giovedì 10 dicembre 2015

L’”Output Gap” dell’Eurozona



Alcuni giorni fa Paul Krugman esaminava alcuni dati riguardanti inflazione e disoccupazione nell’Eurozona. E si stupiva che questi dati portassero a stimare nell’8% circa l’Output Gap, cioè il minor livello del PIL attuale rispetto a quanto si dovrebbe rilevare in condizioni economiche normali: un ammanco enorme.

Lo stupore è probabilmente dovuto al fatto che le stime fornite da OCSE, FMI e Commissione Europea sono molto più basse, tendenzialmente intorno al 2-3%.

In realtà la stima dell’8% è decisamente più vicina alla realtà, anzi è probabilmente errata per difetto. Rendersene conto non è difficile partendo dalla constatazione che il PIL italiano 2015 è inferiore del 9% a quello del 2007.

Prima dell’inizio della crisi, sarebbe stata considerata deludente una crescita di nove punti nel giro di otto anni (poco più dell’1% medio). L’ordine di grandezza dell’Output Gap italiano è quindi stimabile non nel 9%, ma nel 18% almeno. E tenuto conto che il PIL italiano è circa un sesto di quello dell’Eurozona, l’Italia contribuisce da sola per un 3% circa all’Output Gap totale di quest’ultima.

Un altro 3% circa è attribuibile a Francia + Spagna, che sono in condizioni meno depresse rispetto al nostro paese, ma il cui PIL combinato è il doppio di quello italiano.
Aggiungiamo gli altri paesi meridionali in pesante crisi (Portogallo, Grecia) e le altre economie dell’area euro in condizione tutt’altro che ottimale (Finlandia, Paesi Bassi) e una stima dell’8% appare, appunto, completamente verosimile.

Un’altra indicazione interessante proviene dal fatto che dal 1999 a oggi, l’Eurozona ha accumulato un ammanco di crescita, rispetto al Regno Unito (la più importante economia europea che non usa l’euro) del 12% circa (ammanco tra l’altro in costante incremento, trimestre dopo trimestre, perché la crescita del Regno Unito continua a essere più sostenuta di quella dell’Eurozona).

Una parte di questo vuoto di PIL si spiega con la minor crescita demografica, ma il grosso è dovuto ai vincoli dell’Eurosistema e alla conseguente catastrofica gestione degli eventi successivi alla crisi Lehman del 2008 e alla crisi dei debiti sovrani, soprattutto dal 2011 in poi.

E va ricordato che il Regno Unito non è stata in questi anni un’economia fortemente dinamica, e che la crisi finanziaria l’ha colpito in modo particolarmente accentuato (visto il peso del settore bancario – finanziario).

Pur essendo profondamente critico in merito alle modalità di conduzione macroeconomica dell’Eurozona, Krugman tende a prendere per buone, almeno in prima approssimazione, le stime delle organizzazioni sovranazionali. La verità è invece che FMI, OCSE e soprattutto Commissione Europea stanno arrampicandosi sugli specchi per occultare le disastrose conseguenze dell’Eurosistema e delle politiche di austerità: tra le altre cose, sottostimando pesantemente le potenzialità produttive e di crescita dell’Eurozona, e quindi lo scarto tra il PIL effettivo e quello potenziale.

Si sta parlando di molte centinaia di miliardi di PIL perso ogni anno, di svariati milioni di posti di lavoro in meno, di decine di migliaia di aziende fallite. E mese dopo mese i numeri crescono.

4 commenti:

  1. Giuseppe Cernuto: L'output gap però non può essere la somma dei singoli output gap annuali. Il problema è che nel tempo le aziende muoiono, quindi una parte della capacità produttiva che prima rimaneva disimpegnata ma disponibile va definitivamente perduta.

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    1. Definitivamente no. Le persone sono sempre lì. La capacità di produrre e le competenze rimangono. Alcune aziende muoiono ma le potenzialità per farne nascere altre c'è, in meno tempo di quanto non si creda (se le politiche economiche cambiano finalmente direzione). Vedi i post del 5.3.2014 e del 3.9.2015.

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    2. Giuseppe Cernuto: Sarò pessimista ma non sono d'accordo.
      Non solo spariscono le infrastrutture (capannoni, macchinari, ecc.) ma spariscono anche competenze (che si dedicano ad altro e emigrano). E soprattutto le competenze disponibili ma non più impiegate "invecchiano", diventano obsolete senza allinearsi con le ultime innovazioni, dato che non vengono più utilizzate sul campo.

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    3. Guarda, erano cose che si dicevano anche negli anni 30 negli USA al culmine della Grande Depressione. Poi quando la domanda è ripartita (in seguito alla guerra, ma questa è un'altra storia: non c'era motivo perchè non potesse avvenire per altre vie) il trend del PIL ha recuperato TUTTO il terreno perso.

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