C’è molto da
riflettere su alcuni passaggi di questa intervista al ministro delle finanze
greco, Yanis Varoufakis, pubblicata ieri dalla rivista tedesca Tagesspiegel. I
punti chiave sono a mio avviso i seguenti.
D. Se confrontiamo
i dati delle due proposte (NB quella dei
creditori e quella del governo greco) i creditori chiedono misure fiscali
per circa 3 miliardi di euro e la Grecia offre 1,87. Non sembra una differenza
insormontabile, non le pare ?
R. Ma potrebbe
fare la differenza tra uccidere, o meno, quello che è rimasto dell’economia
greca. Stiamo continuamente contraendoci da sette anni. Se cerchiamo di
estrarre altri 3 miliardi tramite tasse e tagli alle pensioni il deficit sarà
più alto l’anno prossimo. E’ come bastonare una mucca malata cercando di farle
produrre più latte: la uccideresti. Perfino la nostra proposta di 1,8 miliardi
di surplus è eccessiva, dovremmo andare a zero.
D. Ma questo non è
sufficiente a mettere fine alla recessione.
R. Questo è il
motivo per cui le misure fiscali e le riforme sono solo un terzo del programma
che stiamo negoziando. Abbiamo anche bisogno di ristrutturare il debito in modo
che i rimborsi siamo gestibili. E abbiamo bisogno di un programma di
investimenti. Stiamo proponendo che i fondi vengano dalla BEI (NB la Banca
Europea per gli Investimenti).
Quanto dice
Varoufakis è coerente con una sensazione che era emersa, esaminando le
dichiarazioni del governo greco, fin da febbraio: le proposte di Syriza non
sono affatto radicali, sono casomai troppo moderate.
E in effetti la
discussione in merito al surplus di bilancio primario – che sia 3 oppure 1,8
oppure zero – è in un certo senso un falso problema. Sono tutti livelli
insufficienti a produrre la ripresa di domanda, produzione e occupazione,
quindi a invertire il ciclo depressivo-deflattivo che affligge le Grecia da
sette anni.
Ora, il governo
greco dovrebbe riflettere molto seriamente, a mio avviso, su quanto segue.
L’accordo sul surplus
primario alla fine si può anche trovare. E di fatto anche il riscadenziamento
del debito in qualche modo è un tema che si risolve da sé. Entro poche settimane
succederà una delle due seguenti cose. I creditori erogheranno finanziamenti
con cui si rimborseranno quelli vecchi – il che equivale a un allungamento di
scadenze: nient’altro. Oppure, la Grecia farà default – non pagherà – e si
troverà, sul piano della sostanza, in una situazione comunque simile: il debito
sarà sempre quello, l’unica differenza è che non esisterà più un piano di
rimborso contrattualmente valido, e si dovrà continuare a lavorare per ridefinirne
uno. Che il riscadenziamento avvenga prima o dopo il default, non cambia, di
per sé, molto.
Il tema più
importante è l’ultimo tra quelli citati da Varoufakis. L’economia greca ha
bisogno di una forte iniezione di potere d’acquisto per riavviare un ciclo
positivo di consumi, domanda, investimenti e occupazione. L’accordo sul surplus
di bilancio e sul riscadenziamento non sono sufficienti.
Di quanti soldi si
sta parlando ? non cifre enormi in assoluto, gli ordini di grandezza sono
probabilmente 6-9 miliardi all’anno (3-5% del PIL greco). Ma le probabilità che
questi soldi arrivino dalla BEI o da qualche altra istituzione europea mi
appaiono veramente remotissime, direi fantascientifiche.
Dati i dubbi, i
tentennamenti, la mancanza di leadership, le incomprensioni, le diffidenze che
caratterizzano i creditori della Grecia e le autorità europee, i primi due
punti potrebbero trovare attuazione non necessariamente perché si troverà un
accordo, ma anche solo per inerzia.
In questo
scenario, la Grecia non realizzerà 3 miliardi di surplus primario, e neanche
1,8. Il rallentamento dell’economia connesso, naturalmente, anche all’attuale
situazione di incertezza, porterà a zero il saldo incassi – pagamenti. Lo stato
greco userà i soldi che riesce a raccogliere dai suoi cittadini, e stop.
E il
riscadenziamento avverrà di fatto, a seguito del default.
Ma se queste due
cose possono, e hanno buone probabilità di, accadere (come detto sopra) per
inerzia, un grosso programma di investimenti richiede al contrario una
decisione esplicita, per la quale non si intravede alcuna volontà politica, da
parte di nessun governo e di nessuna istituzione.
Questo ci riporta
alla proposta di emissione di una forma di strumento monetario nazionale, come
i Certificati di Credito Fiscale greci. Risolto, in un modo o nell’altro (non
fosse altro che per inattività) il problema del surplus e quello del
riscadenziamento, rimane quello (decisivo) delle risorse nuove, fresche, necessarie
a far ripartire l’economia.
Dall’esterno non
credo proprio che possano arrivare. Non dalla UE o dai creditori attuali. Dalla
Russia o dalla Cina in teoria sì: ma gli sconvolgimenti geopolitici che ne
seguirebbero fanno apparire molto fantasioso questo scenario (mi pare).
Rimane la strada
dell’emissione di CCF greci: uno strumento finanziario-monetario che è in grado
di far ripartire l’economia, e senza mettere in atto la rottura dell’Eurosistema.
E’ una strada innovativa:
ma è più plausibile, a mio modesto avviso, di tutte le altre, e il motivo è
molto semplice. La Grecia la può attuare senza chiedere nulla a nessuno.