martedì 4 giugno 2013

CCF: come determinare le quantità da emettere


Per cominciare, alcuni dati.


 
 
PIL a
 
 
Crescita PIL
 
Delta PIL
 
 
prezzi
Crescita
Effetto
potenziale
PIL
potenziale
Differenza
Anno
PIL
2007
reale
prezzi
(*)
potenziale
vs effettivo
cumulata
2007
1.554
1.554
 
 
 
1.554
 
 
2008
1.575
1.535
-1,2%
2,6%
1,5%
1.618
43
43
2009
1.520
1.451
-5,5%
2,1%
1,5%
1.677
157
200
2010
1.553
1.478
1,9%
0,3%
1,5%
1.707
154
355
2011
1.580
1.484
0,4%
1,3%
1,5%
1.755
175
530
2012
1.566
1.450
-2,3%
1,5%
1,5%
1.809
243
773
2013
1.559
1.423
-1,8%
1,4%
1,5%
1.861
302
1.075
(*) Escluso effetto prezzi.
 
 
 
 
 
 

 
Commenti. Depurato per l’effetto prezzi, il PIL 2013 italiano è previsto dall’OCSE a livelli inferiori di quasi il 9% (1.423 contro 1.554) rispetto al 2007.
 
Il PIL potenziale di un paese cresce per effetto dell’accumulazione di capitale produttivo, dei miglioramenti della tecnologia e della crescita demografica. Ipotizziamo che il PIL 2007 sia stato pari al livello potenziale, cioè a una situazione ottimale sotto il profilo dell’occupazione. Anche se per la verità il contesto economico 2007 dell’Italia lo ricordo discreto, non proprio smagliante.
 
Ipotizziamo inoltre che il PIL potenziale in Italia abbia una tendenza a crescere in ragione dell’1,5% annuo medio. E’ un dato inferiore a quelli che circolavano prima della crisi, dove il 2% era già considerato cautelativo.
 
Con queste due ipotesi, si arriva a stimare il PIL italiano potenziale, altrimenti detto il PIL “di piena occupazione”: che non significa disoccupazione zero, bensì un’economia sufficientemente dinamica, in cui trovare lavoro a condizioni decorose e stabili è possibile in modo abbastanza rapido sia per i giovani al primo impiego, sia per chi si trova a cercarne uno in età più matura.
 
Un livello “sano” di attività economica richiede che il PIL effettivo corrisponda al potenziale. La differenza negativa è il cosiddetto “output gap” ed è la perdita di produzione, e quindi di reddito, che il paese subisce a causa dell’incapacità di sfruttare una parte delle sue risorse produttive.
 
L’output gap italiano nel 2013 è di circa 300 miliardi di euro. Stiamo procedendo oltre il 16% sotto le potenzialità della nostra economia.
 
Questo ammanco è stato prodotto essenzialmente da due fenomeni: la crisi finanziaria esplosa, a livello mondiale, nel settembre 2008 con il fallimento Lehman Brothers, e la crisi dell’eurozona la cui data d’inizio può essere situata nel 2009, e che ha investito in pieno l’Italia nel 2011 (impennata del costo del debito pubblico, dimissioni di Berlusconi, governo Monti).
 
Stimare separatamente gli effetti è difficile, o meglio opinabile. Le due crisi si sono sovrapposte – nel 2011 l’output gap dovuto alla crisi Lehman dava segni di attenuazione, ma ancora molto parziali. D’altra parte le differenze di competitività tra Germania e Italia, tra Nord e Sud Europa, si stavano accumulando e stavano frenando il recupero italiano sicuramente da prima delle manovre di austerità (iniziate a metà 2011).
 
Con tutti i limiti e le approssimazioni del caso, suggerisco comunque di etichettare sotto la voce “Crisi Lehman” l’output gap complessivo rilevato nel 2008, 2009, 2010 e metà 2011. E sotto la voce “Eurocrisi” l’altra meta 2011, il 2012 e il 2013.
 
Fanno impressione, in ogni caso, le cifre totali. In sei anni, l’Italia subisce una perdita di PIL, quindi di reddito della collettività nazionale, di 1.075 miliardi di euro, di cui 443 attribuibili alla Crisi Lehman e 632 all’Eurocrisi.
 
E la devastazione economica non finisce certo con il 2013. Nemmeno si attenua, se le politiche adottate in Italia e in Europa proseguiranno per inerzia, secondo le linee attuali.
 
Bene, applichiamo a questi dati il progetto Certificati di Credito Fiscale per ottenere la chiave di soluzione di questo pesantissimo contesto. Stime recenti elaborate e / o utilizzate da economisti di grande prestigio e notorietà (Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale; Paul Krugman, premio Nobel 2008) stimano intorno a 1,3 il cosidetto “moltiplicatore keynesiano”.
 
Questo equivale a dire che un insieme di politiche attive di sostegno della domanda, in situazione di PIL inferiore a quello potenziale, produce un recupero di produzione e reddito pari a 1,3 volte circa il loro importo.
 
Dato un output gap di 302 miliardi di euro, per riportare l’economia italiana al suo potenziale vanno quindi emessi, su base annua, CCF per un importo di 302 / 1,3 = 232 miliardi. Nelle prime formulazioni del progetto avevo parlato di 150 miliardi, successivamente incrementati a 200. La cifra lievita essenzialmente per una ragione: il tempo passa, il PIL effettivo italiano continua a scendere e l’output gap ad aumentare.
 
Oltre a colmare il gap di domanda e di capacità di spesa, dobbiamo però essere ragionevolmente certi che questa immissione di strumenti monetari non produca un peggioramento della bilancia commerciale italiana. Altrimenti l’effetto positivo sul PIL sarebbe in parte eroso dall’aumento del deficit commerciale, e riprenderebbe ad accumularsi debito verso l’estero.
 
Per ottenere questo effetto, il progetto CCF prevede che una parte significativa delle emissioni di CCF vada alle aziende private, per ridurre la tassazione effettiva del lavoro che grava su di esse e riportare la competitività (costo del lavoro per unità di prodotto) a livelli Nord Europei.
 
L’attuale deficit di competitività è stimato nel 20% circa, mentre i costi di lavoro annui lordi delle aziende private italiane sono previsti in 466 miliardi di euro. La quota di CCF ad esse destinate dovrebbe essere quindi all’incirca pari a 466 x 20% = 93 miliardi.
 
Non sono previste assegnazioni di CCF al datore di lavoro pubblico. In primo luogo si tratterebbe di una partita di giro (moneta statale assegnata allo Stato medesimo). Inoltre l’amministrazione pubblica eroga servizi che, salvo eccezioni complessivamente di poco conto, non sono destinati all’export né competono con le importazioni: sanità, pubblica istruzione, ordine pubblico, giustizia, difesa, territorio.
 
Restano 232 – 93 = 139 miliardi annui utilizzabili per altre forme di sostegno dei redditi e della domanda:

Integrazione di reddito di TUTTI i lavoratori (dipendenti pubblici, dipendenti privati e autonomi).
Sostegno ai redditi delle categorie disagiate e più colpite dalla crisi.
Miglioramento / reintegro di spesa sociale.
Accelerazione dei pagamenti a fornitori della pubblica amministrazione.
 

2 commenti:

  1. prima che uscisse l'attuale post. con un calcoletto da scuola elementare, in assenza di dati OCSE,avevo calcolato il PIL nell'ordine
    di 1602, semplicemente rapportandolo al debito
    pubblico ( assodato )di 2035.
    è troppo semplicistico? GFC

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    1. Il PIL effettivo o il PIL potenziale ? penso l'effettivo, probabilmente è uscito un numero un po' più alto perché hai usato una stima leggermente ottimistica del rapporto debito / PIL.

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