venerdì 12 novembre 2021

Inflazione, costi di produzione e redditi da lavoro

 

Ogni tanto qualcuno mi scrive / twitta / posta messaggi costernati, più o meno di questo tenore: “non ce la raccontano giusta ! dicono che l’inflazione è al 3% ! ma figurati ! ma lo sai quanto è cresciuto il gas / il petrolio / il legname / l’acciaio / la carta ! 50, 80, 100 per cento di rincaro !”

Bene, prima di dare la stura a teorie cospiratorie sull’Istat che falsifica i dati, invito a riflettere su quanto segue.

Il PIL italiano è pari a circa 1.800 miliardi. Le importazioni ammontano approssimativamente a 500. I redditi da lavoro (che sono costi, dal punto di vista delle aziende e dei datori di lavoro in genere) pesano intorno a due terzi del PIL, quindi 1.200 miliardi. 

I 500 miliardi di importazioni sono in parte, ma solo in parte, materie prime ed altri beni e servizi difficilmente sostituibili da produzioni interne. Gli input che l’Italia non può, o fa fatica a, rimpiazzare sono probabilmente stimabili in qualcosa come 100 miliardi, forse anche un po’ di meno.

I rincari che stiamo vedendo su tutta una serie di input produttivi raggiungono percentuali imponenti anche perché si confrontano con minimi raggiunti nel periodo di lockdown “duro”, primavera 2020.

Se ragioniamo sulle medie annue, le crescite rispetto al periodo pre-pandemia (2021 vs 2019) sono di un ordine di grandezza molto meno eclatante. A seconda dei casi, qualcosa che assomiglia al 10-20%, non al 50% o all’80%.

Il 10 o il 20% non è poco, naturalmente. Ma si applica a una parte decisamente minore dei costi produttivi totali dell’aziende.

Perché il grosso, i due terzi appunto, sono costi di lavoro. E se quelli non crescono, ne deriva quanto segue.

PRIMO, l’incremento di costo di alcuni input produttivi incide per una quota nettamente minoritaria dei costi di produzione totali.

SECONDO, dato che la domanda finale dipende dai redditi disponibili, in particolare dai redditi di lavoro, spazi per ribaltare sul consumatore finale gli incrementi di costo ce ne sono ben pochi. Le aziende devono assorbire gli aumenti di costo comprimendo i margini.

Altrimenti detto: è errata l’intuizione che la crescita dei costi produttivi possa automaticamente essere trasferita sul cliente. Se il cliente non ha soldi in più da spendere, non gli trasferisci nulla.

Fa eccezione chi produce un bene indispensabile e non sostituibile. In quel caso, il cliente dovrà accettare aumenti per QUEL bene. Ma se i suoi redditi nominali non crescono, sarà costretto a spendere meno per altri prodotti. Non ci sarà quindi aumento nel livello MEDIO dei prezzi al consumo.

L’inflazione, intesa come crescita dei prezzi medi per il consumatore, richiede che cresca la disponibilità di potere d’acquisto in misura tale da portare la domanda di beni e servizi oltre la capacità produttiva del sistema economico.

Finché questo non avviene, variazioni di costo anche molto elevate di ALCUNI input produttivi si traslano solo in misura molto, ma molto, parziale sull’inflazione generale.

 

6 commenti:

  1. Luca Pieroni: caro Marco, più chiaro non si può. Toglimi una curiosità : quando ne parli con terzi (amici, conoscenti, altri...) guardano anche te come un marziano? O eviti l'argomento per non farli sentire troppo mediaticamente influenzati?

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    1. No, evitare non evito mai (a costo di passare per un emerito rompipalle, ma ci sono abituato :))))) ). Non direi che mi guardino come un marziano, se hanno tempo e interesse di riflettere su questi temi (il che non avviene sempre, questo è vero).

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  2. Paolo Canziani: Il pezzo che alleghi è impeccabile. Fa impressione che si debbano ancora spiegare queste cose dopo che con l'inflazione degli anni '70 e '80 son stati versati fiumi di inchiostro sviscerando la questione.
    In sintesi, senza domanda primaria E senza "stampa di moneta" NON ci può essere inflazione.

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    1. Grazie Paolo ! purtroppo le questioni non sono mai sviscerate abbastanza. Per esempio tutti si riempiono la bocca con la "stagflazione degli anni Settanta" poi ti guardano come una mucca guarda un segnale stradale quando gli mostri che tra il 1973 e il 1984 (gli anni dell'inflazione a due cifre) il PIL REALE italiano è cresciuto del 40% e gli anni di recessione (intesa come calo del PIL reale) sono stati esattamente... UNO SU DODICI.

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  3. Io farei anche un esempio concreto: se il prezzo del BARILE raddoppiasse, si parlerebbe di un aumento alla pompa da 1,7 circa a 2,1 circa (l'aumento non si applica sulle tasse). che sarebbe un aumento del 100% sul petrolio ma del 23% alla pompa : MA il costo della benzina sul prodotto FINITO, poniamo un tessuto, o il trasporto di mele, incide per una % variabile che va dal 7/8 al 20/25%. Quindi l'aumento causa la benzina sarebbe del 23% del 7-25% uguale circa al 2-5% circa

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    1. Tra l'altro in Italia (ma in generale in Europa) le tasse sui carburanti incidono molto più che negli USA. Di conseguenza il prezzo alla pompa è molto più basso ma anche molto più volatile. Il risultato è che lo statunitense si incavola molto di più per i rialzi, anche se il prezzo che paga è comunque, sempre, parecchio inferiore...

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