Ieri la BCE ha
annunciato la riduzione del programma di Quantitative Easing, abbassando l’importo
degli acquisti mensili di titoli da 60 a 30 miliardi, con decorrenza da gennaio
2018. Gli acquisti continueranno, comunque, fino a settembre 2018 “o oltre se
necessario”.
L’abbassamento era
previsto ma c’erano incertezze sull’entità. L’euro si è indebolito nei
confronti del dollaro, il che significa che molti operatori ipotizzavano una
riduzione degli acquisti di maggiore dimensione, e/o che emergessero
indicazioni più chiare sui tempi di azzeramento totale del programma di QE.
La mia opinione
è che l’azzeramento non avverrà prima degli ultimi mesi del 2019, in
coincidenza con la scadenza del mandato di Mario Draghi alla presidenza della
BCE.
Draghi, credo,
vorrebbe lasciare l’incarico contestualmente con l’annuncio che il QE è finito,
e magari nello stesso tempo effettuare il primo incremento dei tassi d’interesse.
Un incremento di entità simbolica, un quarto di punto, ma che avrebbe il senso
di affermare “missione compiuta, siamo tornati alla normalità, lascio da
vincitore”.
In ogni caso,
una domanda che mi viene posta molto di frequente è “non c’è da temere un’impennata
dei tassi nel momento in cui il QE terminerà, o magari anche prima quando sarà
chiara la data di conclusione ? e il costo del debito pubblico ? e non
rischiamo una nuova crisi dello spread
?”
La mia risposta –
che sorprende parecchi interlocutori – è che i timori per le conseguenze del “fine-QE”
sono molto, ma molto sopravvalutati.
Sorprende
parecchi interlocutori, certo, ma non dovrebbe sorprendere più di tanto chi segue
questo blog. Se è vero – e l’ho detto, l’ho ripetuto, e l’ho confermato – che il
QE di Draghi implica ben pochi effetti sull’inflazione (e sulla crescita
economica), perché il suo venir meno dovrebbe generare chissà quali cataclismi
?
Il punto è
sempre lo stesso: il QE è un meccanismo di emissione monetaria che non genera
maggior potere d’acquisto per beni e servizi. Immette enormi masse di liquidità
nel circuito finanziario: ma queste masse lì restano. Gli effetti su prezzi,
produzione e occupazione sono quindi modestissimi rispetto ai volumi in gioco.
Un elemento a
sostegno di questa opinione è quanto accaduto negli USA. Il QE della Federal
Reserve è terminato ormai da più di tre anni. Attività economica e occupazione
sono stati, in questo periodo, ben più tonici rispetto all’Eurozona. Nonostante
queste tendenze, di quanto sono saliti i tassi d’interesse ?
Di un
mirabolante punto percentuale. I titoli di Stato USA a brevi scadenze sono
passati grossomodo da un rendimento zero all’1%. I decennali, da minimi intorno
all’1,5% sono saliti al 2,5% scarso oggi.
Con un output gap molto superiore, e un’inflazione
pressoché morta, i rialzi di tassi nell’Eurozona non saranno certo più rapidi –
casomai il contrario.
E lo spread ? anche qui c’è un po’ di
confusione. La differenza di rendimento tra i titoli di Stato italiani e tedeschi
non è dovuta al QE che continua o non continua. E’ dovuta al rischio di rottura dell’Eurozona, e di conseguente svalutazione (o default) dei titoli italiani.
Lo spread a 500 punti e oltre, raggiunto a
fine 2011 e ancora nell’estate del 2012, era dovuto a questo rischio, e si è
rapidamente abbassato dal momento in cui – fine luglio 2012 – Draghi ha
annunciato il whatever it takes, cioè
la volontà da parte della BCE di fare “tutto quanto necessario” per preservare
l’integrità dell’Eurozona
La conseguenza è
stata il rapido abbassamento dello spread,
che ormai da tempo viaggia in un canale compreso tra 100 e 200 punti base. A
dimostrazione del fatto che il mercato crede all’impegno della BCE… entro certi
limiti. Perché 100 o 200 punti base (oggi 160 circa) è comunque un po’ diverso
da zero…
Il punto da aver
chiaro in mente, comunque, è che per l’abbassamento dello spread l’elemento chiave è stato l’annuncio di Draghi, non la
partenza del QE. Basta dare un’occhiata alle date per rendersene conto: rispettivamente luglio 2012 e marzo 2015.
Il QE non ha
risolto l’Eurocrisi, e la sua conclusione di per sé non peggiorerà le cose. Rischi
e opportunità esistono, certo: ma stanno altrove…
Però il QE ha avuto come effetto indiretto la svalutazione dell'euro, se l'euro si rivaluta e stati come Italia, Francia e Spagna continuano a ridurre i deficit la prospettiva non mi sembra esattamente rosea
RispondiEliminaSul cambio ha impattato, è vero, ma per i singoli paesi l'effetto positivo è solo sull'export extra Eurozona (a fronte del quale c'è il maggior costo degli import non sostituibili, in primo luogo le materie prime).
EliminaFinché c'è l'euro, cioè il cambio fisso intra Eurozona, il beneficio della svalutazione è modesto.
Solo una curiosità ma i titoli del debito acquistati dalla BCE (vedi Banca d'italia) che fine faranno? Come verrano utilizzati dalle banche centrali?
RispondiEliminaNel comunicato stampa del 26.10 scorso la BCE stessa ha provveduto a farcelo sapere: "The Eurosystem will reinvest the principal payments from maturing securities purchased under the Asset Purchase Program for an extended period of time after the end of its net asset purchases, and in any case for as long as necessary".
EliminaQuindi i rimborsi dei titoli verranno reinvestiti in altri titoli, per un "periodo esteso di tempo dopo la fine" del QE.
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