venerdì 3 maggio 2013

Progetto CCF – Certificati di Credito Fiscale: in sintesi


Le cause della crisi economica possono essere così riassunte.

I paesi dell’eurozona utilizzano la stessa moneta. In alcuni (Germania e paesi della vecchia “area marco”) la crescita di costi e retribuzioni è tenuta sotto controllo in modo molto disciplinato. In altri (Sud Europa) ci sono invece stati aumenti più alti rispetto a quelli della produttività.

Dal 1999 a oggi si è prodotta, nei costi di lavoro per unità di prodotto, una forbice del 20% circa tra Italia e Germania.

In passato, questo causava la graduale rivalutazione del marco tedesco rispetto alla lira italiana: i cambi flessibili agivano da ammortizzatore. In regime di moneta unica ciò non è più possibile.

Il Nord Europa, data la maggiore competitività, ha accumulato surplus commerciali e crediti; specularmente è cresciuto il debito estero del Sud.

Dal 2009 in poi, anche a causa della congiuntura mondiale negativa prodotta dal fallimento Lehman, sono cresciuti i dubbi sulla capacità dei paesi del Sud Europa di rimanere solvibili. Il mercato ha quindi richiesto interessi più alti sul loro debito, sia pubblico che privato.

Per prevenire una crisi finanziaria, da metà 2011 in Italia si è cercato di migliorare le finanze pubbliche soprattutto tramite maggior imposizione su consumi e patrimoni, e di rendere più flessibile e produttivo il lavoro.

Purtroppo però la caduta di domanda e potere d’acquisto è stata molto più accentuata di quanto si sperasse, innescando un circolo vizioso:

-Flessione dei consumi.

-Caduta della produzione e dei redditi.

-Discesa dei valori degli immobili e delle attività patrimoniali in genere.

-Aumento delle sofferenze e riduzione delle erogazioni di credito bancario.

-Buona parte dei benefici delle maggiori imposte sui conti pubblici è stata erosa dalla caduta della base imponibile.

-Il minor denominatore ha incrementato il rapporto debito pubblico / PIL.

Eliminare o ridurre fortemente il delta di costo del lavoro per unità di prodotto tra Italia e Germania non è possibile, nei tempi imposti dalla crisi, tramite interventi su organizzazione aziendale e innovazione tecnologica, che richiedono periodi ben più lunghi.

La via della riduzione salariale è altrettanto sterile: come visto riduce domanda e PIL, deteriora il credito e squilibra ulteriormente la finanza pubblica.

Il progetto Certificati di Credito Fiscale (CCF) è finalizzato a risolvere i problemi strutturali del sistema euro nel modo seguente.

1. Emissione di circa 200 miliardi all’anno di titoli (i CCF appunto) utilizzabili per pagare tasse, imposte o qualsiasi altra obbligazione finanziaria verso le pubbliche amministrazioni, a partire da due anni dopo la loro emissione.

2. I CCF sono assegnati gratuitamente a datori di lavoro del settore privato (80 miliardi circa), a lavoratori (dipendenti e autonomi) sia del settore privato che del settore pubblico (70 miliardi circa), e per i residui 50 miliardi ad altri usi: ripristino di tagli a servizi pubblici essenziali, sostegno al reddito dei ceti sociali disagiati, riduzione dello scaduto di pagamenti dovuti dalle pubbliche amministrazioni ai fornitori ecc.

In particolare, la quota destinata a ridurre il costo del lavoro del settore privato riporta la competitività delle aziende italiane ai livelli tedeschi, ottenendo (per altra via) effetti simili a un riallineamento valutario.

I CCF non sono debito pubblico: lo Stato non li rimborserà alla scadenza. Li accetterà invece a saldo di obbligazioni finanziarie. I CCF sono una moneta nazionale con utilizzo differito, che lo Stato italiano può emettere autonomamente e che potrà affiancare l’euro.

Il percettore dei CCF potrà monetizzarli in anticipo rispetto alla scadenza, con uno sconto di mercato finanziario, oppure utilizzarli per transazioni tra privati (saranno infatti illimitatamente e liberamente trasferibili).

Recenti stime formulate da eminenti studiosi (tra cui Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale, e Paul Krugman, Premio Nobel 2008) indicano che in una situazione di economia depressa, uno stimolo al potere d’acquisto e alla domanda produce effetti di espansione del PIL più che proporzionali. Un multiplo comunemente rilevato in queste analisi è 1,3 circa.

Quindi l’immissione di 200 miliardi di CCF nell’economia italiana causerebbe 260 miliardi di maggior PIL. Questo consente di recuperare tutti gli effetti della crisi, in termini di reddito e di occupazione.

Poiché il gettito fiscale è poco meno del 50% del PIL, i 260 miliardi di maggior PIL producono circa 120 miliardi di maggiori entrate fiscali annue. Questo dato è inferiore ai 200 miliardi annui che verrebbero assorbiti dall’utilizzo dei CCF. Tenuto conto però che tale utilizzo avviene solo dal terzo anno in poi, e che la “forbice” di maggior PIL (rispetto a uno scenario di economia depressa) cresce nel tempo, il debito pubblico in valore rimane a livelli simili. Ma cala fortemente in percentuale.

In conclusione il progetto Certificati di Credito Fiscale consente:

-La forte e rapida ripresa dell’economia.

-Il ripristino dei livelli di occupazione precedenti alla crisi.

-Il considerevole miglioramento del debito pubblico in rapporto al PIL.

-Il riallineamento della competitività del lavoro italiano ai livelli tedeschi, senza penalizzare (anzi migliorando) i redditi dei lavoratori.

4 commenti:

  1. Ludovico Fulci: qualsiasi iniziaiva volta al rilancio della domanda va benissimo... unico problema è che essendo "scontabili" prima del biennio, si rischierebbe la loro concentrazione in mano dei più ricchi che sarebbero in grado di attendere il decorso del biennio a partire dal quale potrebbero essere utilizzati a valore pieno. questo potrebbe rischiare di favorire la speculazione (compro subito un ccf a 100 dato che tra due anni mi varrà 200...) anche se con risvolti positivi nel breve termine per l'economia reale... io vedo meglio un programma di investimenti pubblici in nuove lire, con supporto all'economia reale nei settori strategici dell'economia nazionale e una introduzione, in ogni regione di una moneta locale, in funzione di supporto delle attività artigianali locali e come introduzione di un reddito di cittadinanza.

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    1. E' un rischio molto meno significativo di quanto sembra perché il tasso di sconto sarebbe in realtà in linea con quello di un BOT a due anni (forse addirittura più basso perché sono titoli senza rischio di default, è una situazione analoga ai Mosler Bond, come notava lo stesso Warren Mosler). I CCF possono comunque essere usati per tutte le finalità per le quali tu useresti le "nuove lire". Importante però è che una parte vada a ridurre il costo del lavoro (compensando le imposte gravanti sulle aziende, senza penalizzare i lavoratori). Questo permette di riallineare la competitività intra area euro (Italia vs Germania in particolare).

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  2. I CCF sono assegnati gratuitamente a datori di lavoro del settore privato (80 miliardi circa), a lavoratori (dipendenti e autonomi) sia del settore privato che del settore pubblico (70 miliardi circa): non mi è chiaro con quali criteri lo stato distribuirebbe questi regali. O forse non sono regali ma restituzione di somme dovute. Non mi è chiaro. Grazie

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    1. Il criterio è l'ammontare dei costi di lavoro sostenuti dall'azienda (da un lato) e delle retribuzioni nette dei dipendenti (dall'altro). Si riduce il costo del lavoro e si aumentano i redditi. Questo incrementa la competitività delle aziende (quindi l'export) e la domanda dei consumatori italiani. Si genera un forte incremento di occupazione e di PIL, le entrate fiscali salgono e questo compensa l'utilizzo (alla loro scadenza, due anni dopo l'emissione) dei CCF per pagare imposte.

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