Il primo concetto da
chiarire è che il debito pubblico può essere espresso in moneta nazionale, oppure
in moneta estera.
Nel primo caso, la
capacità di emissione dello Stato gli permette sempre di evitare il default sul debito. In effetti lo
Stato non si sta indebitando: sta raccogliendo depositi, con un vincolo di
scadenza, presso il suo ministero dell’economia.
L’elemento di
preoccupazione principale che può insorgere, in questo caso, non è l’insolvenza
ma l’eventuale creazione di un eccesso di domanda (nell’ambito dell’economia)
che spinge l’inflazione a livelli indesiderati.
In casi estremi, è
possibile che uno Stato attui un default volontario su debito in moneta propria,
a causa dell’incapacità di venire a capo di un grave eccesso di inflazione.
Ma questo non è assolutamente
il problema odierno dell’Italia. L’economia italiana soffre, invece, di una pesantissima insufficienza di domanda, che comporta disoccupazione e sottoccupazione
massiccia, sottoutilizzo della capacità produttiva delle aziende, disincentivo
a investire, e inflazione troppo bassa (non troppo alta).
In Italia il
debito pubblico è un problema perché è stato commesso il gravissimo errore di convertirlo in una moneta – l’euro – che l’Italia non emette.
In questa
situazione, esiste un concreto rischio di insolvenza.
Ma il rischio d’insolvenza
non sparisce se il debito inizia a diminuire, in percentuale rispetto al PIL,
rispetto all’attuale 130%. Il rischio default si è manifestato (Irlanda, Spagna
nel 2011: debito in euro) o concretizzato (Argentina nel 2001: debito in
dollari) anche in paesi dove il rapporto debito pubblico / PIL era al 30-40%.
Se il debito è
espresso in moneta estera, non garantito da un ente con potestà di emissione di quella moneta, l’unico livello che garantisce contro il rischio di
insolvenza è zero.
E il debito
pubblico italiano non può essere portato a zero – ma neanche ridotto in misura
significativa rispetto al PIL – adottando politiche che costringono il paese a
crescite asfittiche e a soffrire di altissimi livelli di disoccupazione e
sottoccupazione.
In questa situazione, il problema non verrà risolto per i prossimi svariati
decenni. E il paese continuerà a stagnare su livelli di attività
economica depressa. Non verrà risolto il pesantissimo disagio sociale né la
situazione di indigenza in cui si è venuta a trovare una larghissima parte
della popolazione.
Il problema è invece
risolvibile in due modi.
Il primo è la
ridenominazione del debito, da euro in moneta nazionale. In pratica, si parla
dell’uscita dall’euro mediante breakup. E’ una via complessa operativamente e
controversa politicamente.
Il secondo è
stabilizzare il debito ai livelli attuali (in valore assoluto) introducendo
nell’economia uno strumento finanziario-fiscale che possa anche svolgere
funzioni monetarie, in affiancamento all’euro.
Questo strumento, di cui i CCF sono la modalità tecnica che propongo da svariati anni, non è debito, e non possono crearsi situazioni di mercato finanziario che forzino l’emittente
al default.
La forma e la
sostanza del Fiscal Compact risultano in tal modo rispettate, perché il debito cessa di aumentare in valore e inizia a scendere rapidamente in rapporto al
PIL.
Il whatever it takes della BCE è l’elemento
chiave di rassicurazione (dal punto di vista dei mercati) che non si
verificheranno tensioni finanziarie, né rischi di default sullo stock di debito
che rimane in essere.
Nel frattempo, la
discesa del rapporto debito pubblico / PIL è assicurata dal fatto che l’immissione
di CCF nell’economia incrementa la domanda interna e migliora la competitività
delle aziende, creando le condizioni per una rapida e vigorosa ripresa.
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