sabato 17 settembre 2016

Moneta Fiscale, debito pubblico, risparmio privato e soluzione della crisi

L’Italia è, da molti anni, caratterizzata dalla presenza di un alto livello di debito pubblico (in rapporto al PIL) e, nello stesso tempo, anche da un alto livello di risparmio privato.

In realtà l’elevato livello di entrambi questi aggregati non stupisce in quanto, l’accrescimento dell’uno tende ad andare di pari passo con quello dell’altro.

Il debito pubblico è, infatti, alimentato dai deficit annui del settore statale. Se lo stato spende più di quanto incassa, si generano attività finanziarie che finiscono nei portafogli di operatori privati.

Nella misura in cui lo stato non è emittente di moneta, le attività finanziarie in questione prendono la forma di titoli emessi dal settore pubblico, che tradizionalmente sono costituiti da titoli statali di debito. Nel caso del nostro paese, dai ben noti BOT, BTP, CCT eccetera.

Questi titoli sono passività per il settore pubblico emittente ma nello stesso tempo, per definizione, sono anche attività per gli operatori privati che le detengono. Tali operatori possono essere nazionali o esteri. Per un paese come l’Italia, la cui posizione finanziaria netta sull’estero è passiva ma per livelli contenuti (23% circa al 30 giugno 2016, e tendente attualmente a scendere), i detentori sono prevalentemente soggetti nazionali.

Si intuisce e si spiega, quindi, che a fronte di un alto rapporto debito pubblico / PIL, il nostro paese sia caratterizzato anche da alti livelli di risparmio privato interno (sempre in rapporto al PIL).

Di tanto in tanto, si sente affermare che la riduzione dei livelli dell’uno dovrebbe passare tramite un contenimento dell’altro, da attuarsi anche mediante forme di prelievo straordinario (imposte patrimoniali) o di riduzione del valore effettivo del debito (ristrutturazioni, consolidamenti, write-offs). Ipotesi di questo genere, tuttavia, non possono essere prese seriamente in considerazione. L’effetto sarebbe un impoverimento effettivo del settore privato italiano, che innescherebbe effetti fortemente negativi su consumi, investimenti, occupazione e PIL.

Si avrebbe:
un ulteriore, forte peggioramento delle condizioni economiche del paese
un abbattimento del PIL, che vanificherebbe il presunto miglioramento del rapporto debito pubblico / PIL
una caduta dell’occupazione
un grave deterioramento del già precario equilibrio sociale.

Se si desidera abbassare il rapporto debito pubblico / PIL, occorre, evidentemente, scegliere un altro percorso.

L’attuale assetto dell’Eurosistema prevede, in buona sostanza, che gli stati membri si impegnino (Fiscal Compact) (i) a raggiungere il pareggio di bilancio (equilibrio tra euro incassati ed euro spesi) e (ii) a ridurre gradualmente nel tempo (fino al 60%) il rapporto debito pubblico lordo / PIL. Nello stesso tempo, sussiste un impegno della BCE a garantire illimitatamente i debiti pubblici (OMT) purché gli stati membri dell’Eurozona conseguano gli obiettivi del Fiscal Compact, o si attivino comunque credibilmente e plausibilmente per correggere eventuali “deviazioni di rotta”.

In pratica, la BCE si è impegnata a garantire i debiti pubblici degli stati membri, purché non si incrementino in valore facciale (pareggio di bilancio) e si riducano gradualmente in percentuale del PIL, fino (ove eccedenti) al livello-obiettivo del 60%.

Il Fiscal Compact sta però risultando impossibile da applicare, sostanzialmente in quanto azioni fiscali restrittive finalizzare a ridurre il rapporto deficit pubblico / PIL, nelle attuali condizioni di domanda depressa, hanno un effetto più che proporzionale sul PIL (moltiplicatore keynesiano superiore a 1). Di conseguenza, buona parte degli sforzi di contenimento del deficit sono erosi dal calo del gettito, e modestissimi miglioramenti vengono conseguiti solo a fronte di pesanti effetti depressivi su PIL e occupazione.

La Moneta Fiscale rende possibile superare quest’impasse in quanto:

UNO, è possibile effettuare azioni espansive della domanda interna, e di recupero della competitività delle aziende, emettendo titoli fiscali che hanno valore grazie alla loro utilizzabilità per ridurre pagamenti futuri verso lo stato emittente. I titoli fiscali non sono titoli soggetti a rimborso: non c’è quindi bisogno che la BCE li garantisca né implicitamente né esplicitamente, in quanto lo stato emittente non potrà mai essere forzato all’inadempimento dell’impegno assunto (appunto perché si tratta di un impegno di accettazione, non di rimborso).

DUE, si fa leva sull’amplissimo livello di capacità produttiva inutilizzata del sistema economico di vari paesi dell’Eurozona. Nel caso italiano, il PIL reale 2016 è inferiore del 9% circa – corrispondenti grosso modo a 150 miliardi di euro – rispetto a quanto raggiunto nel 2007 (nove anni fa !) Il recupero dei livelli produttivi pre-crisi, consentito dalla Moneta Fiscale e dalla sua azione espansiva, genera il gettito fiscale necessario a compensare l’utilizzo dei titoli fiscali (utilizzo che ceteris paribus – cioè in assenza di tale recupero produttivo - diminuirebbe il gettito futuro).

DUE BIS, il recupero produttivo e occupazionale consente di rispettare gli impegni di finanza pubblica, ma nello stesso tempo rimette in salute l’economia reale del paese. Quest'ultimo risultato è indispensabile perché l’assetto economico-monetario dell’Italia e dell’Eurosistema sia sostenibile nel tempo.

TRE, la Moneta Fiscale consente ulteriori azioni efficaci per normalizzare e stabilizzare il profilo di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL, anche superando eventuali problemi prodotti da negatività congiunturali che si potranno presentare in futuro. Ad esempio, rifinanziare parte del debito pubblico mediante titoli fiscali a scadenze medio o lunghe, o offrire ai detentori di Moneta Fiscale la possibilità di posporne l’utilizzo, riconoscendo una maggiorazione di valore facciale (una forma di tasso d’interesse, di fatto).

QUATTRO, in casi estremi, che appaiono peraltro fortemente improbabili data la ricchezza, la varietà e la flessibilità degli strumenti sopra descritti, potrebbero rendersi necessarie azioni non proposte (su base volontaria), ma imposte (sulla base di provvedimenti di legge) ai cittadini dei paesi emittenti Moneta Fiscale. Per esempio, maggiorazioni di imposte compensate da erogazioni di Moneta Fiscale, o sostenimento di alcune componenti di spesa pubblica non in euro ma in Moneta Fiscale. Nella remota eventualità che questo avvenga, peraltro, l’effetto prociclico di queste azioni sarebbe molto inferiore rispetto alle tradizionali azioni restrittive con cui si è cercato di ricondurre sotto controllo i saldi di finanza pubblica: questo, perché non si parlerebbe di tagli o tasse “secchi”, bensì compensati dall’erogazione di uno strumento finanziario alternativo (la Moneta Fiscale).

CINQUE, un paese come l’Italia, caratterizzato da alti livelli sia di debito pubblico che di risparmio privato, garantisce in tal modo i suoi impegni di finanza pubblica, ove mai il recupero produttivo fosse insufficiente, proprio facendo leva sul risparmio privato. Le azioni TRE e QUATTRO, infatti, producono una sostituzione, nel portafoglio dei risparmiatori, di titoli di debito pubblico con titoli fiscali. Nella misura eventualmente necessaria, il debito pubblico viene garantito, in pratica, dal suo rimpiazzo con titoli che non hanno natura debitoria, e che i risparmiatori vengono a possedere in (eventuale, parziale, marginale) sostituzione dei tradizionali titoli di Stato.

SEI, il sistema sopra delineato crea, automaticamente, un disincentivo e una penalizzazione automatica nel caso in cui in paese emettesse Moneta Fiscale in misura eccessiva rispetto a quanto necessario per recuperare corretti livelli di domanda, PIL e occupazione. Si verificherebbe in tal caso un effetto di inflazionamento della Moneta Fiscale nazionale (non dell’euro !) e quindi un suo deprezzamento (svalutazione) rispetto all’euro stesso. Sarebbero toccati i detentori di Moneta Fiscale e di titoli fiscali di quel paese, non i cittadini di altri stati membri dell’Eurozona. Questo previene, o nel caso punisce, fenomeni di moral hazard, senza tuttavia passate tramite eventi deflagranti e fonte di instabilità finanziaria, quali credit events di vario tipo (write-off, ristrutturazioni, insolvenze).


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