sabato 5 dicembre 2015

Stima del moltiplicatore: chiarimenti e precisazioni


A seguito di alcune riflessioni sviluppate insieme a Enrico Grazzini, chiarisco qui di seguito una serie di elementi rilevanti per la stima del moltiplicatore keynesiano utilizzato nel valutare gli impatti del progetto CCF.

Un primo punto che è forse meno evidente di quanto pensassi: il moltiplicatore non ipotizza alcun beneficio dovuto al fatto che il maggior potere d’acquisto in circolazione produca maggiori investimenti aziendali. Ipotizza invece che il maggior potere d’acquisto incrementi la domanda:

PER CONSUMI (quando va alle persone fisiche, tramite minori tasse o maggiori trasferimenti)

PER SPESA PUBBLICA (quando viene utilizzato per spese delle pubbliche amministrazioni, via investimenti pubblici, assunzione di personale ecc.)

PER ESPORTAZIONI NETTE (in quanto i CCF vengono in parte assegnati alle aziende, diminuiscono il costo del lavoro e le rendono più competitive, quindi in grado di esportare di più e di sostituire importazioni con produzioni domestiche).

Il migliorato clima economico alimenterà, nel tempo, anche maggiori investimenti aziendali, ma questo nella stima del moltiplicatore utilizzato non è recepito in quanto ci si è limitati a considerare l’impatto NELL’ANNO del maggior potere d’acquisto in circolazione NELL’ANNO STESSO. Gli investimenti aziendali privati cresceranno via via che (1) le aziende prenderanno sempre più fiducia in merito alla permanenza della maggior domanda, e inoltre che (2) si sarà riassorbita la capacità produttiva attualmente inutilizzata, oggi altissima. Questo beneficio ci sarà, ma richiederà più tempo per dispiegarsi in misura sostanziale, probabilmente un paio d’anni. I modelli di stima utilizzati non lo recepiscono, il che va considerato un fattore di conservatività.

Un secondo tema di cui si è discusso è l’assunzione, sopra citata, che i CCF assegnati alle aziende (in funzione dei costi di lavoro da esse sostenuti) producano il loro beneficio per il tramite dell’incremento di competitività, e quindi delle esportazioni nette. Questo richiede che le aziende abbassino i prezzi di vendita. Non è garantito che lo facciano: potrebbero tesaurizzare i CCF, oppure venderli per effettuare investimenti finanziari (o di altro tipo), investire all’estero, ridurre i debiti, aumentare i dividendi agli azionisti ecc.

Tuttavia, nel momento in cui i CCF sono assegnati alle aziende, anche nell’eventualità in cui queste ultime decidano di non abbassare i prezzi, realizzeranno maggiori utili: che verranno evidentemente utilizzati per uno degli scopi di cui sopra, ma che comunque costituiscono una componente di reddito nazionale, quindi di PIL.

In ogni modo, nel momento in cui un sistema economico ha un livello anomalo (cioè molto alto) di capacità produttiva inutilizzata, l’incentivo ad abbassare i prezzi e a incrementare le quantità prodotte e l’occupazione è particolarmente alto. Se la capacità produttiva è satura, l’abbassamento di una componente di costo induce l’azienda ad aumentare la produzione, ma fino a un certo punto, perché prima occorre aumentare la capacità produttiva e questo richiede investimenti e costi fissi. Se la capacità è molto sottoutilizzata, queste remore incidono molto meno e la spinta a ridurre i prezzi, produrre di più e quindi anche aumentare l’occupazione è decisamente più elevata.

Il moltiplicatore utilizzato, pari a 1,20 – 1,30, è in linea con le ipotesi della letteratura più recente (Blanchard, Krugman ecc.) che spesso non fanno riferimento a una situazione di economia aperta: non esplicitano cioè l’impatto di variazioni nei saldi commerciali esteri. Naturalmente questo vale se l’analisi è condotta con riferimento all’economia mondiale nel suo complesso, oppure (quando si ragiona su un singolo paese) se intervengono fattori di ribilanciamento automatico dei saldi commerciali esteri (come può essere – anche se non è scontato o automatico che questo avvenga in modo rapido e completo – la fluttuazione dei cambi). E’ comunque un problema relativamente modesto se ci si riferisce a un economia di grandi dimensioni e con incidenza relativamente bassa dell’interscambio estero, come quella USA.

Queste ipotesi, evidentemente, non valgono nella situazione italiana. Il progetto CCF, tuttavia, prevede di dosare le allocazioni di CCF alle aziende (a riduzione dei loro costi di lavoro effettivi) in modo, appunto, da lasciare invariati i saldi commerciali esteri, ottenendo una compensazione tra le maggiori esportazioni nette e la crescita dell’import dovuta all’incremento della domanda interna.

E’ un risultato ottenibile allocando CCF alle aziende nella misura necessaria a compensare la perdita di competitività del sistema economico italiano subita, rispetto alle maggiori controparti commerciali, dall’introduzione dell’euro (nel 1999 i saldi commerciali esteri italiani erano in equilibrio, in un periodo in cui non esistevano condizioni di domanda interna depressa) a oggi. In funzione dell’effettiva risposta del sistema, le allocazioni possono anche essere successivamente aumentate o diminuite per mantenere in equilibrio gli effetti sui saldi commerciali esteri.

E’ anche possibile (ed è un’ipotesi di cui si è parlato) privilegiare, nell’allocazione dei CCF, i settori maggiormente esposti alla concorrenza internazionale.
Nel presupposto in cui il progetto CCF sia applicato rispettando il principio di non modificare l’equilibrio dei saldi esteri (presupposto che è sempre stato uno degli elementi chiave della proposta) il moltiplicatore di 1,20 e 1,30 è quindi plausibile e affidabile.

2 commenti:

  1. Non riesco a capire se intendi moltiplicatore del reddito nel senso di quanto darà moltiplicato il valore dei ccf oppure in senso esteso quanto sarà moltiplicatoil pil...

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    1. Di quanto sarà moltiplicato l'importo dei CCF: incremento del PIL prodotto per ogni euro di incremento dei CCF emessi.

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