domenica 7 novembre 2021

Le tasse danno valore alla moneta

 

Qualche commentatore esprime ancora scetticismo sul concetto espresso dalla MMT, ma prima ancora dal cartalismo, dove si afferma che una moneta ha valore nel momento in cui uno Stato impone di utilizzarla per pagare le tasse.

Dietro a questi scetticismi ci sono un paio di osservazioni errate.

In primo luogo, a volte si vede fare confusione tra due affermazioni che in realtà sono parecchio diverse.

La MMT non sostiene che “una moneta ha valore solo se lo Stato la impone per il pagamento delle tasse”.

La MMT sostiene che “l’utilizzabilità per pagare tasse attribuisce valore alla moneta”.

Dove sta la differenza ?

Nel fatto che sono sicuramente possibili monete che lo Stato non accetta per pagare tasse, ma che hanno comunque valore perché un gruppo di cittadini e aziende decide di servirsene, sulla base di un impegno contrattuale, assunto volontariamente. Vedi il caso dei circuiti di compensazione multilaterale, di cui l’esempio di maggior successo in Italia è il Sardex.

Ma questa è una via ulteriore, rispetto all’accettazione per pagare tasse, per dare valore a una moneta. Può assolutamente costituire la base di un progetto più che valido, ma con funzione complementare rispetto alla moneta di Stato, alla MONETA (accettata al fine dell’adempimento) FISCALE.

Complementare e di minor peso, per il semplice motivo che il settore pubblico è il soggetto economico più rilevante nell’ambito di qualunque Stato, dato che intermedia quote di PIL comprese tra il 30% e il 50% del totale.

In altri termini, le monete non fiscali esistono e possono benissimo funzionare, ma inevitabilmente hanno un ruolo accessorio rispetto alla moneta dello Stato, appunto perché quest’ultima è moneta fiscale.

L’altra osservazione errata è pensare che la moneta di Stato abbia valore anche o magari soprattutto perché il suo utilizzo è imposto per legge nelle transazioni tra privati.

In realtà lo Stato non impone nulla di tutto questo. Transazioni dove il corrispettivo è espresso in una moneta diversa da quella ufficiale dello Stato non sono affatto infrequenti. Se compro petrolio lo pago in dollari. Se compro un’azione giapponese la pago in yen. Un dipendente svizzero o britannico di una società con sede in Italia può benissimo negoziare un contratto dove lo stipendio è denominato in franchi o in sterline.

Ovviamente sono eccezioni rispetto alla totalità degli scambi di beni, servizi o attività finanziarie. Ma sono eccezioni rilevanti, e dimostrano l’infondatezza del presupposto.

La moneta più diffusa nell’ambito di uno Stato non può che essere quella che lo Stato accetta per onorare le obbligazioni fiscali. Non in teoria, ma in pratica, non può che essere così.

Taxes drive money. Non solo le tasse, ma fondamentalmente, prevalentemente le tasse. E questo è il presupposto del progetto CCF / Moneta Fiscale.

 

2 commenti:

  1. Gabriele De Rossi: E certo come no...? Infatti se in Svizzera accettano tranquillamente euro è perché ci pagano le tasse... La moneta ha valore se chi la riceve sa che può a sua volta spenderla perché gli verrà accettata.

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    1. n Svizzera la accettano perché è vendibile ai residenti dell'Eurozona, i quali gli danno valore perché ci pagano le tasse LORO...

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