martedì 14 gennaio 2014

Euro break-up, riforma morbida e posizione patrimoniale dell’Italia sull’estero


Uno dei principali argomenti di questo blog è descrivere un progetto di recupero della sovranità monetaria da parte dell’Italia, basato però su un meccanismo “morbido” e non su uno schema di break-up.


Quindi, introduzione di una forma di moneta nazionale, i Certificati di Credito Fiscale, immediatamente utilizzati per rilanciare la domanda e la capacità di spesa, nonché per ridurre i costi di lavoro effettivi delle aziende (senza penalizzare le retribuzioni, anzi aumentandole).


Si evita, per questa via, la “spaccatura” dell’euro, che vorrebbe dire cambiare la moneta di denominazione di debiti, crediti, contratti, retribuzioni, pensioni – trasformandoli da euro a Nuove Lire (con connessa svalutazione).


I vantaggi dello schema “morbido” rispetto al break-up sono descritti in parecchi articoli del blog, per esempio qui in forma sintetica e qui in modo più esteso.


Un punto apparentemente sfavorevole è invece il seguente. L’Italia è, nel suo complesso, un paese debitore verso l’estero. Se i debiti vengono convertiti in Nuove Lire e svalutati, per il paese c’è un vantaggio patrimoniale, che con il meccanismo “morbido” al contrario non si ottiene.


Una prima considerazione tuttavia è che nel progetto CCF, una parte significative delle emissioni vanno a ridurre i costi effettivi delle aziende e producono un recupero di competitività analogo a quello che sarebbe conseguito mediante la svalutazione della Nuova Lira conseguente al break-up.


Riguardo al debito estero, la cosa importante non è tanto il suo importo quanto la sua sostenibilità. Se l’Italia svaluta e converte il debito in Nuove Lire, la sostenibilità migliora.


Ma lo stesso tipo di miglioramento viene ottenuto se tutto il debito rimane in euro, e anche i costi delle aziende rimangono espressi in euro, MA vengono fortemente ridotti grazie alle assegnazioni di CCF previste dalla “riforma morbida”.


Questa è già una motivazione molto forte a favore del progetto CCF, rispetto alle ipotesi di break-up: si ottengono benefici analoghi evitando la “deflagrazione” dell’eurozona.


Per approfondire il tema, comunque, è utile analizzare i dati relativi alla posizione patrimoniale sull’estero dell’Italia. La situazione al 30.6.2013 si può sintetizzare come segue (fonte Banca d’Italia, dati in miliardi di euro).

 

DATI TOTALI
Attivo
Passivo
NETTO
% PIL 2013
Investimenti diretti e altri investimenti azionari
798
-415
383
Finanziamenti, obbligazioni e altri crediti / debiti (incluse posizioni in derivati)
1.075
-1.919
-844
TOTALE ITALIA
 
 
1.873
-2.334
-461
-30%

 

Il saldo netto delle posizioni patrimoniali attive e passive dell’Italia nei confronti dell’estero era, al 30 giugno 2013, negativo per 461 miliardi di euro, corrispondenti a circa il 30% del PIL.


Non si tratta di un valore molto elevato: per intenderci, in rapporto al PIL siamo in una situazione non molto differente dalla Francia o dagli Stati Uniti.


La posizione patrimoniale, tuttavia, va analizzata più in dettaglio effettuando alcune disaggregazioni.


Intanto i 461 miliardi sono un saldo netto tra la posizione relativa ad attività e passività che hanno natura di crediti e debiti, e gli investimenti di natura azionaria (compresi gli investimenti diretti, cioè le aziende italiane controllate da stranieri e, dall’altro lato, quelle straniere possedute da italiani).


I residenti italiani hanno debiti netti verso l’estero per 844 miliardi, parzialmente compensati da un saldo netto degli investimenti di natura azionaria positivo per 383 (844 meno 383 uguale 461, appunto).


Gli 844 miliardi di debiti netti a loro volta sono un saldo: i residenti italiani hanno debiti esteri per 1.919 ma anche crediti verso l’estero per 1.075.


Idem per gli investimenti azionari, dove invece c’è un saldo positivo. L’attivo è 798 (il signor Rossi che possiede azioni Apple, ma anche la Ferrero che ha filiali produttive in Germania o commerciali in Malesia), il passivo 415 (il fondo pensioni californiano che ha azioni Generali, ma anche l’IBM che ha una controllata italiana), per un netto come visto di 383.


Ora, se l’Italia svalutasse che cosa ci aspettiamo che accada alla sua posizione patrimoniale verso l’estero ? è in realtà estremamente aleatorio rispondere, perché l’effetto totale dipende da molti fattori non completamente noti e/o difficilmente prevedibili.


Debiti verso l’estero (1.919): quali si convertirebbero in Nuove Lire e quindi rimarrebbero nella loro valuta originaria ? In quest’ultima fattispecie rientrerebbero tutti quelli denominati in monete diverse dall’euro (dollari, yen, sterline, franchi svizzeri, valute asiatiche ecc.) Ma probabilmente anche i debiti in euro governati da contratti di diritto internazionale e non di diritto italiano. Per i debiti governati da contratti di diritto italiano è possibile dare applicazione alla lex monetae e trasformarli in Nuove Lire, per quelli governati dal diritto internazionale presumibilmente no.


Crediti verso l’estero (1.075): questi sono in euro o in altre valute, e in teoria se l’Italia adotta la Nuova Lira aumentano il loro valore (dal punto di vista del residente italiano che li detiene). In teoria: in quanto c’è da immaginare che se l’Italia svaluta i suoi debiti, ci saranno azioni di ritorsione da parte dei debitori stranieri (tu mi paghi Nuove Lire svalutate, e allora io ti rimborso, a mia volta, in moneta svalutata).


Rimane un saldo netto (844, come si diceva) di eccesso dei debiti rispetto ai crediti. Il beneficio netto della svalutazione potrebbe forse essere stimato in base a quello. Per esempio, una svalutazione del 20% corrisponde in questa ipotesi a un vantaggio di 20% x 844 = 169 miliardi di euro.


Ma è una stima, dicevo, molto aleatoria. Presuppone di convertire in Nuove Lire tutti i debiti esteri: e in parte, per quelli di diritto internazionale, presumibilmente questo sarebbe impossibile. E sicuramente non si convertirebbero quelli in valute diverse dall’euro.


La situazione potrebbe migliorare se i titolari italiani di crediti verso l’estero (i 1.075 di cui sopra) riuscissero a evitare di vederseli convertire in Nuove Lire. Ma qui si tratta di formulare previsioni sull’esito di contenziosi legali che sicuramente nascerebbero e coinvolgerebbero pesantemente non solo i privati ma anche e soprattutto i governi.


Teniamo anche conto che i residenti italiani detengono attività estere di natura azionaria (investimenti diretti e azioni) per, come si diceva, 798 miliardi, superiori ai corrispondenti passivi (415): e se si arriva a situazioni di contenzioso, non è affatto da escludere che possano esserci sequestri e azioni di rivalsa che toccherebbero anche queste attività.


Vi sembra che la situazione sia complicata ? bene, non ho ancora finito… fin qui si è ragionato come se esistesse un “signor Italia” che detiene attivi e passivi verso l’estero. Naturalmente non è così. C’è un settore pubblico italiano, che si trova nella seguente situazione.

 

SETTORE PUBBLICO
Attivo
Passivo
NETTO
% PIL 2013
Investimenti diretti e altri investimenti azionari
80
-49
31
Finanziamenti, obbligazioni e altri crediti / debiti
648
-1.642
-994
TOTALE SETTORE PUBBLICO
 
728
-1.691
-963
-62%

 

Il settore pubblico ha investimenti diretti e investimenti azionari di importi relativamente trascurabili. I numeri importanti sono i debiti verso l’estero (1.642) e i corrispondenti crediti (648), per un saldo totale negativo dell’ordine di un migliaio di miliardi.


Poi c’è il settore privato:

 

SETTORE PRIVATO
Attivo
Passivo
NETTO
% PIL 2013
Investimenti diretti e altri investimenti azionari
718
-366
352
Finanziamenti, obbligazioni e altri crediti / debiti
427
-277
150
TOTALE SETTORE PRIVATO
 
1.145
-643
502
32%

 

Al settore privato fa capo il grosso degli investimenti diretti e degli investimenti azionari (sia attivi che passivi) e questo non sorprende. Ma anche una parte non trascurabile dei crediti e dei debiti, con un saldo netto positivo (150 miliardi, risultato di 427 di attivo e 277 di passivo).


Peraltro, i privati non sono un soggetto unico, e quindi andrebbero capite le posizioni dei singoli, dove si avranno dei danni per alcuni e dei benefici per altri.


Tutto si può gestire, possono essere previsti dei meccanismi di compensazione eccetera. Tuttavia mi preme sottolineare quanto già detto in altri articoli: la situazione post un eventuale euro-breakup è alquanto diversa da quella che segue alla rottura delle parità nell’ambito di un sistema di cambi fissi (lo SME, per intenderci).


Nel 1992, l’Italia abbandonò la parità di 750 lire contro marco, uscì dallo SME e svalutò. Ma rimasero in essere, senza variazioni, tutti i contratti precedentemente stipulati: che si detenessero crediti o debiti in lire, marchi, dollari, yen o qualsiasi altra cosa, la valuta rimaneva quella. Non c’era alcun presupposto per megacontenziosi legali, che infatti non si verificarono.


Inoltre, chi aveva posizioni attive o passive in valuta sapeva che esisteva un rischio di modifica delle parità: i cambi fissi durano finché durano, e i riallineamenti sono sempre possibili (prima del 1992 in realtà se ne erano già avuti diversi, anche se di minore entità). Il rischio di cambio poteva quindi essere stimato. E se un’azienda o un investitore lo riteneva opportuno, poteva limitarlo o azzerarlo con opportune operazioni di copertura (vendita di valuta a termine, opzioni, finanziamenti in valuta ecc.): il che infatti è quanto avvenne nella maggior parte dei casi.


Per tutti questi motivi, la rottura dell’euro sarebbe sicuramente un evento dalle ripercussioni più complicate della rottura dello SME. Se “un po’” più complicate o enormemente più complicate, è una valutazione estremamente aleatoria.


In conclusione formulo una serie di domande ai sostenitori dell’”exit mediante break-up”:


Primo, è stata elaborata un’analisi di dettaglio delle implicazioni giuridiche e quantitative di tutti i fenomeni che ho sommariamente ricapitolato ? non mi risulta, ma sarò grato a chi mi fornirà indicazioni.


Secondo, non ritenete indispensabile definire un piano di dettaglio per attuare una procedura di break-up minimizzando gli effetti di quanto sopra ?


Terzo, vi è chiaro che il vantaggio patrimoniale per l’Italia di una svalutazione del suo passivo netto è estremamente aleatorio da stimare, ma peraltro non è neanche di un ordine di grandezza tale da fare una differenza significativa ?

(Chiarisco: sopra ho formulato l’ipotesi di un beneficio di 169 miliardi. Ora, premesso che l’imprecisione della valutazione, come spiegavo, è altissima, l’Italia attuando la “riforma morbida” si riappropria della sovranità monetaria, della possibilità di sviluppare politiche di pieno impiego e beneficia di un recupero di PIL stimabile nell’ordine di 300 miliardi nel giro di pochi anni. In queste condizioni non ha nessun problema di solvibilità sul suo debito estero: un beneficio una tantum di 100 o 200 miliardi, o quello che sia, non è determinante).


Quarto: ma in realtà non è nemmeno vero che ci sia un beneficio più elevato, nell’ipotesi di break-up, rispetto alla “riforma morbida”. Nel caso di break-up, miglioro la mia solvibilità perché svaluto. Nel caso di “riforma morbida”, la miglioro perché riduco fortemente il carico fiscale effettivo sul lavoro (e quindi abbasso il CLUP). Gli effetti (in termini di recupero del PIL e di sostenibilità del debito) sono analoghi. Mi sbaglio ?


Mi sembra molto importante che si avvii, con i sostenitori del break-up, un dibattito su questi temi.

13 commenti:

  1. La mia domanda e' sempre la stessa. Se rimaniamo nel sistema della moneta unica considerando che i ccf potrebbero ricadere negli aiuti di stato alle imprese, siamo sicuri che non andiamo a scontrarci con la commissione europea? Nel 2014 avremo la troika in casa con tanto di diretto di veto sul bilancio. Se il disegno che immaginiamo ossia sottrarre attraverso lo strumento del debito beni reali, questa europa ci consentira di adottare questo strumento monetario? Se la risposta e' no allora perche parlarne. Ci troveremmo nella condizione di uscita dall euro. Naturalmente io non ho ancora una risposta e vorrei affrontare questo aspetto innanzitutto con chi ha ideato i ccf.

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    1. Una precisazione: non abbiamo la troika in casa, abbiamo (come tutti i paesi dell'eurozona) una procedura di approvazione della legge di stabilità da parte della commissione europea. Ma questo è un dettaglio (rispetto, si capisce, al tema della domanda).
      Il punto da avere ben chiaro è invece il seguente: io NON sto proponendo di andare a chiedere il permesso a nessuno per introdurre i CCF. Vanno introdotti E BASTA, non c'è NULLA da negoziare. Il motivo per il quale propongo i CCF al posto del break-up è che si ottengono gli STESSI vantaggi, senza spaventare la pubblica opinione, con una procedura operativamente MOLTO più semplice, e senza andare in conflitto con grossi interessi esterni (industria esportatrice tedesca e investitori esteri) che al break-up si opporrebbero in tutti i modi a loro possibili. Vedi anche qui.

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  2. l'idea di titoli da usare per pagare le imposte è stato proposto da un economista americano, lei arriva in ritardo di 5 anni.

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    1. Certamente, da Warren Mosler (che, guarda caso, ha scritto la prefazione del libro mio e di Giovanni Zibordi).e ovviamente gliene ho dato pieno atto.
      Ma la proposta di utilizzo dello strumento per risolvere integralmente l'eurocrisi (e non solo per migliorare le condizioni di collocamento del debito pubblico) l'ho elaborata io, in totale autonomia. E non sono certo in ritardo, visto che (purtroppo) la crisi è tuttora irrisolta...

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    2. la soluzione dei ccf è come stampare moneta facendo crescere una bolla parallela al debito. i mercati si metterebbero a ridere. nessuno stampa moneta per uno stato che continua a darla solo a una parte della società privilegiata comprando a 100 quello che costa 10 sul mercato. e continuando a fare nuovi debiti ogni volta che paga quelli precedenti. i ccf sono un tentativo disperato di tenere in piedi questa catena. si chiama socialismo. tutto a carico dello stato. ne ha mai sentito parlare?

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    3. Non so che definizione dà lei del socialismo, ma il progetto CCF comporta in primo luogo una fortissima riduzione del carico fiscale che grava su aziende e lavoratori (non sulla “parte privilegiata” della società). Quindi molto più potere d’acquisto all’economia reale, immediata ripresa di PIL e occupazione, debito che diventa molto più sostenibile.
      Aggiungo che i CCF potranno anche essere usati (anzi è molto opportuno che lo siano) come strumento di rifinanziamento del debito pubblico attualmente espresso in euro (in moneta straniera, quindi): il che ci svincola dai mercati (anche nell’ipotesi “che si mettano a ridere”, eventualità a cui peraltro non credo affatto…)
      Poi se vuole continuare a sostenere la correttezza delle ricette che da tre anni in qua hanno devastato l’economia italiana, fatto esplodere fallimenti e disoccupazione E INCREMENTATO il rapporto debito pubblico / PIL dal 118% al 133%, le lascio argomentare perché mai da qui in poi dovrebbero portare a risultati migliori. Magari spiegando anche perché fin qui siano state totalmente catastrofiche, come previsto fin dal loro avvio da TUTTI gli economisti di scuola keynesiana…

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    4. le varie troike non sbagliano ricetta, semplicemente vanno a riprendersi i soldi prestati a certi paesi e mai restituiti nonostante questi paesi avessero promesso di farlo con riforme promesse e mai fatte. è facile fare i socialisti coi soldi degli altri. se lei è contrario allora mi presti tutti i suoi risparmi.

      il termine azienda privata in italia è fuorviante, la metà di esse lavora solo per lo stato e sappiamo bene il trucco tra stato e privato per far costare una siringa 10 volte il suo valore. ma anche una semplice matita comprata dal comune dalla azienda amica del consigliere che costa 4 euro l'una.

      l'euro non è moneta straniera visto che facciamo parte dell'europa. volenti o nolenti è così.

      la scuola keynesiana in italia è male intepretata. keynes non era socialista e non diceva "tutti a carico dello stato" a vita. keynes diceva che in certi frangenti lo stato può intervenire. certi frangenti significa nelle crisi, non vita natural durante come in italia.

      i ccf non possono rifinanziare il debito pubblico ma lo faranno solo aumentare perché il debito deriva dalla mancanza di fiducia nell'economia di uno stato (che essendo socialista non fa girare soldi sui consumi ma solo su una parte di privilegiati) e non nel trucco contabile per abbassarlo o frazionarlo.

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    5. Torno a ribadirle quanto scritto sopra: "Non so che definizione dà lei del socialismo, ma il progetto CCF comporta in primo luogo una fortissima riduzione del carico fiscale che grava su aziende e lavoratori".
      "Keynes diceva che in certi frangenti lo stato può intervenire. certi frangenti significa nelle crisi, non vita natural durante" dice lei. Oggi siamo ESATTAMENTE nello stesso tipo di crisi che Keynes analizzò negli anni 30, innescata da un crollo dei mercati finanziari, amplificata da un sistema monetario sbagliato per eccesso di rigidità (il gold standard allora, l'eurosistema attuale oggi) e dall'applicazione di politiche di austerità procicliche.
      L'euro E' una moneta straniera. L'Europa è un continente ma non è uno stato. L'Italia è uno stato e deve riappropriarsi delle leve di gestione della sua economia, oggi delegate a tecnocrazie autoreferenziali, che si sono dimostrate (nella migliore delle interpretazioni...) catastroficamente incompetenti.
      I soldi prestati da terzi c'è UN SOLO modo per restituirli: portare il sistema economico a un corretto livello di occupazione. Detto da Keynes ottant'anni fa, anche questo...

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    6. il socialismo è un comunismo "soft" dottor cattaneo. impedisce la libertà di mercato. divide in due la società tra fortunati a vita e tassati a vita. la crisi del 29, come le altre, avvenne perché le crisi sono bolle che alla fine esplodono. il gold standard non c'entra nulla, non è mai stato rispettato neanche dal primo giorno. anche il socialismo è una bolla con dei costi che non reggono più alla fine.

      l'eurozona è emanazione della unione europea e l'italia ha aderito ad una moneta comune. l'euro è stampato dalle banche centrali tra cui la banca di italia in italia. non c'è niente di straniero. e può uscirne se vuole basta che il parlamento che in italia è sovrano lo decida. se la prenda col parlamento non con la troika.

      siamo d'accordo che ci vuole occupazione per restituire i soldi ma keynes in america non inventò il tempo indeterminato a vita per metà popolazione a carico di un'altra metà massacrata di tasse. quando la nasa ha chiuso il programma shuttle 7400 dipendenti statali sono andati a casa di punto in bianco. nessuno ha alzato le tasse per mantenere questa gente. l'america stampa soldi per il consumo non per assumere gente nello stato.



      ribadisco, keynes è interpretato in europa dai furbetti del quartierino per tenere in piedi il sistema socialista.



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    7. Lei sta criticando cose che non sono certo quello che propongo io: emettere moneta per ridurre il carico fiscale ad aziende e lavoratori (anche e soprattutto) non certo per "inventare il tempo indeterminato a vita per metà popolazione a carico di un'altra metà massacrata di tasse"...
      L'euro oggi NON è gestito nell'interesse della popolazione e dell'economia italiana. Se siamo d'accordo su questo, il resto viene di conseguenza...

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  3. Può stampare moneta per ridurre le tasse solo se liberalizza l'economia e il mondo del lavoro. In caso contrario finisce tutto in inflazione. E' per quello che la Germania dice all'Italia "se fate i tirchi come noi svalutando le persone e non la moneta potrete tirare a campare" e il socialismo europeo sopravviverà. Sopravviverà cioè una cosa ingiusta distruggendo generazioni di giovani. Perché ci sarà sempre una parte della società esclusa ovvero la maggioranza. E i mercati dovrebbero stare a guardare questa mattanza sociale? Speriamo di no.

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  4. Ma scusatemi le imprese vogliono soldi veri non CCF. Cosa daranno ai dipendenti come stipendio, i CCF?

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    1. I dipendenti percepiranno GLI STESSI EURO di prima, e IN AGGIUNTA una quota di CCF.

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