domenica 12 ottobre 2014

Sto rivedendo le proiezioni


Le proiezioni, intendo, relative all’implementazione del progetto CCF, che condividerò qui sul blog (in forma completa) appena sono a punto.
Nel frattempo, la loro elaborazione mi ha condotto ad alcune riflessioni.
Lo scenario inerziale, in assenza di qualsiasi sostanziale mutamento di politiche macroeconomiche, è quello di un’Italia che continua a mantenere il deficit pubblico al 3% del PIL (nuove manovre restrittive, per non parlare di tentare di attuare il fiscal compact, porterebbero a un’ulteriore grave caduta di produzione e occupazione. Spero e credo che nessuno si sognerà di provarci).
Niente manovre restrittive ma anche niente manovre espansive, quindi. E’ ragionevole pensare che a questo corrisponda un tasso zero di crescita del PIL, sia nominale che reale. Zero variazione di volumi e zero variazione di prezzi.
Significa una costante pressione al ribasso sulle retribuzioni, ulteriore crescita della disoccupazione, nessuna ripresa dei consumi e della domanda interna.
Implica anche importazioni ferme, mentre l’unica voce in aumento sarebbe l’export. Anche senza ipotizzare grandi recuperi di competitività o ulteriori svalutazioni dell’euro, un’ipotesi di import al palo e di export che cresce per esempio al 3% annuo nominale (in linea con una previsione cautelativa della crescita mondiale) appare ragionevole.
E’ lo scenario di “mercantilismo eurozonico” di cui parlavo qui. E porterebbe l’Italia a conseguire surplus commerciali (già oggi vicini al 3% del PIL) e delle partite correnti intorno al 6% del PIL nel giro di quattro-cinque anni.
A questa previsione inerziale (che come spiegavo non considero plausibile, anche per motivi di politica internazionale – il mercantilismo alla tedesca esteso a tutta l’Eurozona è destabilizzante e non sarebbe accettato da americani e asiatici) sto applicando l’impatto del progetto CCF.
Una variante rispetto all’ipotesi originaria è che la dimensione complessiva delle assegnazioni di Certificati di Credito Fiscale va a regime (per un importo di circa 200 miliardi) non subito ma nell’arco di tre anni. Per esempio 90 nel 2015, che salgono a 150 nel 2016 e a 190-200 nel 2017.
In precedenza, era previsto che l’impatto dei CCF su domanda e PIL si ripartisse su tre anni ma che le assegnazioni avvenissero subito. La ripartizione degli impatti in tre anni riflette la valutazione che il sistema economico ha bisogno di un certo periodo di tempo per riattivare l’offerta attualmente non operativa (il che implica anche riassorbire la disoccupazione). Ma allora ha senso modificare il progetto suddividendo nel tempo anche le assegnazioni. L’idea attuale è che le assegnazioni a dipendenti e datori di lavoro partano subito, mentre la quota utilizzata per investimenti pubblici (che hanno tempi di definizione e avvio più lunghi) e altre iniziative di spesa decorra in parte dal 2016 e vada a regime nel 2017.
Il beneficio in termini di maggior reddito netto per lavoratori con retribuzioni nette annue non superiori a 20.000-25.000 euro, a cui corrisponde un costo azienda di 45.000-50.000 euro, è del 16% circa. Altrimenti detto, prendiamo il caso di un lavoratore con una retribuzione netta di 19.500 euro – 1.500 euro mensili per 13 mensilità – e un costo azienda di 40.000 circa.
Il lavoratore riceve, IN AGGIUNTA alla retribuzione di 1.500 euro cash mensili, CCF per 240. Mentre il datore di lavoro si vede assegnare 6.400 euro di CCF all’anno.
Attualmente sto utilizzando le seguenti ulteriori ipotesi:
Moltiplicatore keynesiano 1,30: un’azione espansiva produce un incremento di domanda e di produzione di 1,30 euro per ogni euro di importo.
Impatto sulle entrate fiscali e della pubblica amministrazione in genere: è stimato sulla base dell’attuale incidenza delle entrate sul PIL, che supera il 48%. Quindi per ogni euro di maggior PIL (rispetto allo scenario base, di non attuazione del progetto CCF) ci sono 0,48 euro di maggiori entrate per il settore pubblico definito in senso esteso, da cui poi vanno dedotti gli utilizzi dei CCF (dal momento in cui cominceranno a essere utilizzabili, quindi due anni dopo le prime assegnazioni).
Impatto sulla bilancia commerciale: ogni euro di assegnazioni di CCF alle aziende (che è una riduzione effettiva dei loro costi di lavoro) produce maggiori esportazioni per 0,50, e minori importazioni (sostituzione di import con produzioni domestiche) sempre per 0,50. Nello stesso tempo si ha, tuttavia, maggior import di materie prime, e di altri prodotti non sostituibili con produzione domestica, per il 26%-27% circa del maggior PIL (pari al rapporto import / PIL rilevato per l’Italia nel 2014).
Inflazione: dallo 0% attuale, sale gradualmente fino al 2% circa nel 2017 e rimane successivamente a questo livello.
Crescita del PIL dopo il 2017 (quando cioè le emissioni di CCF sono a regime): 1% reale all’anno (e 3% nominale, tenuto conto del 2% di inflazione).
NB A regime, ogni anno si assegnano 200 miliardi di CCF, ne vengono utilizzati altrettanti per pagare tasse e altre obbligazioni finanziarie verso la pubblica amministrazione, e l’ammontare complessivo in circolazione arriva a circa 400, senza più aumenti significativi. Vedi la tabella seguente.


2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

CCF in circolazione a inizio anno

 

92

242

343

388

391

394

CCF emessi

92

150

193

195

196

198

200

CCF utilizzati

92

150

193

195

196

CCF in circolazione a fine anno

 

92

242

343

388

391

394

398
 
I risultati più rilevanti prevedibili per il progetto CCF possono essere così sintetizzati.


2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

Variazione reale PIL

 

 

6,9%

4,1%

2,8%

1,0%

1,0%

1,0%

1,0%

Variazione deflatore PIL

0,9%

1,5%

1,9%

1,9%

1,9%

1,9%

2,0%

Variazione nominale PIL

 

7,9%

5,6%

4,8%

2,9%

3,0%

3,0%

3,0%

Considerando i CCF come moneta

 

 

 

 

 

 

 

Surplus (deficit) pubblico / PIL

-3,0%

0,7%

3,3%

0,6%

-1,0%

-1,6%

-0,3%

1,1%

Debito pubblico / PIL

131,6%

121,3%

111,5%

105,8%

103,8%

102,4%

99,7%

95,7%

Considerando i CCF come debito

 

 

 

 

 

 

 

Surplus (deficit) pubblico / PIL

-3,0%

-4,5%

-4,8%

-4,6%

-3,2%

-1,8%

-0,4%

0,9%

Debito pubblico / PIL

131,6%

126,5%

124,6%

123,5%

123,1%

121,4%

118,3%

114,0%

Saldo commerciale / PIL

2,8%

2,8%

2,3%

1,8%

1,8%

1,8%

1,8%

1,7%

Saldo partite correnti / PIL

1,4%

1,4%

1,0%

0,4%

0,4%

0,4%

0,4%

0,4%
 
 
La crescita del PIL reale è pari al 14% circa complessivo nel triennio 2015-2017, e i saldi commerciali esteri rimangono in sostanziale equilibrio, anzi leggermente positivi.
Quanto agli indicatori di finanza pubblica, il modo che ritengo corretto di esporre i dati è, naturalmente, quello che considera i CCF come una forma di moneta (quale sono, in quanto non c’è nessun obbligo per lo Stato italiano di rimborsarli). Nei tre anni in cui i CCF vanno a regime (cioè se ne emettono più di quanti se ne utilizzano) il bilancio pubblico va addirittura in surplus (cioè la pubblica amministrazione italiana incassa più euro di quanti ne paga). Ma anche negli anni successivi si verifica un sostanziale pareggio, e una rapida riduzione del rapporto debito pubblico lordo / PIL (che scende sotto il 100% nel 2020).
Sono indicati, comunque, i medesimi parametri anche sotto l’ipotesi che i CCF siano considerati debito. Che è, sostanzialmente, lo stesso trend che si avrebbe se lo Stato italiano effettuasse la manovra espansiva senza ricorrere ai CCF, ma semplicemente sforando il limite del 3% per il rapporto deficit pubblico / PIL.
E’ molto significativo che, in quest’ultimo caso, si arriva a ottenere lo stesso recupero di PIL reale (14% circa in tre anni), con saldi commerciali esteri in equilibrio, e ad avviare una graduale ma continua riduzione del rapporto debito pubblico / PIL:
espandendo, tra il 2015 e il 2017, il rapporto deficit pubblico / PIL, ma senza mai superare il 5%;
riportandolo a poco più del 3% nel 2018; e
raggiungendo il pareggio di bilancio pubblico intorno al 2020-2021.
Tutto questo indica che la “flessibilità” che serve all’Italia per avviare una forte ripresa e per riequilibrare i dati di finanza pubblica (anche rimanendo all’interno dell’eurosistema, con tutti i suoi difetti e inefficienze) è veramente qualcosa di molto, molto modesto rispetto alle dimensioni dei problemi attuali (nostri e dell’Eurozona in generale). E che è veramente insensato non chiedere e non ottenere questi livelli di flessibilità. O, semplicemente, non prenderseli