domenica 26 giugno 2022

Eurozona e rischio di frammentazione

 

Robin Brooks è un commentatore economico molto attivo su twitter. Già collaboratore di Fondo Monetario Internazionale e Goldman Sachs, pubblica grafici e analisi spesso interessanti nei contenuti – ma non necessariamente condivisibili nelle conclusioni che ne deriva.

Faccio spesso fatica a condividerne le conclusioni perché Brooks non è tenero nei confronti dell’Italia: il che naturalmente è legittimo, ma non nel momento in cui ci imputa guai che nascono dalla (paurosamente disfunzionale) struttura dell’eurosistema – e non da problemi specifici del nostro paese.

Alcuni giorni fa, esattamente il 19 giugno scorso, un suo tweet riportava quanto segue.


“La BCE ha tenuto questa settimana una riunione d’emergenza sulla “frammentazione”. Il problema è che nessuno sa come misurare la frammentazione, quindi è una questione di percezioni. C’è frammentazione se il decennale italiano rende meno di quello neozelandese o australiano, anche se l’Italia ha più debito ?”.

In pratica il buon Robin sta implicitamente affermando che non vede la necessità di interventi per abbassare il costo del debito italiano. Perché questo costo è inferiore rispetto a paesi con meno debito, quindi perfino più basso di quanto “meriterebbe”. Allora, perché mai la BCE dovrebbe fare qualcosa ?

Suona ragionevole: ma i presupposti dell’analisi sono smentiti dal consueto “rompiscatole”, il Giappone. Sui due piedi mi era parso (a me come ad altri) che il grafico di Brooks ignorasse i nostri amici nipponici. Ma non è così, ci sono: soltanto sono posizionati così in basso e così a destra rispetto a tutti gli altri che a una prima occhiata si rischia di non vederli…

E invece il Giappone c’è, e guarda un po’: ha DI GRAN LUNGA IL DEBITO MENO COSTOSO, nonostante un RAPPORTO DEBITO PUBBLICO / PIL DI GRAN LUNGA PIU’ ALTO.

Il punto è che Brooks ha in testa che a maggior debito debba corrispondere maggior costo, ma questo è vero (e il grafico lo evidenzia chiaramente) SOLO ALL’INTERNO DELL’EUROZONA. Non c’è invece nessuna correlazione per quanto riguarda i paesi che sono nella (normale, normalissima) condizione di emettere e gestire la propria moneta.

Se il debito è nella tua moneta, decidi tu a che livello fissarne il costo, facendolo o non facendolo acquistare dal tuo istituto di emissione (e potresti addirittura fare deficit SENZA emettere debito). E lo puoi fare quale che sia il livello del debito. Per cui la correlazione costo / livello semplicemente non esiste.

Se invece il debito è in moneta straniera, la faccenda cambia aspetto. Ed è del tutto comprensibile che a maggior debito corrisponda maggior costo.

Brooks ci ha quindi fornito, con quel grafico, la miliardesima prova che l’Italia non doveva entrare nell’euro: perché entrandoci ha trasformato un NON problema – il debito pubblico in lire – in un problema gravissimo – il debito pubblico in moneta straniera.

Per cui, l’eurosistema – eh sì, Robin – è a costante rischio di frammentazione. Perché il debito alto diventa troppo costoso, ma i tentativi di ridurlo via austerità abbattono il PIL e non risolvono il problema: anzi lo peggiorano pesantissimamente, come visto in particolare tra il 2011 e il 2013.

E il rischio di frammentazione non scomparirà finché, de minimis, lo spread non verrà totalmente eliminato.

O finché non scomparirà l’euro…

 


3 commenti:

  1. Luca Pieroni: O i gestori dell'euro tirano finché diventa inevitabile far comportare l'euro come una moneta nazionale, facendo danni nel durante, o la tua conclusione è legittima. Vedo meno probabile che rinsaviscano prima.

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  2. L'euro NON sarà MAI una moneta NAZIONALE, non esiste una nazione europea, continuate a ripetere questa cosa come un disco rotto

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