giovedì 7 luglio 2016

Banche e dintorni



Molta turbolenza (per usare un eufemismo) in borsa sulle quotazioni delle banche italiane, ma anche per la verità degli altri paesi europei. Dai commenti di vari addetti ai lavori si percepisce moltissima emotività: come quasi sempre, in questi casi, probabilmente sproporzionata rispetto a quanto sta per accadere.

La mia lettura della situazione è che nel giro di qualche settimana si troverà una soluzione che consisterà nell’ennesimo cerotto. Niente rottura dell’euro, niente intervento del Meccanismo Europeo di Stabilità con troika al seguito. Verrà consentita un’operazione di ricapitalizzazione di MPS e probabilmente di alcuni altri istituti, con soldi pubblici (che incideranno sul debito pubblico, ma resteranno al di fuori del calcolo del deficit annuo).

Non verrà attuata nessuna procedura di bail-in che vada a toccare depositanti e obbligazionisti ordinari. L’oggetto del contendere, nel dibattito tra governo italiano e commissione UE, pare essere in che misura debbano essere penalizzati gli obbligazionisti subordinati.

Una proposta molto interessante al riguardo l’ha fatta Claudio Borghi: garantire agli obbligazionisti subordinati il prezzo d’acquisto. Chi ha pagato 100 rimane con 100, chi ha comprato a 30 la stessa obbligazione (del valore nominale di 100) se la vede decurtata a 30. Riduce il valore nominale ma non ha perdite rispetto al prezzo pagato.

Da quello che si sente dire, sarebbe una proposta almeno in parte in linea con la posizione della commissione UE, che è di tutelare gli investitori retail (i piccoli individuali, in altri termini) i quali generalmente hanno acquistato prima che la normativa bail-in entrasse in vigore, e pensavano quindi di aver effettuato un investimento sicuro come (in passato…) le obbligazioni bancarie sono sempre state. E di far subire una perdita agli investitori istituzionali, in particolare agli operatori speculativi, che hanno acquistato a prezzi più bassi da novembre 2015 in poi – dopo, cioè, che l’esplosione dei casi Etruria – Chieti – Carife – Marche ha fatto crollare i valori delle obbligazioni (specialmente subordinate) di tutto il sistema.

In effetti, la proposta Borghi non comporta perdite (per gli operatori speculativi) rispetto al valore d’investimento: quindi è migliorativa (sempre per loro) rispetto alla posizione UE. Ottiene comunque l’effetto di ricapitalizzare le banche interessate, perché se il valore contabile di una passività (l’obbligazione subordinata) viene ridotto, si incrementa il patrimonio netto.

Tutto l’oggetto del contendere sarebbe quindi se la commissione UE si accontenta di questo o chiede una “libbra di carne” in più agli investitori istituzionali – da un lato. E se – dall’altro - agli investitori istituzionali medesimi basta fare pari e patta, o insistono per uscire comunque con un utile (nell’esempio sopra, accettano la riduzione del nominale per esempio a 50 ma non a 30). Qualcuno di loro presumibilmente si sta agitando per migliorare la sua posizione facendo leva sulla sua “limitrofia” al presidente del consiglio (ogni riferimento a Davide Serra di Algebris è completamente privo di qualsiasi casualità).

Una volta definiti questi temi di vil denaro, rimane quello (sempre di vil denaro si tratta) di stabilire quante banche debbano essere ricapitalizzate mediante iniezione di fondi (in aggiunta agli stralci di passività) e per quali importi. Ho letto di stime effettuate da Goldman Sachs che parlano di 40 miliardi per l’intero sistema bancario italiano. Secondo la banca d’affari USA sarebbe un livello adeguato a soddisfare le richieste della BCE, o per essere più precisi della European Banking Authority (EBA).

Ora, non ho ovviamente dubbi che in Goldman Sachs lavori gente che sa fare bene i conti. Il problema è che l’adeguatezza o meno dell’importo di 40 miliardi dipende dal futuro livello di redditività delle banche, e in particolare dal fatto che emergano ulteriori sofferenze nel portafoglio crediti, o che il loro livello invece si stabilizzi o addirittura cali.

Nel primo caso, tra l’altro, lo stato italiano si ritroverebbe con partecipazioni che perdono di valore e con il rischio di dover effettuare ulteriori interventi in futuro. Nel secondo, ci si potrebbe invece trovare nella felice situazione degli USA post intervento “TARP” effettuato tra fine 2008 e inizio 2009: acquisire cioè quote bancarie che recuperano valore e possono essere rivendute in tempi non lunghi, addirittura con un profitto.

E qui torniamo al tema chiave: l’intervento che si andrà a effettuare nelle prossime settimane è un costoso cerotto che non risolve il problema, lo rimanda solo di non molti mesi, se l’economia non recupera. E’ invece un intervento sensato se (e solo se) si avvia un processo di ripresa per domanda, occupazione e PIL. 

So di essere ripetitivo, ma si ritorna alle solite considerazioni: tutto quanto sopra ha senso a condizione che la ripresa parta, e la ripresa parte solo se l’Italia si svincola dalle costrizioni dell’attuale Eurosistema.

2 commenti:

  1. I neoliberisti e gli ortodossi sostengono che dietro al problema delle banche ci sta la politica italiana con le sue fondazioni bancarie (tacendo o sussurrando il problema dei derivati e dell'eccessiva finanziarizzazione).
    È così? Siamo messi male a causa del troppo potere della politica nelle banche o è vero il contrario,ossia che i banchieri sono troppo liberi di autorizzazare operazioni finanziarie azzardate a scapito dei correntisti e del popolo nel caso in cui le cose vadano male?

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    1. Quei problemi c'erano anche prima e alcuni - gli eccessi di finanza speculativa per esempio - molto meno che altrove. La situazione del sistema bancario italiano oggi è tutta spiegata da otto anni di depressione, risolvibilissima introducendo domanda nel sistema economico. Il che richiede però di svincolarsi dall'Eurosistema.

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