I programmi di
Quantitative Easing messi in atto dalla BCE hanno prodotto un apparente
paradosso.
Sono stati
completamente inefficaci per quanto riguarda l’obiettivo dichiarato, alzare il
tasso d’inflazione verso l’obiettivo BCE del 2% (o per essere più esatti,
“inferiore ma vicino al 2%”).
Hanno invece
prodotto un consistente riallineamento al ribasso del cambio.
Nell’estate del
2014, l’euro valeva oltre 1,30 dollari. In quel periodo, si è cominciato a
parlare con sempre maggiore insistenza del possibile avvio di un programma di
QE da parte della BCE.
Il programma è
stato alla fine annunciato da Mario Draghi nel gennaio 2015, e attuato a
partire da marzo. E tra l’estate 2014 e l’inizio del QE ha avuto luogo una
svalutazione dell’euro fino a circa 1,10 dollari. In anticipo, in effetti,
rispetto all’avvio del programma, per la nota tendenza dei mercati a recepire
gli effetti di un mutamento di politica prima che avvenga, via via che la sua
attuazione diventa sempre più certa.
Intorno al livello
di 1,10, il cambio ha oscillato da allora a oggi (quindi, ormai, per cinque
anni).
In tutti questi
anni, non si è verificato invece alcun significativo incremento dell’inflazione
media dell’Eurozona. Il che stupirà chi crede alla favola secondo la quale svalutazione e
inflazione vanno sempre e comunque di pari passo.
In realtà, la
spiegazione è semplice. Le politiche fiscali rimanevano orientate al
consolidamento. Non veniva immesso potere d’acquisto supplementare, utilizzabile
per comprare beni e servizi.
Veniva invece
emessa moneta per comprare titoli. Saliva quindi il prezzo di questi ultimi (e
scendeva di conseguenza il loro tasso di rendimento). Senza alcun impatto
rilevante e sistematico sui prezzi al consumo.
Come mai,
invece, si verificava un impatto sul cambio ? perché veniva ritirata dal
mercato una grossa quantità di attività finanziarie (sostanzialmente, i titoli
di Stato acquistati nell’ambito delle operazioni di QE). Gli investitori
vendevano e si guardavano, quindi, intorno alla ricerca di impieghi
alternativi.
Questi impieghi
alternativi in molti casi erano reperibili all’interno dell’Eurozona. Ma in
parte, ci si rivolgeva anche al resto del mondo.
Gli euro
ricevuti da chi vendeva i titoli di Stato venivano quindi ceduti per comprare
azioni, obbligazioni o altri investimenti. E questi investimenti in parte erano
in dollari o comunque extra Eurozona.
Il QE senza
espansione fiscale ha quindi prodotto, per ragioni perfettamente comprensibili,
un deprezzamento del cambio euro – dollaro. E nessun impatto degno di nota, al
contrario, sull’inflazione.
Se una ipotetica dittatura prendesse il potere e gli desse carta bianca per risolvere la crisi lei oltre ai CCF cosa farebbe?
RispondiEliminaBeh l'elenco sarebbe lungo… i CCF sono lo strumento giusto ma è ovviamente importante selezionarne al meglio le applicazioni. Mi impegnerei senz'altro per allocare al meglio la quota destinata a pubblico impiego e investimenti pubblici. Con quali finalità ? per dotare l'Italia di eccellenti infrastrutture, di un sistema sanitario ancora più efficace, di un sistema di istruzione pubblica ai migliori livelli mondiali: per esempio aprendo varie università di assoluta eccellenza. Molte delle quali al Sud.
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