotti nella logica del “saldo zero”, della copertura totale di ogni
azioni, hanno altissima probabilità di risultare di impatto trascurabile o
nullo.
Tutto questo, per
il semplice motivo che se non è possibile ESPANDERE le risorse immesse
nell’economia, occorre fare affidamento su azioni di RIALLOCAZIONE – do a
qualcuno togliendo a qualcun altro. Una somma algebrica di più e di meno, che
tende in larga misura a elidersi. E l’ipotesi che i “più” diano effetti indotti
di efficienza tali da produrre più benefici rispetto a quanto viene a mancare
per effetto dei “meno”, è dubbia: a posteriori si può anche scoprire che
avviene il contrario…
Sulle politiche in
favore dell’occupazione, del rilancio della manifattura nazionale, del sostegno
alle PMI, sono totalmente favorevole: ma escludo che da una crisi di domanda
come l’attuale si possa uscire se queste – e altre – azioni non sono effettuate
per mezzo di risorse AGGIUNTIVE, non di riallocazioni.
Nessun commento:
Posta un commento