giovedì 6 aprile 2017

Default su debito in moneta propria: alcuni chiarimenti


Qualche giorno fa mi sono trovato immerso in un animato dibattito (su twitter) in merito alla possibilità che un paese faccia default su debito denominato nella propria moneta nazionale. Le discussioni vertevano sul fatto che qualcosa del genere possa accadere al Giappone, o all’Italia in caso di ritorno alla lira.

Mi veniva, da alcuni, contestata un’affermazione che in effetti non ho mai formulato.

Non ho mai detto che nella storia non si siano mai verificati default su debito in moneta propria. E’ accaduto, e l’esempio recente più rilevante e più frequentemente citato è quello russo del 1998.

Ho invece affermato, e non vedo come si possa contestarlo, che uno stato non può mai essere forzato a fare default su debito in moneta propria. Se sono l’emittente della moneta, nessuno mi può costringere a non onorare un impegno espresso in quella moneta. Mi sembra che non ci sia nemmeno necessità di spiegarlo.

Se, quindi, in qualche rara occasione il default su debito in moneta propria è avvenuto, si è trattato di una consapevole scelta di politica economica: volontaria, non imposta.

E’ possibile immaginare almeno due giustificazioni per un’operazione di questo tipo (al di là delle valutazioni di merito sull’opportunità di effettuarla).

In primo luogo, lo stato emittente potrebbe ritenere necessario ridurre il potere d’acquisto in circolazione nella propria economia, per frenare eccessi di domanda e di inflazione. Il default in questo senso è assimilabile a un’imposizione fiscale (a una tassazione patrimoniale, per la precisione). Posso preferire far subire la perdita di potere d’acquisto ai titolari del debito pubblico invece che tagliare spese o aumentare le tasse su redditi, consumi, immobili o quant’altro.

In secondo luogo, posso cercare di mantenere un determinato rapporto di cambio tra la mia moneta e le valute estere. Se non ho abbastanza riserve valutarie per convertire la moneta in circolazione, devo adottare politiche deflattive. E una forma di politica deflattiva è ridurre la moneta propria, o i titoli da rimborsare in moneta propria, per abbassare le probabilità di ricevere richieste di conversione a cui non riesco a far fronte sulla base di un rapporto di cambio che, per qualche motivo, ho deciso di mantenere fisso a un determinato livello.

Come si vede, all’origine della decisione in entrambi i casi c’è la volontà di deflazionare l’economia: nel primo caso per ridurre la domanda e l’inflazione, nel secondo per sostenere il cambio.

Che lo strumento più opportuno per ottenere questi risultati sia il default su debito in moneta propria è discutibile, e in effetti si è verificato solo in circostanze estreme. Ma il punto è un altro: non ha senso preoccuparsi di un rischio di default sul debito pubblico giapponese “perché è il 230% del PIL”. Il rapporto al PIL non rileva: rileva il fatto che il Giappone non ha problemi di inflazione e non è in regime di cambio fisso con nessun’altra valuta.

Né avrebbe senso preoccuparsi per un default in moneta sovrana dell’Italia dopo il ritorno alla lira e l’adozione di un regime di cambio flessibile. Il rapporto debito pubblico / PIL anche qui non ha importanza. Importanti sono invece l’inflazione bassissima, e la domanda fortemente depressa rispetto alle capacità produttive del sistema economico: condizioni sotto le quali adottare politiche deflattive è privo di senso.

L’Italia, tornata alla lira e ai cambi flessibili, non potrebbe essere forzata al default e non avrebbe alcuna necessità, né teorica, né pratica, di prendere nemmeno lontanamente in considerazione un’eventualità del genere. Sarebbe, in altri termini, nella posizione odierna del Giappone, non in quella della Russia nel 1998.


13 commenti:

  1. confermo

    tutto e solo : volontà politica

    quando lo capiremo che i limiti sono solo dentro le nostre paure, tutto apparirà, come per incantesimo, di una semplicità sconcertante

    e ci domanderemo come è potuto accadere che ci siamo cascati

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Un misto di incompetenza e di opportunismo da parte di chi ha aderito e ha tratto vantaggi personali dall'eurosistema, combinato col fatto che la popolazione non poteva (non si poteva pretenderlo) avere cognizione, ai tempi, degli elementi tecnici e soprattutto delle implicazioni di un progetto di moneta unica.

      Elimina
  2. For your consideration.

    RispondiElimina
  3. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina
  4. Bello, questo è il miglior articolo che ha fatto.
    Comunque ragioniamo in termini di Italia.
    Ipotizziamo che non vi siano ritorsioni economiche
    Esce dall'euro
    Quindi secco che svaluta, la domanda risale, il pil pure. Pero' ha quella mole di debito pubblico DENOMINATO IN EURO...e lì ti voglio.
    Bagnai dall'alto della sua s.......à dice, ah ma tanto c'è il codice civile e quindi paghiamo in nuove lire.
    Eh certo...la Merkel, e le banche francesi e tedesche ringraziano perché il titolo paga interessi al tasso della valuta EURO!.
    Sicchè tu uscendo dall'euro devi stampare pari al differenziale del cambio (lira euro 1936 e quello che sara' alla scadenza dei vari btp). Ovviamente questo porta a una stampa talmente alta (ricordiamo il 35% e oltre è in mano estera che il cambio giocoforza collassa "su se stesso" (ps. ricordiamo che ai tempi del buco del bilancio anni 70 la lira perdeva perfino contro peso spagnolo e dracma greca).
    se collassa sei costretto ad alzare i tassi per sostenerlo e strozzi l'economia.
    Sicchè tutta questa uscita dall'euro non la vedo una panacea, anzi.
    Forse l'unica soluzione di qualche interesse sono i CCF che lei ha argomentato.
    Sebbene anche qui vi sono problematiche di a) avere assenza di shock esterni altrimenti lo Stato deve non solo fare debito per sostenere lo shock ma deve pure pagare i CCF, b) inoltre occorre che dalla data di emissione alla scadenza essi generino dei flussi di cassa ovvero entrate statali pari a coprirli e chissa' anche a guadagnarci...
    Altro discorso è… a mio parere vi è un ciclo del debito, che riassumo anche se con una certa sinteticità e pressapochismo.
    Inizi ad emettere debito, poi diventa grande (hai scompensi via cambio) e se vuoi che a) non alzare i tassi b) ci sia qualcuno che te lo acquista (perché il cambio è sfavorevole al creditore) sei costretto ad emetterlo in valuta.
    E’ proprio in questo caso in debiti in valuta estera che vi sono i maggiori default. Che guarda a caso è la situazione dell’Italia.
    Comunque l’articolo che mi è piaciuto di piu’ e se vogliamo che mi ha convinto di piu’…
    Sintetizzando, in un contesto inflattivo il debito non sta in piedi (non lo si vuole far stare in piedi), mentre in uno deflattivo costui sta in piedi, pero’ aggiungo, fino a che il mercato dei cambi te lo permette….
    Un caro saluto
    BULLFIN74

    P.S.: poi è sempre piacevole argomentare con Lei che usa toni civili, pacati rispetto a Zibordi. Dovrebbero metterlo con persone che zappano i campi ma questi ultimi risulterebbero piu’ civili e comunicativi del trader modenese.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In caso di uscita dall'euro la lex monetae è applicabile senza ambiguità. Il creditore estero subisce una perdita? Ma ricordiamo che fin qui ha beneficiato di 2% annui (in certi periodi molto di più) di interessi rispetto al sottoscrittore di titoli tedeschi. Il rischio di ridenominazione (o di default) c'è e l'investitore ne deve essere conscio, altrimenti sarebbe un pasto gratis, quello che i pasdaran liberisti o sedicenti tali ci ripetono ogni tre per due che non può esistere...

      Elimina
    2. Con i CCF peraltro tutti questi problemi non si pongono neanche in teoria, e a termine la ripresa della crescita indotta dall'azione espansiva dei CCF stessi li "ripaga" abbondantemente, anche sulla base di ipotesi molto conservative (vedi le simulazioni riportate nella presentazione del progetto - link nella testata del blog). Salvo se parte una depressione mondiale stile 2009, ma allora l'azione espansiva dovrà esserci coordinata a livello mondiale, e l'effetto dei CCF in aggiunta sarà comunque un plus.

      Elimina
    3. Da riflettere poi sul fatto che coprire il debito pubblico in lire con risparmio interno per l'Italia non è mai stato un problema: tanto è vero che non ci siamo mai significativamente indebitati con l'estero. E poi se l'emissione di moneta nazionale la effettua direttamente lo Stato non c'è neanche debito da collocare - ci ha riflettuto ? I CCF sono appunto moneta di emissione statale...

      Elimina
    4. P.S. Non se la prenda con Zibordi, è una persona estremamente competente e, le assicuro, di animo aperto e gentile come pochi. Nelle discussioni su social network si lascia un po' andare, ma i toni accesi spesso e volentieri sono dei suoi interlocutori prima che suoi...

      Elimina
  5. E se invece avesse il debito in valuta estera? Sarebbe forzato? Grazie

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Chi ha debito in valuta estera può essere forzato al default, certo. Perché la valuta estera non la emette.

      Elimina
  6. Quindi il ragionamento sarebbe: emettendo troppo debito in valuta estera il paese in questione non potrebbe stampare moneta estera per ripagare gli interessi e i rimborsi, ergo nel momento in cui finisce le riserve in valuta estera potrebbe solo stampare moneta propria e cambiarla con quella estera finché la svalutazione indotta non lo costringe a dichiarare default. Ma sarebbe sempre un default volontario però poiché di fatto un limite tecnico alla svalutazione non c’è, è esatto?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sul piano strettamente formale potremmo definirlo un default volontario, ma nei fatti sarebbe imposto dalle circostanze.

      Elimina