martedì 4 ottobre 2016

Moneta Fiscale: le più comuni obiezioni…


Come da accordi, alcune considerazioni in merito alle obiezioni formulate dal dott. Xxxxx in merito al progetto Moneta Fiscale.

I punti chiave delle sue argomentazioni mi sembrano essere i seguenti.

UNO, non si può asserire che l’emissione di Moneta Fiscale non comporti aumento dell’indebitamento per lo Stato, in quanto al momento in cui la Moneta Fiscale diventa utilizzabile per ridurre pagamenti altrimenti dovuti, la riduzione delle entrate dovrà essere compensata da future tasse o da una riduzione della spesa.

DUE, non si può asserire che “grazie a un fantomatico moltiplicatore si darà luogo con esatta certezza a un incremento del PIL e della produttività”.

Il dott. Xxxxx nel suo memo afferma di essersi confrontato, tra gli altri, con un “ex membro del Ministero del Tesoro profondo conoscitore” oltre che della materia fiscale “della teoria keynesiana”. Ora, è fondamentale ricordare, innanzi tutto, che la “teoria keynesiana” prende le mosse dall’analisi della Grande Depressione degli anni Trenta.

Aver vissuto quell’episodio storico e averlo analizzato portò il grande economista inglese a comprendere che esistono circostanze tali da creare una situazione di carenza di domanda, che a sua volta genera un pesante sottoutilizzo della capacità produttiva del sistema economico, inevitabilmente associato ad alti livelli di disoccupazione e di sottoccupazione.

La crisi del 1929, così come quella del 2008, hanno causato un contesto di questo tipo. E’ scoppiata una bolla speculativa sui mercati finanziari. Si sono verificati diffusi fenomeni di insolvenze e di crisi bancarie, e una contrazione generale del credito.

Fenomeni di questo tipo inducono una caduta nei livelli di domanda e di attività economica molto più accentuata rispetto a un normale fenomeno congiunturale. Ridurre i tassi di interesse e agevolare il credito non è sufficiente a contrastare il fenomeno recessivo. Anche se le banche centrali abbassano i tassi d’interesse fino a zero, questo non è sufficiente per indurre aziende e cittadini a indebitarsi per consumare e investire.

Si tratta del fenomeno ben noto come “trappola della liquidità”. Le banche centrali immettono moneta che rimane però intrappolata nel circuito finanziario: alimenta acquisti di attività finanziarie e non domanda di beni e servizi reali.

Una situazione di questo tipo può protrarsi per un periodo di tempo molto lungo, addirittura indefinito, se non è contrastata da una politica attiva di sostegno della domanda: in altri termini, dall’immissione di potere d’acquisto che vada direttamente a supportare redditi, consumi e investimenti, non ad agevolare indebitamento che il settore privato non ha desiderio di assumere.

Il “fantomatico moltiplicatore” non ha nulla di fantomatico, ed è comunemente noto proprio come moltiplicatore keynesiano. Il rafforzamento del potere d’acquisto rivolto ad aziende e cittadini ha un impatto molto elevato proprio quando l’economia si trova in situazione di “trappola della liquidità”, in quanto incrementa capacità di spesa, quindi domanda, a fronte della quale esiste un ampio livello di offerta potenziale non sfruttata.

Il sostegno alla domanda si traduce quindi in maggiore produzione, e di conseguenza in maggior reddito per cittadini e aziende, che sono a loro volta in grado di incrementare consumi e investimenti, avviando un ciclo virtuoso: da qui il moltiplicatore.

Il “moltiplicatore keynesiano” è al contrario basso o nullo quando il sistema produttivo si trova già in una situazione di pieno impiego delle risorse. Non c’è offerta da rimettere prontamente in moto, quindi la maggiore domanda si scarica sui prezzi, non sulla produzione. Genera inflazione e non crescita economica.

Al contrario di certe rappresentazioni fuorvianti, quanto non addirittura caricaturali, il keynesismo non prescrive “spesa pubblica a debito sempre e comunque”. Prescrive politiche fiscali di sostegno della domanda, quando le normali azioni di politica monetaria (manovra dei tassi di interesse e facilitazione del credito) sono insufficienti a risollevare l’economia da una depressione di domanda.

L’Italia si trova attualmente in una situazione di pesante sottoutilizzo delle risorse produttive. Per rendersene conto, si vedano i livelli dei principali indicatori macroeconomici 2015 confrontati con il 2007, l’ultimo anno prima dello scoppio della crisi Lehman (dati ISTAT a prezzi costanti 2015, miliardi di euro).

                            2007           2015
PIL                       1.783          1.642
Consumi              1.385          1.313
Investimenti          386             273
Esportazioni          478             494
Importazioni         475             442

Il PIL reale è inferiore, OTTO ANNI DOPO, di oltre 140 miliardi di euro rispetto ai livelli del 2007. E l’intera differenza è dovuta al crollo della domanda interna: 72 miliardi di consumi e 113 miliardi di investimenti in meno.

Le esportazioni sono invece più elevate, sintomo che, nonostante tutte le difficoltà intercorse in questi anni, le aziende italiane sono assolutamente in grado di competere e svilupparsi – nella misura in cui operano in un contesto dove la domanda non è depressa.

L’Italia è quindi nelle esatte condizioni in cui l’immissione di capacità di spesa nel sistema economico stimola domanda, produzione e occupazione. Quelle, in altri termini, in cui il moltiplicatore keynesiano è con ogni probabilità superiore all’unità, e anche largamente. Non perché si verifichi niente di miracolistico, ma perché si mette al lavoro la capacità produttiva del sistema, eliminando un enorme spreco – persone disoccupate, impianti che lavorano molto al di sotto delle loro potenzialità.

E com’è intuitivo, l’eliminazione di questo spreco è anche necessaria per l’adeguata gestione dei temi di finanza pubblica. Per citare proprio quanto ebbe a dichiarare Keynes nel 1933, in una conversazione radiofonica con il banchiere Josiah Stamp (citato in “L’assurdità dei sacrifici”, ed. Keynesiana, 2013):

“Non si potrà mai equilibrare il bilancio attraverso misure che riducono il reddito nazionale. Il ministro delle finanze non farebbe altro che inseguire la sua stessa coda. La sola speranza di equilibrare il bilancio in modo stabile e permanente passa dall’eliminare l’enorme aggravio dovuto alla disoccupazione. Per questo sostengo che, anche nel caso in cui si prenda il bilancio pubblico come unico metro di giudizio, il criterio principale per stabilire se le politiche economiche attuare siano state o no un successo, è lo stato dell’occupazione”.

Non è minimamente concepibile che il sistema economico italiano non sia OGGI in grado di produrre ALMENO lo stesso livello di PIL reale generato nel 2007. Solo una devastazione fisica – una guerra o una colossale catastrofe naturale – potrebbero produrre cadute di capacità produttiva corrispondenti alla perdita di PIL subita in questi anni dal nostro paese.

L’immissione di domanda nel sistema economico può avvenire tramite vari canali: maggiore spesa pubblica, maggiori trasferimenti ai privati, riduzione della fiscalità. Nel loro complesso, questi interventi devono immettere maggiori risorse nette nella disponibilità del settore privato.

Il finanziamento di questo intervento può avvenire tramite due canali che sono entrambi, però, al momento preclusi: emissione monetaria o emissione di debito pubblico.

Il primo non è utilizzabile dallo Stato italiano in quanto la moneta legale utilizzata, l’euro, è emessa dalla Banca Centrale Europea. Emettere euro a beneficio diretto di famiglie e aziende – la cosiddetta “Helicopter Money” – è un’azione di cui ultimamente si parla con frequenza crescente, ma la BCE non ritiene per il momento di poter o dover effettuare un’azione del genere - che può effettivamente essere considerata di politica fiscale, non monetaria, e di cui si può quindi dubitare che rientri nelle attribuzioni dell’istituto di emissione.

In ogni caso, le decisioni della BCE non sono, evidentemente, sotto il controllo del governo italiano.

Il secondo canale, l’emissione di debito pubblico, è vincolato da trattati – patto di stabilità, Fiscal Compact – orientati al consolidamento fiscale, non ad effettuare azioni espansive. Al momento non esiste volontà politica condivisa tra i paesi dell’Eurozona per arrivare alla loro modifica.

L’emissione di Moneta Fiscale – di titoli che danno diritto a sconti fiscali futuri – supera questi vincoli.

L’obiezione che “al momento in cui la Moneta Fiscale diventa utilizzabile per ridurre pagamenti altrimenti dovuti, la riduzione delle entrate dovrà essere compensata da future tasse o da una riduzione della spesa” viene a cadere in quanto l’incremento di PIL prodotto dall’azione espansiva sulla domanda genera maggiori livello di gettito, più che sufficienti a compensare l’utilizzo sopracitato. E questo maggior gettito non ha bisogno di NUOVE tasse, o di incrementi di aliquote, per essere conseguito: è la conseguenza del ripristino di NORMALI livelli di attività del sistema economico.

Vorrei inoltre rassicurare il dott. Xxxxx in merito ad alcune sue altre considerazioni, precisamente dove afferma che le azioni da effettuare devono essere accompagnate da “specifiche e concrete misure di politica economica e industriale come ad esempio una massiccia politica industriale nazionale a favore dell’occupazione, e del recupero della manifattura nei confini nazionali; un reale sostegno alle PMI, e un incentivo alle preziose quanto disprezzate e danneggiate attività e mestieri artigianali; l’eliminazione della sperequazione fiscale che le famiglie e le PMI subiscono ai danni dello strapotere dei grandi gruppi multinazionali che operano non in regime di libera concorrenza ma in modo oligopolistico”.

Personalmente – e credo che questo valga per tutto il gruppo di studiosi e ricercatori che sta contribuendo allo sviluppo e alla promozione del progetto Moneta Fiscale – sono in totale sintonia con queste affermazioni. Tuttavia, si tratta di interventi che in parte possono risultare politicamente impossibili da attuare; in altra parte, se condotti nella logica del “saldo zero”, della copertura totale di ogni azioni, hanno altissima probabilità di risultare di impatto trascurabile o nullo.

Tutto questo, per il semplice motivo che se non è possibile ESPANDERE le risorse immesse nell’economia, occorre fare affidamento su azioni di RIALLOCAZIONE – do a qualcuno togliendo a qualcun altro. Una somma algebrica di più e di meno, che tende in larga misura a elidersi. E l’ipotesi che i “più” diano effetti indotti di efficienza tali da produrre più benefici rispetto a quanto viene a mancare per effetto dei “meno”, è dubbia: a posteriori si può anche scoprire che avviene il contrario…

Sulle politiche in favore dell’occupazione, del rilancio della manifattura nazionale, del sostegno alle PMI, sono totalmente favorevole: ma escludo che da una crisi di domanda come l’attuale si possa uscire se queste – e altre – azioni non sono effettuate per mezzo di risorse AGGIUNTIVE, non di riallocazioni.

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