mercoledì 2 dicembre 2015

Come avviare una ripresa che non c’è



Un recente rapporto di Mediobanca fa il punto sull’economia italiana, in particolare analizzando il Jobs Act. La grande banca d’affari è ottimista sui benefici di un mercato del lavoro flessibile. Non può, tuttavia, esimersi dal notare che il recupero del PIL è ben lontano dall’essere un’autentica ripresa.

Il Ministero dell’Economia, nell’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (settembre scorso), prevede una crescita dello 0,9% nel 2015 e un’accelerazione all’1,3%-1,5% nel 2016-2019.

Zero virgola o uno virgola non è ripresa. Ripresa è se l’Italia comincia a creare lavoro e a recuperare il milione di posti persi tra il 2008 e il 2014. A questi ritmi non c’è recupero: al massimo, il quadro dell’occupazione non peggiora.

Al di là dell’ottimismo di facciata, Renzi ne appare consapevole. Spesso afferma che le regole dell’Eurosistema – soprattutto i limiti al rapporto deficit pubblico / PIL – insistono troppo sul consolidamento fiscale, a scapito dello sviluppo. Regolarmente però aggiunge “sono sbagliate ma le rispetteremo”.

Questo però non è accettabile. Senza una vera ripresa produttiva e occupazionale, il consolidamento fiscale è controproducente e peraltro destinato a fallire.

Consapevole della situazione, il responsabile dell’ufficio studi di Mediobanca Securities, Antonio Guglielmi (con cui ho avuto il piacere di collaborare sul tema) riprende la proposta che ho elaborato insieme a un gruppo di ricercatori, tra cui Biagio Bossone, Massimo Costa, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini e il compianto Luciano Gallino.

Si tratta di introdurre un nuovo strumento finanziario, i Certificati di Credito Fiscale (CCF): titoli da assegnare gratuitamente a una pluralità di soggetti – lavoratori, aziende, pensionati, disoccupati, fornitori del settore pubblico. Un CCF dà diritto a ridurre pagamenti futuri dovuti alle pubbliche amministrazioni, per qualsiasi causale (tasse, imposte, contributi, tariffe, ticket sanitari).

Sono, quindi, diritti a sconti fiscali futuri. Il titolare può monetizzarli in anticipo in quanto un CCF emesso, ad esempio, a giugno 2016 e utilizzabile a partire dal giugno 2018, ha valore fin d’oggi: è infatti negoziabile e trasferibile, con un prezzo di mercato pari al valore facciale (lo sconto fiscale usufruibile alla scadenza) al netto di un fattore di attualizzazione finanziaria (presumibilmente modesto) che incorpora l’effetto del differimento.

Mediobanca analizza gli effetti di un’emissione di 20 miliardi di CCF nel 2016, incrementati a 40 dal 2017 in poi. Ne segue la crescita del potere d’acquisto in circolazione e della domanda aggregata.

Benché più contenute rispetto ad altre ipotesi elaborate dal nostro gruppo di ricerca, sono dimensioni sufficienti a portare lo sviluppo del PIL italiano al 3% annuo, avviando il recupero dell’occupazione e risanando il tessuto produttivo.

La crescita del PIL produce anche l’aumento del gettito, compensando gli sconti fiscali ottenuti, a scadenza, dai titolari dei CCF. Il maggior denominatore riduce il rapporto debito pubblico / PIL, mentre il deficit (inteso come differenza tra spese pubbliche e incassi pubblici in euro) rimane a zero in ogni anno.

Una parte delle assegnazioni di CCF andranno alle aziende, in funzione dei costi di lavoro sostenuti. Questo riduce il costo del lavoro effettivo, migliora la competitività ed evita che la ripresa squilibri i saldi commerciali esteri. La maggiore competitività consentirà infatti alle aziende italiane di esportare di più e di guadagnare quote di mercato interno nei confronti della concorrenza estera, compensando le maggiori importazioni dovute alla ripresa.

I CCF consentono anche di introdurre un sistema di “clausole di salvaguardia non pro-cicliche”. Se in un dato anno la congiuntura mettesse a rischio gli obiettivi di finanza pubblica, in particolare l’equilibrio entrate-uscite in euro, il governo potrebbe sostenere in CCF (e non in euro) alcune spese, o introdurre imposte a fronte delle quali il contribuente riceve una compensazione in CCF.

Se Monti avesse utilizzato questi strumenti, le azioni di consolidamento fiscale non avrebbero causato la pesante contrazione di PIL e occupazione (5% di PIL e 500.000 posti di lavoro persi) prodottasi nel 2012-2013.

I CCF permettono inoltre di raggiungere le finalità del Fiscal Compact. L’Eurosistema prevede che la BCE garantisca i debiti pubblici dei vari paesi, purché s’impegnino al pareggio di bilancio e alla riduzione del rapporto debito / PIL. In pratica la BCE garantisce gli attuali livelli di debito, se non si incrementano.

Ora, i CCF consentono manovre espansive ed anticicliche senza richiedere maggiori garanzie alla BCE. Non sono, infatti, debito da rimborsare. Non sono collocati sul mercato per raccogliere denaro da restituire a scadenza. Lo stato emittente si impegna solo ad accettarli a riduzione di pagamenti futuri, dovuti all’emittente stesso. Un impegno che nessuno potrà costringerlo a disconoscere: l’emittente non può essere forzato al default.

I CCF non sono peraltro neanche moneta legale. Non esiste obbligo di accettazione da parte di soggetti privati o pubblici (stato emittente a parte). L’unico emittente di moneta legale ad accettazione obbligatoria in tutta l’Eurozona (l’euro) rimane la BCE.

I CCF sono un ibrido: né debito né moneta legale. Ma hanno valore, incrementano il potere d’acquisto in circolazione e risolvono le disfunzionalità dell’Eurosistema.

Non sorprendentemente, ricevo spesso critiche sia da chi ritiene l’euro comunque destinato alla rottura, sia da chi vuole evitarla e vede i CCF come l’anticamera della scomparsa dell’euro.

Ai primi, faccio notare che l’attuale sistema è disfunzionale e va corretto: ma “spaccare” la moneta unica ha difficoltà operative e politiche ardue da superare.

Ai secondi, che l’Eurosistema odierno, se non se ne risolvono le gravissime inefficienze, implica anni di ristagno economico, tensioni sociali crescenti ed è alla fine, comunque, condannato all’estinzione. Certo, i CCF potrebbero diffondersi fino a sostituire totalmente l’euro. Ma non ce n’è necessità, se il sistema diventa funzionale. D’altra parte il rischio di rottura / scomparsa dell’euro rimarrà, altrimenti, sempre presente.

Ripetere di continuo (come fa Draghi, e nella sua posizione si può capirlo…) che “l’euro è irreversibile” indica la consapevolezza che la reversibilità è invece un’ipotesi concreta. Janet Yellen non affermerebbe mai che il dollaro è irreversibile…

Sono i difetti dell’Eurosistema odierno che ne fanno rischiare l’estinzione. I CCF sono in grado di rendere efficiente un assetto che oggi non è tale.

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