martedì 23 febbraio 2021

Ancora sul tema delle aziende “da salvare – o meno”

 

Un’ulteriore riflessione su quanto già argomentato qui. Quale sarebbe il “costo” o lo “spreco” dei salvataggi, che dovrebbe spingere a “essere selettivi”, quindi a sostenere certe aziende, certi settori, ma non tutti ?

La moneta si emette a costo zero. Il “costo” implicito potrebbe essere dato dall’inflazione e dalle sue conseguenze in termini di maggiori futuri tassi d’interesse.

Ma le principali banche centrali del mondo, inclusa la BCE, non potranno che adeguarsi a quello che la Federal Reserve ha già affermato con totale chiarezza: assolutamente nessuna fretta di alzare i tassi d’interesse anche se l’inflazione arrivasse, nel giro di un anno o due, al 3% o al 4%.

La possibile ripartenza dell’inflazione, peraltro, si concretizzerà molto prima negli USA che nell’Eurozona (per tacere dell’Italia). E la ragione è semplicissima: gli USA hanno varato azioni di sostegno dell’economia a colpi di trilioni di dollari. Qui stiamo ancora ad aspettare i 750 miliardi finti del Recovery Fund, di cui si parla da un anno e dei quali non si è ancora visto un centesimo (e probabilmente sarebbe meglio così, visti i lacci e i vincoli con cui arriveranno, se arriveranno).

Ricordiamo poi un punto fondamentale: l’inflazione dipende dell’equilibrio tra offerta e domanda, dove l’offerta è la capacità produttiva del sistema economico. Se proprio vogliamo trovare un motivo per preoccuparci dell’inflazione futura, il meccanismo della sua ripartenza potrebbe quindi essere la contrazione dell’offerta potenziale. E che cosa potrebbe innescarla ? lasciar fallire e chiudere aziende, far decollare ancora di più le insolvenze bancarie, dare di conseguenza dare un’altra martellata all’erogazione di credito.

Il dibattito sulla “selettività dei salvataggi e dei ristori”, in altri termini, è lunare. Completamente insensato e fuori tempo. Proprio per questo, in linea con le abitudini dell’establishment eurozonico.

4 commenti:

  1. Stasera Ignazio La Russa si è di nuovo reso ridicolo sulle storie del tasso di conversione tra l'euro e dell'aumento generalizzato dei prezzi che sarebbe stato provocato dall'introduzione, delle banconote e delle monete in euro. All'aria che tira, su La7, ha sostenuto che l'aumento generalizzato dei prezzi del 2002 (che NON c'è stato) sarebbe stato dovuto al tasso di conversione tra lira ed euro che era stato scelto. La confusione non può essere più grande. E nel nostro paese ci sono delle bufale che non si riesce a smontare.
    Nessuno ha mai scelto i tassi di conversione. Nel trattato di Maastricht (firmato nel febbraio 1992, praticamente sette anni prima dell'inizio dell'unione monetaria) era stato stabilito che per entrare nell'euro un paese avrebbe dovuto partecipare senza tensioni al Sistema monetario europeo per almeno due anni. Era quindi chiaro che i paesi sarebbero entrati nell'unione monetaria con il tasso di cambio di mercato. Per la precisione, i tassi di conversione utilizzati (il 1936.27 lire per un euro) erano i tassi rilevati sul mercato alle ore 12.00 del 31 dicembre 1998.
    Per la Germania il tasso di mercato di fine 1998 era praticamente lo stesso di quello uscito dall'ultimo riallineamento nel settembre del 1992. Per l'Italia, che era uscita dalla banda di fluttuazione ristretta del Sistema monetario europeo, fu necessario fissare un nuovo tasso centrale. Questo fu negoziato da Ciampi nell'ottobre del 1996 e il risultato fu più o meno il valore di mercato di quel momento.
    In questa discussione, l'Italia avrebbe voluto consolidare le svalutazioni del 1995 per ovvi motivi di competitività mentre gli altri paesi avrebbero preferito un tasso più basso. L'Italia chiedeva una parità centrale di 1000 lire per un marco e gli altri paesi chiedevano una parità di 950 lire per un marco. Il risultato del negoziato fu 990 lire per un marco, un risultato molto vicino all'obiettivo del governo italiano.
    Quindi chi parla di tassi di conversione sbagliati o vantaggiosi/svantaggiosi o scelti da qualcuno dice un'assurdità monumentale. I tassi di conversione scelti – i tassi del mercato – non potevano cambiare la competitività dei paesi, ne avere una qualsiasi influenza sui prezzi interni.
    La discussione del 1996 verteva comunque su di un cinque per cento di differenza. È avvenuta nel 1996. Già a quei tempi il valore deciso era molto vicino al valore di mercato (circa l'un per cento) e l'introduzione delle banconote e monete in euro è avvenuta il primo gennaio 2002, oltre cinque anni dopo. NON ESISTE quindi nessuna relazione tra tasso di conversione della lira nei confronti dell'euro e aumento dei prezzi nel 2002.
    L'unico effetto sui prezzi che il passaggio dall'espressione dei prezzi in lire a quella in euro e all'uso delle nuove banconote avrebbe potuto provocare era dovuto agli eventuali arrotondamenti. Ma la stragrande maggioranza dei prezzi è stata convertita senza arrotondamenti. Il tasso di inflazione del 2002 è stato del 2.4 per cento.

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    1. Corretto. Semplicemente gli arrotondamenti hanno influenzato di più i beni di modesto valore unitario, che sono anche quelli che si comprano più di frequente, creando la sensazione che la salita dei prezzi fosse molto maggiore.

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  2. La cina ha un partito comunista che comanda ma non attua principi comunisti visto che ci sono 100 milioni di ricchi e quando gli imprenditori Italiani se ne accorgeranno potrebbero pensare di cambiare PAPPONE da quello USA a quello china e l'impero degli OBESI dovrà farsene una ragione perché gli imprenditori sono come le prostitute pur di guadagnare un centesimo in più sono disposti a dare tutto.
    Luc

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    1. "La Cina ha un partito comunista che comanda ma non attua principi comunisti": su questo concordo.

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