Il progetto CCF prevede
di utilizzare i Certificati di Credito Fiscale per attuare un’azione di
rilancio della domanda e, conseguentemente, di stimolo a PIL, occupazione e
prezzi.
E’ anche
previsto che una parte delle allocazioni di CCF vada alle aziende, in
proporzione ai costi di lavoro da esse sostenuti. In questo modo si ottiene una
riduzione dei costi di lavoro lordi effettivi e un immediato recupero di competitività.
Questo permette di esportare di più e di recuperare quote di mercato interno
perse negli ultimi anni a vantaggi degli importatori. E’ quindi possibile
rilanciare l’economia senza creare squilibri nei saldi commerciali esteri.
In pratica si
replicano gli effetti di una svalutazione senza passare per la rottura del
sistema monetario. E lo stesso meccanismo può essere utilizzato per intervenire
su un altro problema dell’economia italiana, le differenze di competitività tra
Nord e Sud e, di conseguenza, il cronico ritardo dell’economia del Mezzogiorno
rispetto al Settentrione.
Riguardo a quest’ultimo
tema, il meccanismo sarebbe di allocare CCF in misura più che proporzionale alle
aziende del Sud rispetto a quelle del Nord. E’ un intervento molto più semplice
rispetto all’introduzione di una seconda moneta per il Mezzogiorno, una
proposta che la Lega Nord aveva formulato negli anni Novanta e che è stata
recentemente rilanciata dall’attuale responsabile economico della Lega, Claudio
Borghi.
Mi sono spesso
sentito obiettare che un riallineamento valutario ha effetti più automatici, e
di conseguenza più efficaci, rispetto alla riduzione del cuneo fiscale a
vantaggio delle aziende. Per citare lo stesso Borghi “se riduco tasse e
contributi a carico del lavoro, il pizzaiolo non riduce il costo della pizza”.
Ora, se il
pizzaiolo lavora in un contesto isolato, non esposto a nessun tipo di
concorrenza internazionale, con ogni probabilità questo è vero: ma per quel
pizzaiolo è sostanzialmente irrilevante anche una svalutazione.
Ma per un
esercizio turistico – un ristorante, un albergo, un resort – situato in una località
frequentata da turisti esteri, ridurre i costi lordi di lavoro (senza
penalizzare le retribuzioni nette, che anzi con il progetto CCF si incrementano
– perché l’intervento è su ENTRAMBI i lati del cuneo fiscale) consente di
praticare prezzi più bassi a parità di margini: perciò di attirare più clienti
stranieri (maggiori esportazioni di servizi turistici) e anche di indurre più clientela
nazionale a passare le vacanze in Italia e meno in Tunisia, ai Caraibi o alle
Mauritius (sostituzione di importazioni).
Rispetto al caso
di una svalutazione, certo, l’albergatore italiano deve fare un passaggio in
più: ridurre i prezzi, invece di lasciare che il cliente si accorga da solo che
i prezzi italiani si sono abbassati rispetto a quelli esteri (per effetto del
cambio).
Ma vi sembra che
cambiare un listino sia uno sforzo così titanico ? oggi abbiamo aziende che
sono costrette a effettuare pesanti ristrutturazioni, a delocalizzare o a
chiudere. Vi pare che questi imprenditori non troverebbero molto più agevole
abbassare i prezzi, se potessero farlo senza impatto sui margini unitari e con
forte beneficio sui livelli di attività (beneficio che spesso farebbe la
differenza tra continuare a lavorare e chiudere) ?
Tra l’altro, la
necessità di modificare i listini sussiste comunque, nella maggior parte dei
casi, anche nell’eventualità di una svalutazione. Anche ai tempi della lira, i
prezzi all’export erano quasi sempre espressi in valuta. Se l’Italia domani
uscisse dall’euro e adottasse la lira, il cliente estero abituato a ragionare (per
esempio) in dollari comprerebbe di più dall’azienda italiana se (a condizione
che) gli venisse proposto un prezzo più basso (in dollari, appunto).
Cambiare i
listini è veramente l’ultimo dei problemi. Il punto rilevante è il recupero di
competitività: e un intervento forte e permanente sul cuneo fiscale ha un’efficacia assolutamente confrontabile con quella di una svalutazione.
Per risolvere la
crisi questo recupero di competitività oltre a essere sostanzioso deve
abbinarsi al rilancio della domanda interna. Si ritorna quindi alla necessità di
uscire dai vincoli dell’attuale Eurosistema.
Ma il breakup e
la conseguente svalutazione non è l’unica via, e neanche la più efficace.
se uno può aprire un altro albergo sì ma se gli alberghi sono fissi e il credito è fisso e l'economia è fissa è ovvio che i prezzi non calano. possono salire e scendere i fatturati in base al periodo ma non i prezzi. cioè si esclude una parte della società dal consumo perché non può consumare.
RispondiEliminaVeramente funziona ancora meglio se l'albergo c'è ed è mezzo vuoto perché i prezzi sono troppo alti...
Eliminanon in assenza di concorrenza perché a quel punto non è più l'albergo a decidere i prezzi bensì lo stato. è proprio lo stato che manda in crisi la domanda e decreta i prezzi per l'assenza di mercato.
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