A seguito di
alcune riflessioni sviluppate insieme a Enrico Grazzini, chiarisco qui di seguito una
serie di elementi rilevanti per la stima del moltiplicatore keynesiano utilizzato nel valutare gli impatti del progetto CCF.
Un primo punto
che è forse meno evidente di quanto pensassi: il moltiplicatore non ipotizza
alcun beneficio dovuto al fatto che il maggior potere d’acquisto in
circolazione produca maggiori investimenti aziendali. Ipotizza invece che il
maggior potere d’acquisto incrementi la domanda:
PER CONSUMI
(quando va alle persone fisiche, tramite minori tasse o maggiori trasferimenti)
PER SPESA
PUBBLICA (quando viene utilizzato per spese delle pubbliche amministrazioni,
via investimenti pubblici, assunzione di personale ecc.)
PER ESPORTAZIONI
NETTE (in quanto i CCF vengono in parte assegnati alle aziende, diminuiscono il
costo del lavoro e le rendono più competitive, quindi in grado di esportare di
più e di sostituire importazioni con produzioni domestiche).
Il migliorato
clima economico alimenterà, nel tempo, anche maggiori investimenti aziendali,
ma questo nella stima del moltiplicatore utilizzato non è recepito in quanto ci
si è limitati a considerare l’impatto NELL’ANNO del maggior potere d’acquisto
in circolazione NELL’ANNO STESSO. Gli investimenti aziendali privati
cresceranno via via che (1) le aziende prenderanno sempre più fiducia in merito
alla permanenza della maggior domanda, e inoltre che (2) si sarà riassorbita la
capacità produttiva attualmente inutilizzata, oggi altissima. Questo beneficio
ci sarà, ma richiederà più tempo per dispiegarsi in misura sostanziale,
probabilmente un paio d’anni. I modelli di stima utilizzati non lo recepiscono,
il che va considerato un fattore di conservatività.
Un secondo tema
di cui si è discusso è l’assunzione, sopra citata, che i CCF assegnati alle
aziende (in funzione dei costi di lavoro da esse sostenuti) producano il loro
beneficio per il tramite dell’incremento di competitività, e quindi delle
esportazioni nette. Questo richiede che le aziende abbassino i prezzi di
vendita. Non è garantito che lo facciano: potrebbero tesaurizzare i CCF, oppure
venderli per effettuare investimenti finanziari (o di altro tipo), investire
all’estero, ridurre i debiti, aumentare i dividendi agli azionisti ecc.
Tuttavia, nel
momento in cui i CCF sono assegnati alle aziende, anche nell’eventualità in cui
queste ultime decidano di non abbassare i prezzi, realizzeranno maggiori utili:
che verranno evidentemente utilizzati per uno degli scopi di cui sopra, ma che
comunque costituiscono una componente di reddito nazionale, quindi di PIL.
In ogni modo,
nel momento in cui un sistema economico ha un livello anomalo (cioè molto alto)
di capacità produttiva inutilizzata, l’incentivo ad abbassare i prezzi e a
incrementare le quantità prodotte e l’occupazione è particolarmente alto. Se la
capacità produttiva è satura, l’abbassamento di una componente di costo induce
l’azienda ad aumentare la produzione, ma fino a un certo punto, perché prima
occorre aumentare la capacità produttiva e questo richiede investimenti e costi
fissi. Se la capacità è molto sottoutilizzata, queste remore incidono molto
meno e la spinta a ridurre i prezzi, produrre di più e quindi anche aumentare
l’occupazione è decisamente più elevata.
Il
moltiplicatore utilizzato, pari a 1,20 – 1,30, è in linea con le ipotesi della
letteratura più recente (Blanchard, Krugman ecc.) che spesso non fanno
riferimento a una situazione di economia aperta: non esplicitano cioè l’impatto
di variazioni nei saldi commerciali esteri. Naturalmente questo vale se
l’analisi è condotta con riferimento all’economia mondiale nel suo complesso,
oppure (quando si ragiona su un singolo paese) se intervengono fattori di
ribilanciamento automatico dei saldi commerciali esteri (come può essere –
anche se non è scontato o automatico che questo avvenga in modo rapido e
completo – la fluttuazione dei cambi). E’ comunque un problema relativamente
modesto se ci si riferisce a un economia di grandi dimensioni e con incidenza
relativamente bassa dell’interscambio estero, come quella USA.
Queste ipotesi,
evidentemente, non valgono nella situazione italiana. Il progetto CCF,
tuttavia, prevede di dosare le allocazioni di CCF alle aziende (a riduzione dei
loro costi di lavoro effettivi) in modo, appunto, da lasciare invariati i saldi
commerciali esteri, ottenendo una compensazione tra le maggiori esportazioni
nette e la crescita dell’import dovuta all’incremento della domanda interna.
E’ un risultato
ottenibile allocando CCF alle aziende nella misura necessaria a compensare la
perdita di competitività del sistema economico italiano subita, rispetto alle
maggiori controparti commerciali, dall’introduzione dell’euro (nel 1999 i saldi
commerciali esteri italiani erano in equilibrio, in un periodo in cui non
esistevano condizioni di domanda interna depressa) a oggi. In funzione
dell’effettiva risposta del sistema, le allocazioni possono anche essere
successivamente aumentate o diminuite per mantenere in equilibrio gli effetti
sui saldi commerciali esteri.
E’ anche
possibile (ed è un’ipotesi di cui si è parlato) privilegiare, nell’allocazione
dei CCF, i settori maggiormente esposti alla concorrenza internazionale.
Nel presupposto
in cui il progetto CCF sia applicato rispettando il principio di non modificare
l’equilibrio dei saldi esteri (presupposto che è sempre stato uno degli
elementi chiave della proposta) il moltiplicatore di 1,20 e 1,30 è quindi
plausibile e affidabile.
Non riesco a capire se intendi moltiplicatore del reddito nel senso di quanto darà moltiplicato il valore dei ccf oppure in senso esteso quanto sarà moltiplicatoil pil...
RispondiEliminaDi quanto sarà moltiplicato l'importo dei CCF: incremento del PIL prodotto per ogni euro di incremento dei CCF emessi.
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