Le proiezioni, intendo,
relative all’implementazione del progetto CCF, che condividerò qui sul blog (in
forma completa) appena sono a punto.
Nel frattempo,
la loro elaborazione mi ha condotto ad alcune riflessioni.
Lo scenario
inerziale, in assenza di qualsiasi sostanziale mutamento di politiche
macroeconomiche, è quello di un’Italia che continua a mantenere il deficit
pubblico al 3% del PIL (nuove manovre restrittive, per non parlare di tentare
di attuare il fiscal compact, porterebbero a un’ulteriore grave caduta di
produzione e occupazione. Spero e credo che nessuno si sognerà di provarci).
Niente manovre
restrittive ma anche niente manovre espansive, quindi. E’ ragionevole pensare
che a questo corrisponda un tasso zero di crescita del PIL, sia nominale che
reale. Zero variazione di volumi e zero variazione di prezzi.
Significa una
costante pressione al ribasso sulle retribuzioni, ulteriore crescita della
disoccupazione, nessuna ripresa dei consumi e della domanda interna.
Implica anche
importazioni ferme, mentre l’unica voce in aumento sarebbe l’export. Anche
senza ipotizzare grandi recuperi di competitività o ulteriori svalutazioni
dell’euro, un’ipotesi di import al palo e di export che cresce per esempio al
3% annuo nominale (in linea con una previsione cautelativa della crescita
mondiale) appare ragionevole.
E’ lo scenario
di “mercantilismo eurozonico” di cui parlavo qui. E porterebbe l’Italia a
conseguire surplus commerciali (già oggi vicini al 3% del PIL) e delle partite
correnti intorno al 6% del PIL nel giro di quattro-cinque anni.
A questa
previsione inerziale (che come spiegavo non considero plausibile, anche per
motivi di politica internazionale – il mercantilismo alla tedesca esteso a
tutta l’Eurozona è destabilizzante e non sarebbe accettato da americani e
asiatici) sto applicando l’impatto del progetto CCF.
Una variante
rispetto all’ipotesi originaria è che la dimensione complessiva delle
assegnazioni di Certificati di Credito Fiscale va a regime (per un importo di
circa 200 miliardi) non subito ma nell’arco di tre anni. Per esempio 90 nel
2015, che salgono a 150 nel 2016 e a 190-200 nel 2017.
In precedenza, era
previsto che l’impatto dei CCF su domanda e PIL si ripartisse su tre anni ma
che le assegnazioni avvenissero subito. La ripartizione degli impatti in tre
anni riflette la valutazione che il sistema economico ha bisogno di un certo
periodo di tempo per riattivare l’offerta attualmente non operativa (il che
implica anche riassorbire la disoccupazione). Ma allora ha senso modificare il
progetto suddividendo nel tempo anche le assegnazioni. L’idea attuale è che le
assegnazioni a dipendenti e datori di lavoro partano subito, mentre la quota
utilizzata per investimenti pubblici (che hanno tempi di definizione e avvio più
lunghi) e altre iniziative di spesa decorra in parte dal 2016 e vada a regime nel
2017.
Il beneficio in
termini di maggior reddito netto per lavoratori con retribuzioni nette annue
non superiori a 20.000-25.000 euro, a cui corrisponde un costo azienda di
45.000-50.000 euro, è del 16% circa. Altrimenti detto, prendiamo il caso di un
lavoratore con una retribuzione netta di 19.500 euro – 1.500 euro mensili per
13 mensilità – e un costo azienda di 40.000 circa.
Il lavoratore
riceve, IN AGGIUNTA alla retribuzione di 1.500 euro cash mensili, CCF per 240.
Mentre il datore di lavoro si vede assegnare 6.400 euro di CCF all’anno.
Attualmente sto
utilizzando le seguenti ulteriori ipotesi:
Moltiplicatore
keynesiano
1,30: un’azione espansiva produce un incremento di domanda e di produzione di
1,30 euro per ogni euro di importo.
Impatto sulle
entrate fiscali
e della pubblica amministrazione in genere: è stimato sulla base dell’attuale
incidenza delle entrate sul PIL, che supera il 48%. Quindi per ogni euro di
maggior PIL (rispetto allo scenario base, di non attuazione del progetto CCF)
ci sono 0,48 euro di maggiori entrate per il settore pubblico definito in senso
esteso, da cui poi vanno dedotti gli utilizzi dei CCF (dal momento in cui cominceranno
a essere utilizzabili, quindi due anni dopo le prime assegnazioni).
Impatto sulla
bilancia commerciale:
ogni euro di assegnazioni di CCF alle aziende (che è una riduzione effettiva
dei loro costi di lavoro) produce maggiori esportazioni per 0,50, e minori
importazioni (sostituzione di import con produzioni domestiche) sempre per
0,50. Nello stesso tempo si ha, tuttavia, maggior import di materie prime, e di
altri prodotti non sostituibili con produzione domestica, per il 26%-27% circa
del maggior PIL (pari al rapporto import / PIL rilevato per l’Italia nel 2014).
Inflazione: dallo 0%
attuale, sale gradualmente fino al 2% circa nel 2017 e rimane successivamente a
questo livello.
Crescita del PIL
dopo il 2017
(quando cioè le emissioni di CCF sono a regime): 1% reale all’anno (e 3%
nominale, tenuto conto del 2% di inflazione).
NB A regime, ogni
anno si assegnano 200 miliardi di CCF, ne vengono utilizzati altrettanti per
pagare tasse e altre obbligazioni finanziarie verso la pubblica
amministrazione, e l’ammontare complessivo in circolazione arriva a circa 400,
senza più aumenti significativi. Vedi la tabella seguente.
2014
|
2015
|
2016
|
2017
|
2018
|
2019
|
2020
|
2021
| |||
CCF in circolazione a inizio anno
|
|
92
|
242
|
343
|
388
|
391
|
394
| |||
CCF emessi
|
92
|
150
|
193
|
195
|
196
|
198
|
200
| |||
CCF utilizzati
|
92
|
150
|
193
|
195
|
196
| |||||
CCF in circolazione a fine anno
|
|
92
|
242
|
343
|
388
|
391
|
394
|
398
|
I risultati più
rilevanti prevedibili per il progetto CCF possono essere così sintetizzati.
2014
|
2015
|
2016
|
2017
|
2018
|
2019
|
2020
|
2021
| |||
Variazione reale PIL
|
|
|
6,9%
|
4,1%
|
2,8%
|
1,0%
|
1,0%
|
1,0%
|
1,0%
| |
Variazione deflatore PIL
|
0,9%
|
1,5%
|
1,9%
|
1,9%
|
1,9%
|
1,9%
|
2,0%
| |||
Variazione nominale PIL
|
|
7,9%
|
5,6%
|
4,8%
|
2,9%
|
3,0%
|
3,0%
|
3,0%
| ||
Considerando i CCF come moneta
|
|
|
|
|
|
|
| |||
Surplus (deficit) pubblico / PIL
|
-3,0%
|
0,7%
|
3,3%
|
0,6%
|
-1,0%
|
-1,6%
|
-0,3%
|
1,1%
| ||
Debito pubblico / PIL
|
131,6%
|
121,3%
|
111,5%
|
105,8%
|
103,8%
|
102,4%
|
99,7%
|
95,7%
| ||
Considerando i CCF come debito
|
|
|
|
|
|
|
| |||
Surplus (deficit) pubblico / PIL
|
-3,0%
|
-4,5%
|
-4,8%
|
-4,6%
|
-3,2%
|
-1,8%
|
-0,4%
|
0,9%
| ||
Debito pubblico / PIL
|
131,6%
|
126,5%
|
124,6%
|
123,5%
|
123,1%
|
121,4%
|
118,3%
|
114,0%
| ||
Saldo commerciale / PIL
|
2,8%
|
2,8%
|
2,3%
|
1,8%
|
1,8%
|
1,8%
|
1,8%
|
1,7%
| ||
Saldo partite correnti / PIL
|
1,4%
|
1,4%
|
1,0%
|
0,4%
|
0,4%
|
0,4%
|
0,4%
|
0,4%
|
La crescita del
PIL reale è pari al 14% circa complessivo nel triennio 2015-2017, e i saldi commerciali
esteri rimangono in sostanziale equilibrio, anzi leggermente positivi.
Quanto agli
indicatori di finanza pubblica, il modo che ritengo corretto di esporre i dati
è, naturalmente, quello che considera i CCF come una forma di moneta (quale
sono, in quanto non c’è nessun obbligo per lo Stato italiano di rimborsarli).
Nei tre anni in cui i CCF vanno a regime (cioè se ne emettono più di quanti se
ne utilizzano) il bilancio pubblico va addirittura in surplus (cioè la pubblica
amministrazione italiana incassa più euro di quanti ne paga). Ma anche negli
anni successivi si verifica un sostanziale pareggio, e una rapida riduzione del
rapporto debito pubblico lordo / PIL (che scende sotto il 100% nel 2020).
Sono indicati,
comunque, i medesimi parametri anche sotto l’ipotesi che i CCF siano
considerati debito. Che è, sostanzialmente, lo stesso trend che si avrebbe se
lo Stato italiano effettuasse la manovra espansiva senza ricorrere ai CCF, ma
semplicemente sforando il limite del 3% per il rapporto deficit pubblico / PIL.
E’ molto
significativo che, in quest’ultimo caso, si arriva a ottenere lo stesso
recupero di PIL reale (14% circa in tre anni), con saldi commerciali esteri in
equilibrio, e ad avviare una graduale ma continua riduzione del rapporto debito
pubblico / PIL:
espandendo, tra
il 2015 e il 2017, il rapporto deficit pubblico / PIL, ma senza mai superare
il 5%;
riportandolo a
poco più del 3% nel 2018; e
raggiungendo il
pareggio di bilancio pubblico intorno al 2020-2021.
Tutto questo
indica che la “flessibilità” che serve all’Italia per avviare una forte ripresa
e per riequilibrare i dati di finanza pubblica (anche rimanendo all’interno
dell’eurosistema, con tutti i suoi difetti e inefficienze) è veramente qualcosa
di molto, molto modesto rispetto alle dimensioni dei problemi attuali (nostri e
dell’Eurozona in generale). E che è veramente insensato non chiedere e non
ottenere questi livelli di flessibilità. O, semplicemente, non prenderseli…