venerdì 27 dicembre 2024

Doppia inflazione ?

 

L’inflazione che ha colpito i paesi occidentali economicamente avanzati (ma non, guarda caso, il Giappone) tra il 2021 e il 2022 appare, in larga misura, rientrata.

Tuttavia si leggono non di rado “moniti” di commentatori economici inclini al catastrofismo, secondo i quali potremmo essere alla vigilia di un secondo episodio inflazionistico.

E l’esistenza del rischio, secondo questi commentatori, è provata dall’esempio degli anni Settanta, quando gli episodi in effetti furono due: uno nel 1973-1975, e un secondo nel 1979-1980.

Il paragone però è fuorviante, e per una ragione molto semplice.

L’inflazione a due cifre degli anni Settanta fu causata essenzialmente da due ondate di rincaro del prezzo del petrolio, una in seguito alla guerra del Kippur e l’altra per effetto della crisi degli ostaggi in Iran.

Nel 2021-2022 abbiamo analogamente subito uno spunto di inflazione originata da due fenomeni, avvenuti in rapida successione, che hanno rappresentato discontinuità dal lato dell’offerta di energia e materie prime: la rottura delle catene di fornitura quando l’economia mondiale si è riavviata dopo la fine dei Covid-lockdowns, e la guerra ucraina.

Per immaginare che un secondo episodio di inflazione a due cifre possa svilupparsi tipo nel 2027, occorre pensare a un nuovo fenomeno di discontinuità di offerta.

Può succedere, naturalmente. Ma si tratterebbe di un evento esogeno. Non della conseguenza di un qualche misterioso “fenomeno di rimbalzo” dovuto alle politiche messe in atto da governi e banche centrali.

Può succedere, ma non c’è nulla di automatico. Non c’è ragione per cui i fenomeni inflazionistici si debbano necessariamente ripresentare due volte, a distanza di qualche anno.

giovedì 26 dicembre 2024

La fiducia dei tedeschi

 

Adesso che il modello economico tedesco perde colpi, di pari passo con la produzione industriale della Germania, questa argomentazione la sento meno spesso. Ma rimane comunque un ritornello favorito degli euroausterici. A rallentare l’integrazione politica ed economica europea e i suoi mirabolanti (potenziali in quanto al momento inesistenti) risultati, contribuisce l’assenza di fiducia nel Nord Europa nei confronti del Sud Europa, anzi soprattutto della Germania nei confronti dell’Italia.

Ho detto contribuisce ? ma no, di più: è determinante, è decisiva.

Ne segue (sempre secondo gli euroausterici) che la responsabilità è nostra: dobbiamo raddoppiare triplicare decuplicare gli sforzi per conquistarci la soprammenzionata fiducia.

Ora, se questa attitudine teutonica sia giustificata o meno si potrebbe discutere a lungo. Ma non ho intenzione di farlo perché non penso che sia questo il punto.

Siccome se ne parla da quando esiste la UE e da quando esiste l’euro, ma in effetti anche da prima, da molti decenni per non dire da molti secoli, non mi interessa decidere chi ha ragione e chi ha torto.

Mi limito a constatare che un fidanzamento che non abbia alla base un reciproco rapporto di fiducia, una volta accertato che il rapporto medesimo non si è sviluppato in un adeguato periodo di tempo, non deve dare origine a un matrimonio.

Deve essere sciolto.

Se no è un disastro.

E’ così tra le persone. E’ così anche tra i paesi e tra le popolazioni.

lunedì 23 dicembre 2024

Moneta debito e moneta credito

 

La distinzione tra moneta debito e moneta credito a qualcuno appare un’astruseria contabile, o addirittura un’invenzione di qualche pseudoeconomista non mainstream. E di sicuro non se ne sente parlare nei corsi di economia politica e monetaria delle istituzioni universitarie più note (quelle allineate al mainstream, appunto).

E invece è di importanza fondamentale.

E’ moneta debito quella che nasce con un impegno di restituzione: esempio tipico, la moneta generata dall’erogazione di un finanziamento bancario.

E’ moneta credito quella a cui NON si associa alcun impegno di restituzione: quella generata direttamente dallo Stato.

L’espansione della moneta debito è potenzialmente pericolosa perché il finanziatore è meno desideroso di espandere o anche solo di rinnovare il prestito proprio nei periodi di difficoltà economica, e anzi dove possibile chiede il rientro del finanziamento. La moneta debito ha quindi in sé un potenziale PROCICLICO. Rischia di creare bolle speculative e inflattive, per poi accentuare le recessioni, e potenzialmente creare depressioni economiche, quando l’euforia viene meno.

La moneta credito NON comporta questo rischio. L’emissione va correttamente gestita per non alimentare inflazione. Ma NON ha il potenziale prociclico della moneta debito. E poi anzi essere utilizzata dalle autorità pubbliche in funzione anticiclica - aumentando le emissioni quanto l'economia è debole e diminuendole quando c'è il rischio che si surriscaldi. 

Questo non significa che il credito privato non debba esistere. Ma significa che la crescita dell’economia debba accompagnarsi a una crescita equilibrata della moneta, nelle sue due componenti – moneta credito e moneta debito.

E chi predica le virtù del pareggio di bilancio pubblico, dell’azzeramento del deficit, dimentica che il deficit di bilancio è proprio lo strumento ottimale per immettere moneta credito nel sistema economico – e quindi per diminuire i rischi di destabilizzazione associati all’espansione della moneta debito.

Peggio ancora: la separazione tra banca centrale e ministero del tesoro produce l’effetto che anche il deficit di bilancio pubblico si associ all’emissione di titoli che l’istituto di emissione non garantisce incondizionatamente. Quindi anche il deficit di bilancio viene ad assumere la forma di moneta debito.

Per gli Stati che emettono la propria moneta, questa separazione è spesso, anzi quasi sempre, più di forma che di sostanza. Nessuno penserebbe seriamente che la Federal Reserve USA lascerebbe andare il Tesoro in default.

Ma già è un errore che la separazione esista. Se poi priviamo gli Stati della facoltà di emettere moneta, come avviene nell’Eurozona, abbiamo fatto bingo. Abbiamo creato un sistema privo di senso economico, e prodotto i presupposti per un disastro.

 

domenica 22 dicembre 2024

Il caso Luigi Mangione: riflessioni di Marcello Spanò

 Sul caso dell'omicidio del CEO di UnitedHealthCare, da parte dell'italo-americano Luigi Mangione, trovo molto interessanti (come d'abitudine) le riflessioni di Marcello Spanò. Potete essere d'accordo in parte, in tutto, o per nulla. Però leggetele e rifletteteci, ne vale la pena.



domenica 15 dicembre 2024

Crediti fiscali cedibili

 Il mio intervento al convegno organizzato da Moneta Positiva lo scorso 18 novembre 2024 a Roma, presso l'aula dei gruppi parlamentari della Camera dei Deputati.



martedì 10 dicembre 2024

La borsa tra n anni

 

Siccome l’anno sta volgendo al termine, impazzano sui media le previsioni su che cosa ci riserverà il 2025, un sottoprodotto delle quali sono i vaticini sull’andamento della borsa.

Non si vedono invece altrettanto di frequente confronti tra previsioni e accadimenti effettivi, e la ragione probabilmente è che i risultati sarebbero alquanto imbarazzanti (per chi le ha formulate, le previsioni).

Comunque se qualcuno sta divertendosi a leggerle, esercitazione che può essere utile se lo scopo è ottenere qualche minuto di svago e divertimento (la stessa ragione insomma che può giustificare leggere gli oroscopi a Capodanno) tenga conto che:

prendendo come indicatore borsistico più significativo l’SP500

la borsa a fine 2054 sarà più alta di oggi, con probabilità pari al 99,9%

la borsa a fine 2044 sarà più alta di oggi, con probabilità pari al 99%

la borsa a fine 2034 sarà più alta di oggi, con probabilità pari al 90%

nessuna previsione in merito a dove sarà la borsa a fine 2025, se più alta o più bassa, per non dire nessuna stima in merito al livello esatto, vale più, appunto, di un oroscopo di quelli che si leggono a Capodanno.

Poi, se volete divertirvi con le previsioni delle banche d’affari, fate pure. Danno non ve ne fate: a condizione di non prenderle sul serio.

 

domenica 8 dicembre 2024

L’ininfluente Giavazzi

 

Un paio di giorni fa il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo di Francesco Giavazzi che spiegava come il debito pubblico non sia poi una brutta cosa se serve a finanziare le spese “giuste”, che lui identifica nella difesa e nella transizione ecologica.

In realtà non è la prima volta. Il mantra dell’austerità, Giavazzi l’ha abbandonato da almeno un paio d’anni (senza per questo fare ammenda dei peana sciolti alle bellezze dell’”austerità espansiva” nei lustri precedenti, ma vabbè).

Invito però chi vede in questi articoli il segnale di un cambiamento di strategia a livello UE a smorzare gli entusiasmi.

Giavazzi, che sul piano scientifico non ha certo meriti che lo faranno passare alla storia, ha acquisito una certa visibilità, una certa notorietà, perché è un corifeo di alcuni importanti gruppi di interesse economico.

Scrive quindi quello che i sopra menzionati gruppi di interesse desiderano. Ma qual è il suo effettivo impatto sulle politiche UE ?

Praticamente nessuno, perché a livello UE non si fa nulla se non sono d’accordo i tedeschi. I quali a Giavazzi, ammesso che lo leggano, non si prendono neanche la briga di rispondere.

Peraltro cose simili le dice e le scrive, da un po’ di tempo (vedi il “debito buono” contrapposto al “cattivo”) anche Mario Draghi. Al quale invece i tedeschi rispondono: per dire che non se ne parla.

Che dite, la Germania è in difficoltà e quindi sta arrivando a capire che un po’ di deficit le serve ? certo, e agirà di conseguenza. Ma lo farà IN PROPRIO, e in funzione di spese che decide LEI.

Niente debito comune UE quindi, e niente decisioni di spesa delegate a Bruxelles.

E su questo, una volta tanto, non do torto ai tedeschi.

 

venerdì 6 dicembre 2024

I ritardi dell’Eurozona

 

Sta diventando sempre più evidente che l’Eurozona è in perdita di peso economico nei confronti del resto del mondo. Il che in parte è giustificato dalla crescita di paesi, grandi (Cina e India) e meno grandi, che fino a una ventina d’anni erano in via di sviluppo per non dire, in termini più crudi, arretrati, ma da allora si sono fortemente avvicinati ai livelli di reddito procapite del “primo mondo”.

Ma quanto sopra giustifica solo in parte la diminuzione di incidenza dell’Eurozona. Perché è normale che chi è partito dopo si riallinei: ma l’Eurozona ha perso terreno anche nei confronti degli USA. L’avevamo visto qui: i principali stati eurozonici hanno registrato, dal 1998 ha oggi, una crescita media annua del reddito procapite, a potere d’acquisto costante, intorno all’1% (con l’eccezione ahinoi dell’Italia che si è fermata allo 0,4%). Gli USA, dell’1,5%.

Se mezzo punto all’anno vi pare poco, tenete conto che in un quarto di secolo equivale a una crescita del 45% contro 28%.

Quindi c’è dell’altro. E la spiegazione che si legge più di frequente è che gli USA sono innovativi, dinamici, aperti al cambiamento. Il vecchio continente invece sa solo regolamentare, burocratizzare, vincolare.

Vero, tutto questo. E gli osservatori più attenti se n’erano accorti molto tempo fa. Ricordo una conversazione con Paolo Bassi, successivamente per alcuni anni presidente della BPM: “tutti parlano dell’efficienza, della disciplina tedesca. Ma l’innovazione arriva solo da una parte: dagli USA”.

Che anno era ? il 1993.

Però anche questa non è tutta la storia.

Perché la stessa analisi effettuata per gli anni pre-1998 in poi mostra che nel trentennio precedente l’Eurozona (o più precisamente i paesi che poi ci sono entrati) NON PERDEVA TERRENO nei confronti degli USA. Cresceva qualche decimale in meno all’anno (di media) in termini di PIL totale, ma qualche decimale in più in termini procapite. La differenza essendo data dalla minore crescita demografica.

Gli USA sono da lunghissimo tempi più innovativi e dinamici, ma da questo lato dell’Atlantico sapevamo come adottare l’innovazione e applicarla con efficacia.

Fino a una certa data.

Perché il 1998 non è un anno che ho scelto a caso. E’ l’ultimo anno prima dell’introduzione dell’euro.

E dei connessi, deliranti, insensati vincoli di bilancio. E della folle governance dell’economia che ne è stata la conseguenza.

QUESTO è il motivo per cui perdiamo terreno nei confronti degli USA. Prima dell’euro il modello sociale europeo generava crescita, in abbinamento con un welfare state, e con tutele e diritti, che il resto del mondo poteva solo invidiare.

PRIMA dell’euro.

 

martedì 3 dicembre 2024

Il deficit che non si finanzia

 

Ma è così difficile far ragionare chi si preoccupa del “finanziamento del deficit” e del “drenaggio di risorse finanziarie che rischiano di non lasciare spazio agli investimenti produttivi” ?

Preoccuparsi di questi “problemi” equivale a credere che le economie funzionino ancora in regime di “moneta-merce”, di cui l’esempio classico è il gold standard.

Se l’unica moneta esistente fosse l’oro, lo Stato naturalmente non potrebbe metterla in circolazione in quantità superiore alle riserve aurifere che possiede. E se non le avesse, dovrebbe farsele prestare da qualcuno.

Ma il regime aureo è scomparso totalmente dal mondo nel 1971, con la fine degli accordi di Bretton Woods.

Oggi, quando lo Stato fa deficit, cioè quando spende più di quello che tassa, NON ha il problema né di “reperire risorse finanziarie” né di “drenare risorse che altrimenti verrebbero utilizzate per altri impieghi”.

Al contrario. Lo Stato, spendendo più di quanto tassa, IMMETTE risorse finanziarie nel sistema privato.

Se esagera, può sorgere un problema di inflazione. Ma il finanziamento del deficit non è MAI un problema.

Si pretende che lo sia solo perché lo Stato si impone limitazioni prive di senso economico, al punto di demandare l’emissione di moneta a banche centrali “indipendenti” (da che cosa ? dal controllo democratico) o, nel caso della BCE, addirittura sovranazionali.

Il finanziamento del deficit pubblico è semplicemente un problema inventato ad arte. Allo scopo di strumentalizzarlo e di limitare la sovranità popolare su una funzione fondamentale per la corretta gestione dell’economia.

mercoledì 27 novembre 2024

Moneta, domanda e inflazione

 

Gli euroausterici insistono a sostenere che l’emissione di moneta sia automaticamente inflazionistica. Il che è smentito dall’esperienza del Quantitative Easing, attuato dal Giappone per trent’anni, e da USA ed Eurozona per quasi dieci, senza nessuna apprezzabile accelerazione nella dinamica dei prezzi.

Un commento sentito di recente è che effettivamente il QE eurozonico non ha prodotto inflazione per molti anni, ma questo era dovuto al fatto che “erano in vigore i limiti di Maastricht”. Quando sono stati rimossi (causa Covid) l’inflazione è arrivata.

Beh, a parte che questa argomentazione varrebbe solo per l’Eurozona (una follia come i limiti di Maastricht è sua esclusiva…), le cose sono andate diversamente.

Il Covid è partito a inizio 2020, i limiti di Maastricht sono stati immediatamente rimossi, e le azioni di sostegno effettuate dai vari governi e banche centrali hanno rapidamente raggiunto livelli mai sperimentati prima. Senza alcun impatto sull’inflazione, che anzi è calata. Per l’elementare ragione che la gente, chiusa in casa, faceva fatica a spendere. Il che dimostra ancora una volta che l’emissione monetaria non crea inflazione (dovrebbe essere ovvio…) finché non si traduce in spesa.

L’inflazione ha cominciato a vedersi dalla seconda metà del 2021 in poi, per due ragioni fondamentali, che hanno a che vedere non con la moneta e per la verità neanche con la domanda.

Hanno a che vedere con l’offerta.

Si sono succeduti, rapidamente, due fenomeni.

Prima la fine dei lockdown, che ha ridato sì fiato alla domanda, ma in presenza di difficoltà degli apparati produttivi a produrre ai livelli precedenti, perché le catene di fornitura si erano dissestate. Riavviare la produzione non è sempre semplice e non è sempre immediato. Quando una catena di fornitori-clienti si blocca, il riavvio dipende dall’anello più lento della catena. Il che ha dei tempi, e produce una situazione in cui temporaneamente l’offerta è carente rispetto alla domanda.

Poi a inizio 2022, la crisi ucraina e l’impennata dei prezzi delle forniture energetiche.

Rientrati questi due fenomeni, è rientrata anche l’inflazione.

Inflazione che peraltro era nel frattempo salita molto meno che altrove dove ? in Giappone, paese che ha fatto deficit come gli altri e più di altri ha fatto acquistare titoli alla sua Banca Centrale…

Il presunto effetto inflazionistico della pura e semplice emissione di moneta, che secondo gli euroausterici dovrebbe essere prodotto dalle “aspettative degli operatori”, è una fantasia.

domenica 24 novembre 2024

E’ dura, ma proviamoci

 

Per vincere la battaglia contro l’austerità, la cosa forse più importante è persuadere una fascia sempre più ampia dell’opinione pubblica che i luoghi comuni sulla finanza pubblica sono privi di qualsiasi senso.

La normalità per uno Stato è avere il bilancio in deficit, non in pareggio. Il deficit pubblico è una fisiologia, non una patologia. Il deficit pubblico è il modo più efficiente per immettere mezzi finanziari nell’economia: e se l’economia cresce, anche i mezzi finanziari devono aumentare, di pari passo.

Il debito pubblico non è uno strumento di cui uno Stato che emette moneta abbia bisogno per finanziare il deficit. Il deficit pubblico genera risparmio privato: non ha necessità di “essere finanziato”. E se lo Stato emette la sua moneta, non ha bisogno di prenderla a prestito DA NESSUNO. DOPO che l’ha messa in circolazione, aumentando il risparmio finanziario privato, PUO’ (ma non è obbligato a) offrire, per esempio, titoli di Stato come mezzo per impiegare il risparmio finanziario medesimo.

Sono concetti in realtà semplici, ma controintuitivi. Vengono denegati anche da persone (che dovrebbero essere) acculturate in materia di economia e di finanza. A volte queste persone sono in malafede, ma a volte no.

Portare la maggioranza dell’opinione pubblica a comprendere questi temi sarebbe un passo in avanti enorme verso il superamento delle scellerate politiche di austerità, di restrizione finanziaria immotivata.

Non è facile, perché giornaloni e TV raccontano il contrario, propagandano fandonie. Non è facile ma è importantissimo. Mettiamocela tutta. Oggi molte persone in più hanno capito. Si può fare.

giovedì 21 novembre 2024

Zerovirgolismi

 

Alcuni esponenti della Lega, tra cui Alberto Bagnai, Alex Bazzaro, Claudio Borghi, hanno il dente particolarmente avvelenato con i partitini che si presentano con un programma eurocritico / euroscettico e conseguono piccole percentuali di suffragi. Zero virgola, uno virgola, cose così.

Ma perché – dicono – queste liste, che hanno un programma sovrapponibile al nostro per magari l’ottanta per cento, non scompaiono ? non hanno possibilità di vincere, sottraggono voti a noi, tirano la volata agli euristi, fanno eleggere candidati del PD.

Perché non prendono esempio da Kennedy jr, che si è ritirato dalla competizione elettorale USA e ha fatto confluire i suoi consensi su Trump ?

Ultimamente ce l’hanno soprattutto con Marco Rizzo di Democrazia Sovrana e Popolare, che un paio di giorni fa ho sentito Borghi invitare a confluire nella Lega.

Capisco la posizione. Però mi pongo un paio di domande.

La prima. Kennedy si è ritirato, certo, ma ha ottenuto in cambio qualcosa di molto significativo. Il ministero della sanità. Al Rizzo della situazione che cosa la Lega è disposta a (e in grado di) offrire ? 

La seconda. Se il Rizzo di turno non accetta, Borghi ne deduce (dedurrebbe) che la sua finalità non è sostenere il fronte eurocritico, ma danneggiarlo a favore di PD e associati. Ma come si risponde al Rizzo che obietta “si vabbè euroscettici e poi vi tenete in casa Giorgetti” ?

E qui la replica di Borghi, “ma Giorgetti l’ha scelto Giorgia Meloni come ministro dell’economia, non io” è deboluccia. Molto deboluccia.

Giorgetti è targato Lega. Mi spiace, ma l’euroscetticismo di un partito che lo tiene nelle proprie fila, e come esponente di primarissimo rilievo, per questo solo fatto perde MOLTA credibilità.

Per il fronte leghista eurocritico, è un problema. Grosso.

 

domenica 17 novembre 2024

L’impossibile crisi fiscale

 

Pochi giorni fa, un interlocutore su Linkedin mi ha chiesto stupito “ma sei serio ?” perché avevo affermato che gli Stati Uniti non fronteggiano nessun rischio di crisi fiscale.

E’ qualcosa che parecchie persone, non sprovvedute, non ignoranti di finanza ed economia almeno a giudicare dalle attività in cui sono impegnati, apparentemente non riescono a comprendere.

Non fanno altro che ripetere “35.000 miliardi di debito pubblico !! oltre il 120% del PIL !!!!”

Ma quale “crisi fiscale” dovrebbe mai fronteggiare un governo che stampa la sua moneta ed emette debito denominato in quella moneta ?

Quando mai rischierà l’insolvenza ? quando mai avrà problemi di finanziamento del deficit ?

Un governo che utilizza la sua moneta spende stampandola e mettendola in circolazione. Per non creare inflazione e per redistribuire reddito e ricchezza tra i cittadini, ritira poi con le tasse una parte della moneta stampata.

Non ha bisogno di “drenare denaro per finanziare il deficit” con il rischio di “distrarre risparmio privato da altri impieghi” perché il denaro lo emette, e facendo deficit GENERA risparmio privato.

Potrebbe non emettere nemmeno debito pubblico, e se lo fa è solo per offrire uno strumento di impiego del risparmio privato PRODOTTO dal deficit.

Sono concetti comprensibili da un bambino di otto anni sveglio, e da un ragazzino di dodici meno sveglio.

Eppure tante persone, discretamente acculturate, non in mala fede, si preoccupano di cose tipo “l’incombente crisi fiscale degli USA, che richiederà complicati e problematici provvedimenti per prevenirla / gestirla / risolverla”.

Boh.

sabato 9 novembre 2024

La crescita negli anni dell’euro: confronti internazionali

 

Ho esteso a vari altri paesi – tutti quelli del G7 più altre due importanti economie europee, Spagna e Svizzera - il confronto Italia – Germania di cui a un precedente post. I dati sono sempre di fonte FMI e sempre relativi al PIL procapite, in dollari a potere d’acquisto omogeneo 2017. I livelli dei vari paesi sono confrontati facendo pari a 100 gli USA.

Saltano all’occhio alcune cose, qualcuna nota, altre sorprendenti.


La prestazione dell’Italia è la peggiore, anche se con, finalmente, un accenno di recupero negli ultimi anni. Nessuna sorpresa qui: l’eurosistema per l’Italia è stata una catastrofe.

Certo, fa male constatare che nel 1998 eravamo sopra Francia e Regno Unito, e oggi sotto. Ma anche qui nessuna sorpresa.

Gli USA hanno guadagnato terreno nei confronti di tutti gli altri. Alla faccia di chi li vedeva in declino, rispetto all’Eurozona, perché “accumulano debito”.

Sorprende invece che a parità di potere d’acquisto, il PIL procapite più basso sia quello del Giappone. L’unica spiegazione che riesco a darmi è che i prezzi interni siano decisamente più alti rispetto al resto del mondo. Il che negli anni 1990-2000 non mi avrebbe stupito, ma che sia ancora così dopo la svalutazione dello yen non me l’aspettavo.


giovedì 7 novembre 2024

Svolta tedesca: possibile, non probabile

 

Si sente dire che la vera notizia della settimana non siano le elezioni USA ma la caduta della maggioranza di governo in Germania. Ed effettivamente è un evento raro, a Berlino non sono abituati a governi che non arrivano a fine legislatura.

Potrebbe essere una svolta per la politica economica tedesca, e per la UE ? lo pensano in parecchi e per quanto mi riguarda non lo escludo. Però non lo considero uno scenario ad alta probabilità.

Certo, la Germania sta pagando le conseguenze di un modello economico insostenibile. Tutto basato sui saldi commerciali esteri, sulla disponibilità di materie prime a basso costo (che la crisi ucraina ha fatto venir meno), sull’austerità fatta trangugiare ai partner europei.

Che a Berlino se ne stiano rendendo conto e siano disposti a comportarsi di conseguenza, però, non lo credo. Ci sono poche cose che pareggiano, nella mentalità e nei comportamenti tedeschi, l’efficienza e la disciplina. E sono l’ottusità, la rigidità, l’incapacità di ammettere i propri errori.

Un futuro governo a guida Merz / CDU non rinnegherà certo i dogmi euroausterici. Al massimo smetterà di devastare il settore dell’auto e altre industrie tradizionali con politiche ambientali autolesionistiche. E non sarebbe poco.

Ma rinnegare i vincoli di bilancio, quello no. Certo, sono diventati pesanti da far digerire ai francesi. Il che però significa che la Francia otterrà una, almeno parziale, esenzione. Come sempre in passato, del resto.

Quindi vere novità no. A meno che…

A meno che le prossime elezioni siano un tale disastro per i partiti tradizionali, con fortissime avanzate di AfD e BSW, da rendere impossibile formare un governo europeista, per quanto di ampia coalizione.

Però mi sembra che siamo ancora lontani da questa eventualità.

domenica 3 novembre 2024

Quello che la MMT non dice

 

I critici della MMT (Modern Monetary Theory) hanno l’abitudine di attribuire a questa scuola di pensiero economico affermazioni che non le appartengono – proprio per nulla.

Una che si sente spesso è che secondo la MMT “solo la moneta produce ricchezza”.

Naturalmente la MMT non afferma niente del genere. La ricchezza nasce dal lavoro, dall’inventiva, dalla creatività, dallo sviluppo della tecnologia, dall’appropriato utilizzo delle risorse naturali.

Ma in un’economia di mercato, in cui si verificano interscambi di beni e di servizi, la moneta svolge un ruolo importantissimo per agevolare l’intermediazione.

E la moneta la creano due soggetti: lo Stato, che la immette nell’economia per il tramite della spesa pubblica, e il sistema bancario, che invece utilizza il canale del credito privato.

Il corretto funzionamento di questi due canali è essenziale per lo sviluppo economico e per la stabilità del sistema. E occorre sempre ricordare che il credito privato è prociclico: c’è molta offerta di credito, e molta volontà di utilizzarlo, quando l’economia va bene. Il contrario nelle situazioni di difficoltà.

Per questo non si può lasciare la creazione di moneta solo al sistema privato. La creazione e l’immissione mediante il deficit pubblico svolge un ruolo fondamentale, sia per assecondare la crescita dell’economia, sia per stabilizzarla con politiche anticicliche.

Questo si comprende studiando la MMT. E questo non capiscono i suoi critici.

 

martedì 29 ottobre 2024

Una cosa ovvia ma difficile da far capire

 

La macroeconomia non è una materia difficile, ma spesso è controintuitiva. Per questo a volte trae in inganno anche persone intelligenti e in buona fede.

Ad esempio, dovrebbe essere ovvio e indiscutibile che il deficit pubblico non ha bisogno di essere “finanziato” perché è in realtà un meccanismo per immettere moneta nell’economia privata. Se il settore pubblico spende più di quanto raccoglie in tasse, il settore privato si trova più risorse finanziarie: la spesa pubblica finisce in tasca a qualcuno, e se le tasse sono inferiori alla spesa pubblica, si forma automaticamente un saldo finanziario positivo per il settore privato.

Obiezione tipica che mi viene fatta a questo punto della spiegazione: sì ma bisogna vedere se i privati che si trovano con questi maggiori saldi finanziari poi effettivamente li risparmiano oppure li spendono.

Beh non c’entra nulla. Se li spendono, li trasferiscono a un altro soggetto privato. Il risparmio privato creato del deficit pubblico è costituito da saldi finanziari che, dopo essere stati immessi nell’economia, si trasferiscono poi da un soggetto all’altro. MA NON SCOMPAIONO. Sono SEMPRE maggiori saldi finanziari per il settore privato.

Va aggiunto che i saldi finanziari possono essere spesi in importazioni. A questo punto producono comunque risparmio finanziario privato, ma in capo a soggetti esteri e non nazionali.

Ma questo non è una conseguenza del deficit pubblico, bensì dei saldi commerciali esteri e della bilancia dei pagamenti.

Il deficit pubblico si trasforma, CENTESIMO PER CENTESIMO, in risparmio privato. E’ difficile da capire ? non mi pare.

Eppure…

domenica 27 ottobre 2024

Italia, Germania, euro e austerità

 

E’ interessante riflettere sull’evoluzione del PIL procapite italiano e di quello tedesco, nell’ultimo quarto di secolo. In particolare suddividendo questo arco temporale in cinque fasi.

Il primo periodo inizia nel 1998, ultimo anno prima dell’introduzione dell’euro, e termina nel 2007, picco delle economie occidentali prima della grande crisi finanziaria mondiale (fallimento Lehman).

Il secondo periodo arriva fino al 2010: la reazione post crisi.

Il terzo periodo termina nel 2014: il quadriennio in cui il recupero dell’economia italiana è stato tarpato dalle politiche di austerità, “prescritte” dalla UE con l’obiettivo (completamente fallito) di “rimettere in ordine i conti pubblici e il debito”.

Il quarto periodo arriva al 2019: gli anni in cui se non altro si è evitato di fare ulteriori danni con ulteriore austerità.

Infine, gli anni successivi fino a oggi: il Covid, la crisi ucraina e le conseguenze.

Il confronto è effettuato sul PIL procapite in dollari a parità di potere d’acquisto 2017, cioè corretto per le differenze di prezzi verificatesi nel tempo e tra i due paesi. Un indicatore omogeneo dei redditi medi, in altri termini. Fonte: Fondo Monetario Internazionale.

Si scoprono diverse cose interessanti.


Nel 1998, ultimo anno prima dell’euro, Italia e Germania stavano esattamente allo stesso livello.

Gli anni fino al 2007 sono di decorosa crescita, ma l’Italia comincia a perdere terreno. Si apre una differenza del 4,5%.

Il triennio della grande crisi finanziaria viene superato dalla Germania che recupera i livelli pre-Lehman, ma non dell’Italia. Scivoliamo indietro dell’11% circa.

Gli anni dell’austerità europrescritta sono una vera catastrofe. Andiamo a -20% abbondante. Grazie UE, grazie Monti, grazie Fornero, grazie Letta.

A questo punto si riconosce che la strada è sbagliata. Non si inverte la direzione, non sia mai. Però quantomeno non si peggiorano le cose. I 20-21 punti rimangono sostanzialmente quelli fino al 2019.

Poi arriva il Covid, arriva l’Ucraina. Si sospendono i vincoli di bilancio. L’Italia rilancia gli investimenti con il Superbonus (che sicuramente poteva essere fatto meglio: ma è stato molto più positivo farlo che non fare nulla). La Germania scopre che senza gas russo a buon mercato il suo sistema industriale non è esattamente quella meraviglia che tutti pensavano.

Stavolta è la Germania che dopo cinque anni non ha affatto recuperato i livelli precrisi. L’Italia sì e anzi a distanza di DICIASSETTE (!) anni supera, finalmente, il PIL procapite 2007. I punti in meno rispetto alla Germania scendono a quattordici. Sempre tanti, però…

Però, con il venir meno dell’austerità, finalmente una significativa inversione di tendenza.

venerdì 25 ottobre 2024

La verità su debito e moneta

 

Scaletta per un futuro evento – seguiranno comunicazioni

SEZIONE UNO: Perché è normale per uno Stato avere un bilancio pubblico in deficit.

SEZIONE DUE: Cos’è realmente il debito pubblico e perché non impoverisce il paese.

SEZIONE TRE: Qual è il livello appropriato di deficit pubblico.

SEZIONE QUATTRO: Le tasse sono necessarie – ma non per la ragione che vi dicono.

SEZIONE CINQUE: L’assurdità dell’euro, e in generale del non usare la propria moneta.

SEZIONE SEI: Moneta e democrazia.

martedì 22 ottobre 2024

Goldman Sachs dice che

 

Goldman Sachs è diventata pessimista sulle prospettive di lungo termine del mercato azionario, perlomeno di quello USA. Negli ultimi giorni, mentre l’indice S&P500 oscillava intorno a 5.850, ha pubblicato uno studio affermando che per i prossimi dieci anni c’è da attendersi un rendimento medio del 3% circa.

Tenuto conto che di questo rendimento circa l’1,5% è dato dai dividendi, questo vorrebbe dire terminare l’anno 2034 (può sembrare una data lontana ma arriva in fretta…) intorno a 6.800.

Sono sempre mille punti in più, direte. Ma in dieci anni. Quest’anno mille punti, abbondanti, li abbiamo fatti in dieci mesi.

Io ho un mio metodo di stima del fair value, del valore corretto dell’indice azionario, che probabilmente anzi sicuramente non è molto scientifico ma che mi è sempre parso affidabile. Ed è il seguente.

Parto da 1.500 a fine 2009. Perché 1.500 ? perché in quel momento la borsa, benché in ripresa dai minimi post fallimento Lehman, stava intorno a 1.100, veniva considerata sottovalutata da più conosciuti value investors a partire da Warren Buffett, e in effetti ha riservato grosse soddisfazioni agli investitori negli anni successivi.

Poi ogni anno aggiungo l’inflazione, tolgo i dividendi e aggiungo il rendimento di lungo termine del mercato azionario USA, che Jeremy Siegel, il più conosciuto studioso della materia, stima tra il 6,5% e il 7%.

Per la precisione aggiungo ogni anno il 6,666666%. Periodico. Perché non il 6,75% ? perché mi piacciono i numeri periodici.

Risultato ? l’S&P dovrebbe stare a 4.200. Invece, dicevo, è a 5.850, che significa una sopravvalutazione del 40%.

Quindi ha ragione Goldman a prevedere vacche magrette nel futuro ? probabilmente sì, ma a mio parere esagera. Lo stesso metodo di proiezione del fair value per fine 2034 prevede 8.500 abbondanti, non 6.800. Il che significa un rendimento medio non del 3% ma del 5-5,5%.

Che è un po’ meglio ma certo non è un granché.

Di sicuro comunque quale che sia il punto di arrivo ci saranno oscillazioni. Quindi in dieci anni arriverà il momento in cui sarà interessante incrementare l’esposizione.

Ma effettivamente quel momento non è oggi.

sabato 19 ottobre 2024

L’Italia, paese CREDITORE

 

Bankitalia ci fa sapere, nell’ultima edizione della sua pubblicazione su bilancia dei pagamenti e posizione patrimoniale sull’estero (qui, pagine 17-19), che quest’ultima ha raggiunto al 30 giugno 2024 il valore POSITIVO di 225 miliardi di euro.

La posizione patrimoniale sull’estero (conosciuta in inglese come NIIP, Net International Investment Position) è la differenza tra le attività patrimoniali (azioni, obbligazioni, immobili, quote aziendali eccetera) possedute all’estero da italiani; e le attività della stessa natura possedute in Italia da stranieri (passività dal punto di vista italiano).

Sempre al 30 giugno 2024, le attività erano 3.665 miliardi e le passività 3.440.

Il saldo di 225 miliardi è aumentato sia rispetto al trimestre precedente, quando era pari a 192 miliardi, che rispetto a un anno fa, quando ammontava a 99.

In sintesi, l’Italia è un paese CREDITORE NETTO SULL’ESTERO. Mette più soldi all’esterno del paese di quanti ne riceve. E lo è per un ammontare pari a oltre il 10% del PIL.

Per favore, la prossima volta che sentite qualcuno dire che l’Italia “affoga nei debiti”, cortesemente pregatelo di parlare di cose che conosce. E se non le conosce, di documentarsi prima di aprire bocca.

mercoledì 16 ottobre 2024

Alternative alla coercizione statale ?

 

Leggo che Javier Milei, in un discorso al World Economic Forum lo scorso 17 gennaio 2024, avrebbe dichiarato che “lo Stato si finanzia attraverso la coercizione”.

Il che è vero, ma non solo per quanto riguarda il finanziamento delle attività statali. Lo Stato E’ uno strumento di coercizione.

E coercizione è una brutta parola, o almeno suona tale. Però qual è l’alternativa alla coercizione statale ?

A me pare che sia, puramente e semplicemente, il diritto del più forte. E non mi sembra una grande alternativa.

L’alternativa teorica più attrattiva sarebbe un’utopia anarchica, di cui nessuno, a quanto mi risulta, è mai riuscito a descrivere plausibilmente il funzionamento, per non parlare di implementarla nella realtà.

domenica 13 ottobre 2024

Quando Giorgetti si impone


Mi chiede un amico: quando Giorgetti impone una linea di politica economica incoerente con i programmi elettorali della coalizione di governo nonché con le posizioni di molti membri del suo partito, sulla base di quale autorità, sulla base di quali leggi è in grado di farlo ?

La risposta è: sulla base della legge del più forte, che è l’establishment finanziario.

Del resto Giorgetti ha un obiettivo nella vita, che non è far funzionare al meglio l’economia nell’interesse dei cittadini, ma accedere, in un prossimo futuro, a qualche prestigiosa e molto ben remunerata carica nel mondo finanziario e bancario. Che so, presidente di Unicredit. Non CEO, per fare il CEO bisogna lavorare.

domenica 6 ottobre 2024

Che cosa non è il debito pubblico

 

Se uno Stato spende la moneta che emette, il debito pubblico (dovrebbe essere evidente) NON è un mezzo di finanziamento del deficit.

Il deficit pubblico si traduce automaticamente in risparmio privato. L’eccesso di spesa rispetto alla tassazione equivale, nel settore privato, a soldi ricevuti eccedenti quanto pagato in tasse: quindi a un incremento del risparmio.

Se lo Stato spende la moneta che emette, non ha bisogno di collocare titoli di debito pubblico per finanziarsi. Il debito pubblico ha una funzione diversa: è uno strumento offerto al settore privato per impiegare il risparmio finanziario generato dal deficit pubblico.

Il problema del debito pubblico, in Italia, esiste SOLO perché utilizziamo una moneta emessa da un soggetto diverso dallo Stato.

venerdì 4 ottobre 2024

I soldi del deficit pubblico

 

Chi segue questo blog mi ha visto molte volte spiegare che il deficit pubblico non è un impoverimento del paese, in quanto la differenza tra spese del settore pubblico e incassi fiscali (il deficit pubblico) rimane in tasca al settore privato. Se lo Stato spende più di quanto incassa, il settore privato incassa più di quanto spende. Questa è un’identità contabile su cui c’è poco, anzi nulla, da discutere.

OK, mi sento a volte replicare: sarà così, ma i sottoscrittori dei titoli del debito pubblico sono in parte stranieri. Per cui è vero che il deficit pubblico si trasforma, o meglio genera, risparmio privato: ma questo risparmio privato finisca in parte in mano a residenti esteri, quindi fuoriesce dal paese.

Le cose stanno un po’ diversamente. 

Il deficit pubblico alimenta automaticamente risparmio privato e non ha bisogno che vengano emessi titoli per finanziarlo. I titoli del debito pubblico sono un’opportunità offerta ai risparmiatori per impiegare, appunto, il risparmio.

Il risparmio fuoriesce dal paese se il saldo commerciale, cioè la differenza tra esportazioni e importazioni di beni e servizi, è negativa. Se è positiva, al contrario, il risparmio non defluisce dal, ma affluisce nel, paese.

E il saldo commerciale dell’Italia verso l’estero è ampiamente positivo, per circa 50-60 miliardi annui.

E’ vero che una parte dei titoli di Stato offerti dalle pubbliche amministrazioni è sottoscritto da risparmiatori esteri; ma a fronte di questo, ci sono risparmiatori italiani che comprano attività finanziarie straniere. Sono scelte di portafoglio, che derivano da valutazioni di rischio e redditività, dalla volontà di diversificare, in ultima analisi dai gusti personali di ognuno.

Il saldo tra investimenti finanziari e patrimoniali dei residenti italiani verso l’estero, da un lato, e dei residenti stranieri verso l’Italia, dall’altro (la cosiddetta Net International Investment Position, NIIP) è anch’esso positivo: per 165 miliardi secondo il più recente dato Bankitalia (al 31.3.2024).

Per cui, nel caso del nostro paese è del tutto corretto affermare che il deficit pubblico si converte in risparmio privato ITALIANO. Il fatto che una parte dei titoli di Stato emessi vengano acquistati da soggetti stranieri NON rileva e NON smentisce questo dato di fatto.

 

mercoledì 2 ottobre 2024

Dice Dirk Enhts

 Ci sono economisti TEDESCHI non allineati al mantra dell'euroausterità ?

Non tantissimi ma qualcuno sì. Dirk Ehnts ne è un esempio.


Ed ecco quello che CORRETTISSIMAMENTE dice:



giovedì 26 settembre 2024

La CGIA e gli sprechi

 

Le narrazioni su temi economici (e non solo) quando sono basate su fantasie e luoghi comuni fanno danni, perché orientano negativamente il dibattito e mandano fuori strada la pubblica opinione.

Ne ho avuto una riprova qualche giorno fa a seguito di una discussione con alcuni interlocutori su Twitter, pardon su X, dove è stato citata l’iperbolica cifra di 225 miliardi (all’anno…) come costo di sprechi e inefficienze della pubblica amministrazione.

Ho chiesto la fonte del dato e mi è stato linkato questo documento prodotto dalla CGIA di Mestre, un’associazione di artigiani e piccole imprese che in effetti dispone di un ufficio studi piuttosto attivo.

E il titolo del documento in effetti è “Sprechi e burocrazia ci costano oltre 225 miliardi all’anno”.

Sennonché andando a leggere, a pagina 5, dopo l’elencazione di fatti e misfatti della P.A. italiana, si trova questa affermazione: “E’ evidente che questi malfunzionamenti, tratti da fonti diverse, non si possono sommare, innanzitutto perché sono riferiti ad anni diversi e in secondo luogo perché in alcuni casi le aree di queste analisi si sovrappongono”.

Bravi. Prima sparate un titolo con un numerone, poi ci costruite sopra una narrazione e alla fine ci fate sapere che “è evidente” che avete sommato dati “che non si possono sommare”.

E come giudizio di affidabilità dell’analisi, potremmo già chiudere qui la faccenda.

Ma vale la pena di riflettere un tantino sui dati che sono stati sommati anche se non si potevano sommare. E sono i seguenti.

“Il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con le P.A. (burocrazia) è pari a 57,2 miliardi di euro”. Considerarli uno “spreco” equivale a dire che il costo potrebbe o dovrebbe essere zero. Il che è un’evidente assurdità.

“I debiti commerciali di parte corrente della nostra PA nei confronti dei propri fornitori ammontano a 55,6 miliardi di euro”. Probabilmente sono troppi, e questa è un’inefficienza. Ma anche qui è assurdo parlare di 55,6 miliardi di “spreco”. Bisogna confrontare il dato con un livello “normale”, perché una dilazione di pagamento per esempio di 30 o 60 giorni è fisiologica, e poi valutare il costo dell’inefficienza, che non è certo l’intero importo del maggior debito (un’azienda preferisce un cliente che paga a 30 giorni e non a 180, ma non è che mette a perdita l’intero importo del credito “lungo” se alla fine il pagamento arriva. A parte che per assurdo sarebbe una perdita per il fornitore ma un guadagno per la PA, quindi non una perdita secca per il sistema economico).

“La lentezza della giustizia costa al paese 2 punti di PIL all’anno, ovvero 40 miliardi di euro”. Come si stima l’impatto economico di un fenomeno del genere ? non ne ho la minima idea. L’ha detto il ministro Nordio, ma da dove nasce la valutazione ?

“Il deficit logistico-infrastrutturale penalizza il nostro sistema economico per un importo di 40 miliardi di euro all’anno”. Questo non è uno “spreco”, ma l’indicazione (che poi va motivata) che occorre spendere meglio, ma probabilmente DI PIU’, non di meno.

Gli unici “sprechi” che possono effettivamente essere definiti tali, nell’elencazione, sono quelli della sanità e quelli del trasporto pubblico locale, rispettivamente per 21 e per 12,5 miliardi. Sulla base di stime ovviamente da verificare e da discutere.

In sintesi…

Il numerone di 225 miliardi è una sparata priva di senso. Però è stata pubblicata, gira, e qualcuno (non pochi) la prende come un fatto, come un “dato certificato”.

Un dibattito costruito su queste basi fa solo confusione, e danno.