Gli USA fanno innovazione, l’Europa o meglio la UE sa solo burocratizzare e regolamentare. Si dice, ed è vero. Le più grandi aziende USA per redditività e valore di mercato esistono da pochi decenni; dall’altra parte dell’Atlantico, sono vecchie di quasi un secolo, a volte anche di più. Là tecnologia avanzata, qui banche, assicurazioni e public utilities.
Tutto vero. Ma sbagliata la soluzione al problema che in genere viene proposta. Dobbiamo (si dice) incentivare l’innovazione, creare un mercato dei capitali integrato, detassare i fondi specializzati in start-up tecnologiche, deburocratizzare.
Non fraintendetemi. Quando dico che la soluzione è sbagliata non intendo che queste cose siano prive di senso, o inutili. Aiuterebbero (alcune). Sono corrette (alcune). Ma anche nella migliore delle ipotesi, non risolvono il problema di base, che è la crescita asfittica della Vecchia Europa.
Gli USA sono più innovativi ma non è una novità di oggi. Nvidia, Google, Amazon sono nate di recente, ma le Apple e le Microsoft nascevano e diventavano grandi negli anni Settanta e Ottanta. Niente di equivalente qui. Però USA e UE crescevano a tassi molto simili. Un po’ di più gli USA in termini di PIL totale, un po’ di più la UE (o meglio i paesi che poi l’hanno formata) in termini di PIL procapite (negli USA c’era la crescita demografica che già allora qui mancava).
Gli USA sono più innovativi perché sono la più grande economia mondiale, e un modello aziendale di successo nato là si estende rapidissimamente a tutto il mondo. In Europa otterremmo lo stesso risultato abbattendo le barriere normative ? ma rimarrebbero quelle linguistiche e culturali. Che, ammesso che ci sia da augurarselo, non spariscono in alcuni anni e neanche in svariati decenni.
In Europa non si faceva innovazione ma si cresceva, perché l’innovazione si sapeva adottarla e utilizzarla. Chi arriva dopo può beneficiare dei progressi nati altrove, tanto quanto l’innovatore originario. Spesso anche di più, o comunque più rapidamente.
La mancanza di crescita europea non si risolve con il mercato integrato dei capitali né con gli incentivi fiscali mirati. La mancanza di crescita europea, anzi della UE, anzi ancora di più dell’Eurozona, nasce da un sistema di regole sbagliato nei presupposti. Dalla demonizzazione dei deficit pubblici. Dalle politiche di contrazione della domanda interna per (NON) risolvere un (NON) problema (INVENTATO) di finanza degli Stati.
Il problema sta qui, ed è semplice da risolvere. Ma
difficile da far comprendere.
A titolo integrativo. Prima parte
RispondiElimina“La retorica dell’eccellenza” , a cura del Prof. Alberto Bagnai, settembre 2017, quando ancora era solo un professore universitario di politica economica e finnziaria.
Che mondo hanno in mente gli euristi, quelli che ci dicono che in fondo il danno (visibile e ammesso dagli stessi industriali) che la valuta forte arreca alla nostra competitività è una mano santa per il nostro paese, perché "alzandoci l'asticella" (espressione che come "stampare moneta" è un marker significativo) ci condanna all'eccellenza? Al di là del discutibile darwinismo sociale implicito in questo modello (che poi è il darwinismo di tutti i modelli con agenti eterogenei: è un bene che gli inefficienti "muoiano", perché questo alza la produttività media del sistema), la domanda è: ma nel lungo periodo, poi, cosa succede?
La retorica dell'eccellenza è semplicemente la veste presentabile della prassi mercantilista: devo essere più bravo di te perché così camperò vendendo i miei prodotti a te (che comprerai, a vita...). Ma il mondo non può funzionare così, Lo chiarì Kenen nel 1969 che una eccessiva specializzazione espone i membri di una unione monetaria a "shock idiosincratici": se l'Italia produce solo pizza, o solo ciclosincrotroni, uno shock che colpisca uno di questi due mercati la mette in ginocchio. Il problema non è il valore aggiunto del bene prodotto. Il problema è che un paese di dimensioni non banali (alcune decine di milioni di abitanti) già in condizioni normali dovrebbe attrezzarsi per avere una base produttiva diversificata, per non dipendere interamente dall'estero. Se poi entra in una unione monetaria, questa esigenza di parziale o totale autonomia, da mera considerazione di opportunità politica, diventa condizione necessaria per la sopravvivenza del sistema.
Proseguimento:
http://goofynomics.blogspot.it/2017/09/la-retorica-delleccellenza.html
A titolo integrativo. Seconda parte
RispondiEliminahttps://www.attivismo.info/la-follia-dellattuale-organizzazione-commerciale-importiamo-dallestero-merci-di-cui-gia-disponiamo-in-italia-ed-esportiamo-merci-che-ci-consentirebbero-di-evitare-le-importazioni/
Breve commento
Cui Prodest una globalizzazione selvaggia del genere? Ah saperlo.....!!
A titolo integrativo. Terza parte
RispondiEliminaRICAPITOLANDO
Che l’Italia prima dell’euro non fosse il paese dei balocchi è pacifico, ma è impressionante come nel percorso che ci ha avviato nella moneta unica molte cose sono peggiorate.
Cruciali gli anni 90 quando la svalutazione ha dato un parziale sollievo, in termini di produzione, di produttività di conti con l’estero ma è durato molto poco. Quando il duro processo di convergenza, cominciato nel 92, volge al termine nel 2002.
La validità di un modello economico, ribadiamo, si misura da come esso reagisce alle crisi, perché in tempi “normali” siamo bravi tutti! I limiti di un sistema che distrugge la domanda interna e che vive solo per esportare, non sono più né nascondibili né giustificabili.
Se nel 2019 eravamo ancora nella merda e adesso si è aggiunto il crollo del 2020, quando mai dovremmo recuperare i valori del 2007? Una generazione ce la siamo già giocata, ma di questo passo diventeranno due!
Estratto da:
https://www.attivismo.info/leconomia-italiana-dal-1960-ad-oggi-storia-di-un-declino/
Breve commento
Se vuoi stare in un sistema economico che privilegia la domanda esterna a danno della domanda interna e allora la tua economia interna prima o poi languisce, solo questione di tempo!
A titolo integrativo. Quarta parte
RispondiElimina.“Keynes “sovranista”: contro l’internazionalizzazione della finanza e per l’autosufficienza nazionale”, di Enrico Grazzini per La Fionda, 13 marzo 2024
Pochi amano ricordare un fatto indiscutibile: John Maynard Keynes, il più grande economista del secolo scorso, era assolutamente contrario alla libera circolazione dei capitali e al dominio della finanza sull’economia, e era anche decisamente a favore del “nazionalismo economico”, ovvero dell’autosufficienza delle nazioni. Il suo pensiero oggi è tornato di grande attualità: infatti tutte le più grandi economie, quella statunitense, quella cinese, quella russa, e buona ultima anche quella europea, puntano all’autosufficienza o, in ultima analisi, alla “non dipendenza”. L’autosufficienza che Keynes invoca nei suoi scritti era però finalizzata alla pace e allo sviluppo; l’autosufficienza che oggi cercano le grandi potenze è invece per prepararsi alla guerra.
In un suo articolo scritto nel 1933 – quando Mussolini e Stalin erano già al potere e Hitler cominciava a diventare capo assoluto della Germania – intitolato “National Self-Sufficiency”, Keynes non ebbe timore di valutare in maniera molto positiva il nazionalismo economico[1]. Scrisse infatti: “Io simpatizzo di più con coloro che vorrebbero ridurre al minimo le relazioni economiche tra le nazioni che non con quelli che le vorrebbero aumentare al massimo. Le idee, il sapere, la scienza, l’ospitalità, il viaggiare – queste sono le cose che per loro natura dovrebbero essere internazionali. Ma lasciate che le merci siano prodotte in patria ogni qualvolta è ragionevolmente e praticamente possibile, e soprattutto lasciate che la finanza sia prevalentemente nazionale”. Per Keynes moneta, credito e finanza dovevano essere gestite innanzitutto a livello nazionale. Certamente il “nazionalismo economico” di Keynes non ha nulla a che vedere con l’autarchia di marca fascista o sovietica, che Keynes critica nel suo articolo. L’autosufficienza economica invocata da Keynes era piuttosto mirata alla gestione democratica dell’economia, la quale doveva essere aperta agli scambi con l’estero ma non doveva essere dipendente da potenze e da capitali stranieri.
Proseguimento:
https://www.lafionda.org/2024/03/13/keynes-sovranista-contro-linternazionalizzazione-della-finanza-e-per-lautosufficienza-nazionale/
Commento
“La necessità che gli Stati democratici tendano all’autosufficienza e siano per quanto possibile sovrani anche sulla moneta è generalmente sottovalutata o denigrata perfino dalla sinistra sedicente anticapitalista. Non è un caso che la sinistra sia stata quasi spazzata via dall’Europa. Per riprendere il cammino bisogna cominciare a prendere lezione da Keynes e gettare alle ortiche l’europeismo dogmatico.”, Enrico Grazzini, parte finale di questo suo ottimo articolo
A titolo integrativo. Quinta parte.
RispondiEliminaIn un’intervista alla BBC radio del 1942, all’intervistatore che gli chiedeva da dove provenissero i soldi necessari, Keynes rispose:
«Vi racconterò come risposi a un famoso architetto che aveva dei grandi progetti per la ricostruzione di Londra, ma li mise da parte quando si chiese: ”Dov’è il denaro per fare tutto questo?”.
“Il denaro? – feci io – non costruirete mica le case col denaro? Volete dire che non ci sono abbastanza mattoni e calcina e acciaio e cemento?”.
“Oh no – rispose – c’ è abbondanza di tutto questo.
“Allora intendete dire che non ci sono abbastanza operai?”.
“Gli operai ci sono, e anche gli architetti”. ”Bene, se ci sono mattoni, acciaio, cemento, operai e architetti, perché non trasformare in case tutti questi materiali?”. Insomma possiamo permetterci tutto questo e altro ancora».
Riferimento:
https://www.sovranitapopolare.org/2020/07/03/il-grande-inganno/
A titolo integrativo. Sesta parte.
RispondiElimina.“I soldi non si stampano e altri luoghi comuni”, Lumi e Barlumi, 24 novembre 2020
"I soldi non si stampano!" diceva Pierluigi Bersani durante una trasmissione televisiva.
Qualunque cosa intendesse il simpatico politico, forse avrete anche voi assimilato il concetto tale per cui "Non esiste l'albero dei soldi" o, detto in termini più tecnici "Non ci sono pasti gratis". Ma siamo proprio sicuri che sia così?
In questo post vi propongo le seguenti dichiarazioni in proposito, da parte di alcune persone informate sui fatti.
Alan Greenspan
"The United States can pay any debt it has because we can always print money to do that. So, there is zero probability of default".
Gli Stati Uniti possono pagare qualsiasi debito perché possono sempre stampare la moneta per farlo. Quindi, la probabilità di fallire equivale a zero.
Mario Draghi
"Technically, no. We cannot run out of money. We have ample resources for coping with all our emergencies. So, I think this is the only answer I can give you."
Tecnicamente non possiamo finire i soldi. Abbiamo ampie risorse per far fronte a tutte le emergenze.
Christine Lagarde
La BCE può creare tanta moneta quanta ne serve. Tecnicamente non può andare in bancarotta.
Il professor Cottarelli (noto economista) aggiunge anche un dettaglio molto interessante. Il finanziamento della banca centrale è gratuito, perché gli interessi pagati sui titoli emessi e incassati dalla banca centrale ritornano al governo.
Riferimento con relativi audio video:
https://lumiebarlumi.blogspot.com/2020/11/i-soldi-non-si-stampano-e-altri-luoghi.html
Breve commento
Il denaro in un sistema economico è come l'olio nel motore di un'auto, poco olio farà sicuramente fondere il motore dell'auto, troppo olio gli procurerà seri danni di vario tipo, ci troviamo nel primo caso, vedasi prossimo post.
A titolo integrativo. Settima parte.
RispondiElimina“Limitare la liquidità disponibile per creare una dipendenza fittizia dai fondi PNRR"
“Dove prendete i soldi?”, di Alberto Micalizzi ( commercialista, consulente in finanza aziendale e privata ) per Sovranità Popolare, 7 novembre 2022
Qualsiasi dibattito politico si arena su questa fatidica domanda: dove prenderete i soldi per attuare il vostro programma?
Allora vediamo dove sono i soldi, anzi dove sarebbero visto che il Ministero dell’Economia delle Finanze (MEF) ha deliberatamente deciso di rinunciare a raccogliere la finanza necessaria a supportare il Paese, e lo ha fatto nonostante le fasi più dure del lockdown, quando i commercianti e le piccole e medie imprese cadevano come mosche.
Ecco le prove (seguite i riferimenti nei documenti allegati):
2022. A) In alto trovate l’articolo dell’Ansa relativo all’Asta BTP del 5 Gennaio 2022. Come vedete, si potevano raccogliere €55 miliardi al tasso del 2,5% con scadenza 30 ANNI (!) Ma il MEF ha deciso di offrirne solo €7 miliardi. Sintesi: rifiutati €47 miliardi.
2023. B) Ad Aprile 2021 (vedi tabella in basso) il MEF ha fatto persino peggio: si potevano raccogliere €64,7 miliardi al tasso del 2,15% con scadenza 50 ANNI (!!) Ma il MEF ha deciso di collocarne soltanto €5 miliardi. Sintesi: rifiutati €60 miliardi.
Non sono casi isolati, ma due sole di queste aste hanno sottratto €100 miliardi di liquidità al Paese. Detto in termini calcistici: il MEF ha sbagliato diversi rigori a porta vuota.
Oggi, emettere quegli stessi titoli costerebbe il doppio il che, per chi lo capisce, vuol dire che il debito contratto nel 2021-2022 si sarebbe ridotto di circa un 25-30% per il solo effetto dei tassi.. un regalo per le finanze pubbliche.
Domandiamo allora a quelli “bravi”: se non raccogliete il denaro quando i tassi BCE sono a zero, condizione unica nella storia, e le scadenze sono lunghissime, quando li raccogliete?
Questa non può essere ignoranza. Non posso credere che vi siano tali incapaci al MEF. Devo necessariamente ipotizzare che il MEF abbia deliberatamente deciso di limitare la liquidità disponibile per creare una dipendenza fittizia dai fondi PNRR, quelli per i quali l’UE chiede riforme e sacrifici.
Questa artificiale carenza di liquidità ha procurato danni incalcolabili all’economia italiana. Ha impedito di ristrutturare il debito pubblico, di offrire opportunità di crescita alle PMI, di azionare il volano degli investimenti pubblici, di innescare quel circolo virtuoso che serviva – e che serve urgentemente – per uscire dal pantano nel quale ci hanno cacciato, soprattutto in vista della recessione globale che si prospetta nei prossimi mesi.
Proseguimento:
https://www.sovranitapopolare.org/2022/11/07/gli-errori-e-le-opportunita-di-guadagno-perse-dallo-stato-alle-aste-btp/
A titolo integrativo. Ottava ed ultima parte.
RispondiEliminahttps://attivismo.info/gianni-rodari-elogio-della-cicala/
In particolare i seguenti passaggi finali dell'articolo:
Una economia centrata unicamente sulla produzione e sul proprio arricchimento rende gli uomini gretti e meschini, incapaci di gesti di umanità. La freddezza dei conti e dei bilanci, che in fin dei conti sono solo dei numeri, non deve mai farci perdere di vista la nostra umanità.
Non è questa l’economia che prefigura la nostra Costituzione, che invece è molto più simile a quella sognata da Rodari nella sua poesia.
Articolo 4 della Costituzione italiana:
"La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società."
Quindi certamente il dovere di contribuire al progresso della società, ma non solo a livello materiale.
Siamo uomini, siamo fatti anche di spirito.