lunedì 12 settembre 2016

Eurosistema: il costo dell’inerzia


Joseph Stiglitz, che da anni non risparmia critiche all’Eurosistema, ha di recente – in corrispondenza con la pubblicazione del suo ultimo libro - decisamente rafforzato i toni, affermando tra le altre cose che il costo del mantenimento dell’euro supera ormai in modo evidente quello che sarebbe prodotto da una sua rottura.

Qualcuno degli irriducibili difensori del sistema oggi in essere ha contestato questa affermazione. In particolare, si dice, i costi del breakup sono estremamente difficili da stimare.

Quest’ultimo punto ha indubbiamente degli elementi di verità, soprattutto in quanto non c’è chiarezza in merito a come questo processo di rottura si potrebbe svolgere e a come sarebbe gestito.

Tuttavia, ragionando per ordini di grandezza non si fa fatica a convincersi che l’affermazione di Stiglitz è estremamente plausibile. Si era visto qui come l’”output gap” dell’Eurozona, ovvero il minor PIL oggi generato rispetto a una condizione di normalità (cioè di soddisfacente impiego delle risorse produttive) sia stimabile – con ogni probabilità per difetto - nell’8%.

Su un PIL eurozonico di oltre 10.000 miliardi, stiamo parlando di più di 800 miliardi all’anno. La cifra è di per sé enorme, ma il punto da sottolineare è che si tratta di un danno ricorrente: ogni anno l’Eurozona rinuncia a molte centinaia di miliardi di reddito e produzione – con il corollario di disoccupazione di massa, fallimenti aziendali, continuo deterioramento del tessuto sociale – per non saper o voler modificare un assetto economico-monetario che, palesemente, non funziona.

Tutto questo è destinato a proseguire – quanto a lungo ? in assenza di interventi, per un periodo indefinito.

Se ragioniamo in termini di alternativa secca – rottura o proseguimento dello status quo – mi pare evidente che l’affermazione di Stiglitz non è contestabile. Non riesco a immaginare uno scenario, anche deflagrante o disordinato, di rottura dell’euro che possa generare danni di un ordine di grandezza pari a svariate migliaia di miliardi di euro. Che è il costo del mantenimento dello status quo.

La rottura, quindi, costa molto meno dell’inerzia. Detto questo, la rottura non è la soluzione più efficiente, il che riporta a ragionare sulle alternative e sulla loro fattibilità politica. E ricadiamo sempre nelle stesse tre – non credo ne esistano altre, o quantomeno non riesco a immaginarne e non ho visto nessuno formularle:

Totale revisione dei vincoli di spesa e deficit dell’Eurozona.

Helicopter Money effettuata dalla BCE.

Introduzione, paese per paese, di strumenti monetari complementari, in affiancamento all’euro (senza rotture).

Politicamente, un consenso interno tra i vari stati dell’Eurozona per percorrere la prima strada mi pare lontanissimo da poter essere raggiunto.

La seconda dipende, appunto dalla BCE. La trovo meno inverosimile, ma comunque non ci si può fare affidamento.



Nessun commento:

Posta un commento