lunedì 29 luglio 2013

Quantitative Easing, di nuovo


Paul Krugman torna sull’argomento, con alcune considerazioni che si collegano a quanto s’era detto qui, e ad altre che potrete leggere nel libro.
 
In sintesi: il Quantitative Easing consiste nell’acquisto, da parte della Banca Centrale, di titoli di Stato e attività finanziarie, per immettere liquidità nell’economia nelle situazioni in cui i tassi d’interesse praticati dalla BC al sistema bancario sono scesi pressoché a zero, ma questo non basta a uscire da una situazione di trappola della liquidità e di depressione.
 
Krugman ha ragione a sostenere che il QE è figlio delle critiche della scuola monetarista di Milton Friedman alle politiche keynesiane. In pratica la posizione monetarista è: la politica fiscale (sostegno alla domanda mediante incremento della spesa o riduzione delle tasse) non è indispensabile e neanche opportuna, la politica monetaria è sufficiente a stabilizzare l'economia.
 
Normalmente una situazione di economia debole si gestisce abbassando i tassi d’interesse da parte della BC; se non è sufficiente ecco che entra in azione il QE. Che quindi svolge le funzioni, per così dire, di una “super-riduzione dei tassi”.
 
In realtà questo non è affatto sufficiente. Per quanto la BC si dia da fare a sostenere il valore di un ampio ventaglio di attività finanziarie, e quindi a ridurre i tassi d’interesse su tutte queste attività, la propensione alla spesa del pubblico (consumatori e aziende) aumenta ben poco perché il clima generale è depresso e pessimistico.
 
Se l’economia è depressa, se c’è un forte livello di disoccupazione, se non si riesce a uscire dalla trappola della liquidità, serve un’azione diretta di sostegno alla domanda.
 
Una cosa, rispetto alle argomentazioni di Krugman, è giusto aggiungerla. Le critiche monetariste alla politiche di sostegno della domanda attuate nel secondo dopoguerra partivano da una constatazione corretta. Per motivi, diciamo così, di “marketing politico”, ci si era appellati a Keynes per promuovere interventi di “deficit spending” in periodi in cui l’economia non era depressa.
 
Questo non è keynesismo. E’ riallocazione della spesa. Se faccio deficit (nel senso che aumento il delta tra spesa e tasse, aumentando la prima o abbassando le seconde) con l’economia in una situazione di domanda e occupazione normale, non ottengo benefici diretti sulla domanda e sul PIL totali.
 
Se finanzio il deficit con moneta, aumenta l’inflazione. Se lo finanzio con debito, aumento i tassi. In un modo o nell’altro, il sostegno alla domanda si vanifica perché “spiazza” altre forme di spesa.
 
Ma i monetaristi, partendo da una critica corretta (la politica fiscale è scarsamente efficace nello stimolare la domanda quando l’economia non è depressa), hanno finito per formulare un’asserzione sbagliata (la politica monetaria è sempre e comunque l’unica che serve).
 
Modeste oscillazioni del ciclo economico possono essere “normalizzate” con aumenti o diminuzioni dei tassi d’interesse, e in generale delle condizioni di accesso al credito (politica monetaria).
 
Ma quando si verifica uno dei rari eventi di depressione economica, di trappola della liquidità, la politica monetaria diventa molto poco efficace, e anche la “super-facilitazione del credito” mediante QE non ottiene gli effetti necessari sulla domanda.
 
Rari eventi, dicevo: gli anni Trenta sono stati un caso, oggi ne abbiamo un altro. E’ questa la situazione a cui si riferiva Keynes. E per uscirne (anche rapidamente) la soluzione rimane quella che proponeva lui: politiche di sostegno della domanda.

10 commenti:

  1. scusi dott.Cattaneo,non vorrei subire l'effetto
    nefasto del sol-leone,ma lei dice"se finanzio
    il deficit con moneta,aumenta l'inflazione."
    ma se aumenta l'inflazione,l'euro perde valore;
    se l'euro perde valore(magari!)va alla pari con il dollaro;se l'euro è 1 a 1 con il il dolaro,la
    nostra economia può prendere fiato;
    proprio Krugman,parla di "immacolata inflazione"
    citando Karl Smith.
    con stima GFC

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    1. Nel post facevo riferimento a una situazione diversa, quella di un'economia in situazione normale, non di domanda depressa come oggi in Europa. Detto questo un indebolimento dell'euro non guasterebbe, ma USA e Giappone stanno stampando e la BCE no, quindi l'1:1 purtroppo non lo vedo proprio... Ricordiamo poi che l'eurozona ha le partite correnti attive, "grazie" al crollo dell'import per l'austerita' imposta ai paesi mediterranei. Motivo in più per cui americani e asiatici la parità euro-dollaro non l'accetteranno. E comunque il problema del l'eurozona, molto più del cambio con le altre valute, sono e rimangono gli squilibri interni. Break-up o progetto CCF, le uniche soluzioni permanenti e sostenibili sono IMHO queste due.

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  2. giusta la conclusione....ma quali sarebbero oggi le politiche di sostegno della domanda?
    Attenzione,siamo nell'euro...e lo Stato non può immettere direttamente moneta per creare ricchezza (ad es. infrastrutture..),ergo lavoro,redditi....domanda.
    So già che mi risponderai....

    Paolo Tinti

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    1. @Paolo Tinti ... Ti risponderò che la soluzione e' introdurre i CCF... Comunque aggiungo una cosa: concordo con Krugman che il QE non fa danno ed è meglio di niente. È una pompa che spinge molta acqua in un tubo ostruito: qualcosa filtra. Certo, la soluzione vera e' rimuovere l'ostruzione. Negli USA il problema e' che Obama non controlla il Congresso. Da noi manca invece, semplicemente, la conoscenza dello strumento CCF e la consapevolezza che può essere introdotto senza violare i trattati...

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  3. Mi scusi dott Cattaneo, ma mi viene quasi da VOMITARE


    " Break-up o progetto CCF, le uniche soluzioni permanenti e sostenibili sono IMHO queste due."
    Benissimo e allora Imprenditori e Sindacati INSIEME(una volta tanto), prendessero in pugno il progetto dei CCF usando la loro forza per convincere questo governo!


    giovanni

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    1. E invece, come da suo link, arriva il commissario (ben pagato...) alla spending review. Ma il problema peggiore e' non capire che aumentare il potere d'acquisto e la domanda oggi e' molto più importante di qualsiasi intervento di riallocazione della spesa.

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    2. Ma infatti dott Cattaneo perchè vede è un anno che su tutto il web persone che conoscono l'economia come lei,Brancaccio,Bagnai e altri ci ripetono come un disco il meccanismo dell'euro,i suoi errori e le conseguenze.
      Ma dico, i vari responsabili economici dei principali partiti in che mondo vivono?come si informano?di cosa hanno paura? e lo stesso vale x i sindacati e le associazioni degli imprenditori, su ragazzi tirate fuori le palle e tiraci fuori da questo disastro!

      giovanni

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    3. Purtroppo i tempi della politica e della persuasione della pubblica opinione sono lunghi. Quanto ci è voluto negli anni Trenta per applicare i metodi di uscita giusti dalla Grande Depressione ? Anni, e per superarla del tutto e' servita addirittura la guerra. Poi l'euro, se si vuole "spaccarlo", richiede processi sicuramente attuabili ma altrettanto sicuramente complicati, il che ostacola la creazione del consenso nel pubblico. Cosa che i pro-breakup a mio parere sottovalutano. Da cui la via morbida (progetto CCF): che come molti concetti nuovi ha dei tempi in più semplicemente per essere capita - non è complessa ma è contro intuitiva. In sintesi: si arriverà alla soluzione, spero presto... Certo e' snervante vedere intanto protrarsi una crisi che si potrebbe risolvere invece molto rapidamente.

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  4. Sempre lucidissimo nelle argomentazioni.

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