La citazione del
titolo è attribuita a Mark Twain, ma come spesso accade, l’attribuzione è
dubbia (non la si ritrova nei suoi scritti). Ma apocrifa o no che sia, qualcosa
di simile si sta verificando oggi.
Si è venuta a
creare una sostanziale contrapposizione le potenze vincitrici della Seconda
Guerra Mondiale – USA, Russia e Regno Unito – e la UE a “trazione tedesca”. Alleati
contro Germania e fiancheggiatori, oggi come nel 1939 o nel 1941.
La presidenza
Trump non avrà, nei confronti della UE, l’atteggiamento di costante
fiancheggiamento e supporto che caratterizzava Obama, e che sicuramente sarebbe
proseguito con Hillary Clinton. Il protezionista Trump non vede certo con
favore un progetto politico incentrato su mobilità del lavoro, apertura all’immigrazione,
accordi commerciali che spingono alla delocalizzazione. E ha ben chiare le spaventose
disfunzioni della moneta unica.
Il Regno Unito
ha votato a favore della Brexit. E la Russia di Putin ha, con la UE, diverse situazioni
di tensione – tra cui la crisi ucraina e le conseguenti sanzioni economiche.
La Francia si
potrebbe aggiungere al gruppo in caso di vittoria di Marine Le Pen alle
presidenziali della prossima primavera. Un evento per il momento non probabilissimo,
ma l’eventualità è stimata al 35%-40% dai bookmakers
(più affidabili dei sondaggisti, tutto sommato…) contro non più del 5% ante
elezioni USA.
L’Italia si sta
facendo particolarmente male, oggi come nel 1940, sostenendo l’alleato
sbagliato. Analogamente ad allora, più astuto è l’atteggiamento degli spagnoli –
che in teoria avrebbero dovuto fiancheggiare l’Asse ma in guerra poi non ci
sono entrati. E oggi sostengono l'austerità euroindotta a parole, ma l’hanno
attuata molto meno di noi (e se la cavano, di conseguenza, parecchio meglio).
E’ riaffiorata,
come avviene periodicamente da quasi 150 anni, la questione tedesca. Un paese
troppo importante per essere “come gli altri” in Europa, ma non abbastanza per egemonizzare
il resto del continente. Anche per la sua idiosincraticità, per l’incapacità di
essere adattabile e flessibile, molto anche per la sua lingua troppo diversa dalle
altre.
La UE doveva portare
al superamento delle logiche di conflitto e di ricerca dell’egemonia, ma non è
andata così. La Germania l’ha utilizzata come uno strumento di perseguimento
dei suoi interessi nazionali – o per essere più esatti, delle sue elites industriali e finanziarie. Per la
verità non ne ha neanche fatto mistero. Ma il punto è che il progetto non
funziona.
La spinta
tedesca verso l’egemonismo, tra l’altro, è destinata a fallire anche perché le
possibilità della Germania di assurgere a superpotenza mondiale sono molto più
remote oggi di allora. Anche e forse soprattutto per il fattore demografico. A
molti non è chiaro, credo, che la popolazione tedesca, su un territorio un po’
più piccolo, è oggi all’incirca della stessa dimensione (80 milioni) del 1939. Gli
USA nel frattempo sono passati da 130 a 330 ! e la popolazione mondiale da 2,5 miliardi
scarsi a quasi 7,5.
Se siamo vicini
alla fine dell’Eurocrisi, come spero e ritengo anche probabile, ci si potrà consolare
- per quanto pesanti e insensati siano stati i suoi effetti - pensando che almeno
non si è arrivati a sparare. Forse perché bene o male l’umanità un po’ più saggia
lo è diventata. O forse solo perché la tecnologia ha reso troppo devastante l’ipotesi
di un conflitto militare tra grandi potenze.
E se siamo
vicini alla fine dell’Eurocrisi, la spinta politica la sta dando, paese per
paese, principalmente l’affermazione di formazioni politiche di destra. L’eccezione
più importante potrebbe essere l’Italia con il post-politico (e non
inquadrabile della dicotomia destra-sinistra) M5S.
Capisco la
delusione di chi si colloca a sinistra e avrebbe desiderato un percorso guidato
da schieramenti socialdemocratico-keynesiani. Ma chi si doveva collocare in
quell’area l’ha abbandonata, fiancheggiando il progetto austero-globalista. O
se no, si è rilevato poco incisivo, o è andato in confusione o peggio (vedi Syriza) quando ha avuto possibilità di azione.
Speriamo di
essere alla vigilia di una svolta. Ci sono stati trent’anni di keynesismo, di
crescita sostenuta, di benessere gradualmente sempre più diffuso, di
costruzione dello stato sociale tra il 1945 e il 1975. Ci possiamo rincamminare
in quella direzione, come allora e anche meglio.