martedì 8 aprile 2014

Dall’euro alla Lira Fiscale, passando per la Riforma Morbida


Qui di seguito trovate, rifiniti e raggruppati per praticità in un unico articolo, i contenuti di vari post pubblicati nelle ultime settimane. Lo scopo è quello di illustrare come, dopo aver attuato (nei tempi più rapidi possibili) la Riforma Morbida del sistema monetario e il connesso rilancio dell’economia mediante l’introduzione dei Certificati di Credito Fiscale, si potrà in seguito introdurre la moneta nazionale (la Lira Fiscale) anche come moneta circolante, in sostituzione dell’euro.
 
La Riforma Morbida del sistema monetario europeo, che è il principale argomento trattato in questo blog, è “morbida” nel senso che non prevede una “rottura” deflagrante della moneta unica ed evita quindi le difficoltà, le complicazioni e i rischi che la rottura comporta.
Se si vuole evitare la rottura dell’euro, ma c’è d’altra parte la necessità di ripristinare la sovranità monetaria italiana – e di tanti altri paesi europei a cui l’attuale assetto dell’Eurozona impedisce di sviluppare corrette politiche macroeconomiche – l’alternativa è una procedura di affiancamento. L’Italia riprende ad emettere un suo strumento monetario, che convive con l’euro ed è utilizzabile per ripristinare adeguati livelli di domanda e per ridurre il carico fiscale che grava sul lavoro.
In merito a quest’ultimo punto, la riduzione del carico fiscale sul lavoro è necessaria per riportare la competitività delle aziende italiana ai livelli dei paesi più efficienti dell’Eurozona (e in particolare della Germania) evitando quindi che il recupero di domanda si diriga in proporzione eccessiva verso l’acquisto di prodotti esteri, permettendo alle aziende italiane di esportare di più, e di conseguenza evitando che si riformino sbilanci nei saldi commerciali italiani verso l’estero.
La versione originaria del progetto CCF permette di conseguire questi risultati, e potrebbe anche costituire un assetto permanente della futura Eurozona. In questa ipotesi l’euro sopravvive: monete e banconote in circolazione continuano a essere quelle di oggi, e l’unità di conto per i bilanci delle aziende, per i rapporti di debito e credito, e per la contabilità nazionale rimane l’euro.
E’ plausibile tuttavia che questo sia in effetti un passaggio verso una situazione finale in cui il nuovo strumento monetario nazionale diventerà, a tutti gli effetti, l’unica moneta legale in circolazione, sostituendo quindi l’euro in ogni suo impiego corrente.
Da una situazione di partenza in cui i Certificati di Credito Fiscale convivono insieme all’euro, si arriverebbe quindi a trasformare i CCF in Lire Fiscali, quindi nella moneta circolante di utilizzo predominante in Italia.
Mi pare che un esame esauriente delle modalità e dei tempi di questa evoluzione richieda di analizzare e descrivere la transizione con riferimento, come minimo, ai seguenti aspetti.
UNO, debito pubblico.
DUE, finanziamenti, mutui e rapporti di debito privato in genere.
TRE, contratti di lavoro.
QUATTRO, contratti di affitto.
CINQUE, contratti di somministrazione.
SEI, vendite al dettaglio.
SETTE, pensioni (pubbliche e private).
OTTO, possibili problemi per privati il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).
NOVE, possibili problemi per aziende il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).
 
 
UNO, debito pubblico e finanza pubblica in genere

 
A partire dall’avvio del progetto CCF, lo Stato italiano cessa di emettere titoli di debito pubblico espressi in euro.
Emette al loro posto titoli denominati in Lire Fiscali, sia a breve (dodici mesi o meno: BOT fiscali) che a medio-lungo termine (BTP fiscali, con scadenze analoghe agli attuali BTP in euro).
I titoli denominati in Lire Fiscali danno diritto al sottoscrittore di ricevere interessi (in funzione del tasso applicato) e rimborso di capitale a scadenza, come qualsiasi titoli obbligazionario: ma, appunto, interessi e capitale saranno espressi in Lire Fiscali, non in euro.
Le Lire Fiscali saranno utilizzabili (esattamente come i CCF, quando questi ultimi giungono a scadenza) per soddisfare qualsiasi obbligazione finanziaria nei confronti della Pubblica Amministrazione italiana.
Lo Stato italiano non sarà quindi condizionato né dalla necessità di collocare sul mercato titoli di debito espressi in moneta non sovrana (quale l’euro) né dagli andamenti dei mercati finanziari internazionali.
La percentuale di debito pubblico italiano espresso in moneta non sovrana calerà rapidamente. Oggi quasi due terzi del debito in circolazione scadono entro meno di sei anni (dati Ministero dell’Economia al 28.2.2014):
 
Debito pubblico italiano in circolazione – ripartizione percentuale per scadenza
Anno 2014          20%
Anno 2015          12%  cumulato    32%
Anno 2016          9%    cumulato    41%
Anno 2017          10%  cumulato    51%
Anno 2018          7%    cumulato    58%
Anno 2019          6%    cumulato    64%
Anni 2020-2028  25%  cumulato    89%
Anni 2029-2063  11%  cumulato    100%
 
Se non si effettuano più nuove emissioni in euro, in meno di sei anni resterà in circolazione debito pubblico in moneta non sovrana pari a poco più di un terzo delle consistenze attuali, e il valore continuerà a declinare negli anni successivi (diventando progressivamente sempre più trascurabile).
Nel frattempo, anno dopo anno lo Stato italiano sosterrà quote crescenti di spesa pubblica non più in euro ma in Lire Fiscali, che verranno accettate (in analoga proporzione) dallo Stato stesso in accettazione di pagamenti nei suoi confronti.
Per essere integralmente fedeli al concetto di “Riforma Morbida”, occorre che nessun contratto preesistente vengano forzatamente ridenominato, ex lege, da euro a Lire Fiscali.
Saranno quindi sostenute in Lire Fiscali e non in euro le spese per nuove assunzioni, per nuovi contratti di lavoro, per nuovi appalti, eccetera, mentre resteranno in euro le altre (ma tuttavia incideranno, in proporzione, sempre di meno, via via che i relativi contratti giungono a scadenza).
Per tutelare il potere d’acquisto dei dipendenti in sede di rinegoziazione dei contratti collettivi di lavoro (contratti in euro che scadono e vengono sostituiti da nuovi contratti espressi in Lire Fiscali) è opportuno prevedere adeguate clausole di indicizzazione al costo della vita.
Anche in questo caso, si può stimare che nel giro di cinque-sei anni dall’avvio della Riforma Morbida la quota di spese pubbliche sostenute ancora in moneta non sovrana sia pari a circa un terzo del totale o anche meno. E’ plausibile che questa quota residua di spesa pubblica sia in buona parte costituita da pensioni, per la parte riconducibile a contributi versati prima della Riforma Morbida (vedi anche il punto SETTE successivo).
Il processo potrà essere accelerato offrendo conversioni su base volontaria, anche qui con clausole compensative (in particolare di indicizzazione e tutela del potere d’acquisto).
L’utilizzo di Lire Fiscali per sostenere quote crescenti di spesa pubblica alimenterà la consuetudine generale al loro utilizzo corrente. Questo aiuterà anche lo sviluppo di un segmento specifico del mercato del credito (erogazioni di finanziamenti in Lire Fiscali).
 

DUE, finanziamenti, mutui e rapporti di debito privato in genere
TRE, contratti di lavoro
QUATTRO, contratti di affitto
CINQUE, contratti di somministrazione

 
Il segmento del mercato del credito relativo alle erogazioni di finanziamenti in Lire Fiscali nel giro di alcuni anni diventerà predominante rispetto al mercato del credito denominato in euro.
I contratti di lavoro privati, i contratti di affitto e i contratti di somministrazione (gas, luce, telefoni, utenze eccetera) verranno, anch’essi, con sempre maggiore frequenza stipulati in Lire Fiscali e non più in euro.
Anche in questo caso, il rispetto del principio della Riforma Morbida implica che nessun contratto venga convertito forzatamente. Nuovi contratti in Lire Fiscali verranno stipulati in sostituzione di quelli in euro via via che questi scadranno o, eventualmente, verranno rinegoziati in anticipo su base volontaria.
Sarà opportuno che anche i nuovi contratti collettivi di lavoro stipulati in sostituzione di contratti in scadenza (o oggetto di rinegoziazione anticipata) nel settore privato, come già visto riguardo al settore pubblico, prevedano adeguate clausole di indicizzazione al costo della vita.
Appare ragionevole una stima di tre-quattro anni per arrivare a una situazione in cui la circolazione / utilizzo di Lire Fiscali per finalità correnti e per transazioni anche finanziarie, nell’ambito del settore privato, divenga predominante rispetto alla circolazione / utilizzo di euro.
 
 
SEI, vendite al dettaglio

Nell’arco di tre-quattro anni, in altri termini, l’utilizzo di Lire Fiscali per transazioni correnti diverrà predominante rispetto all’utilizzo di euro.
Quindi la quasi totalità degli operatori privati (individui e aziende) si troverà a disporre di depositi bancari di due tipologie: denominati in euro e denominati in Lire Fiscali.
A partire da una data prefissata, potrà essere previsto che i prezzi al pubblico per le attività di vendita al dettaglio debbano essere espressi non più in euro, ma in Lire Fiscali.
A questo punto, verranno anche emesse banconote e monete metalliche denominate non in euro, ma in Lire Fiscali.
Potrà essere prelevato contante agli sportelli bancari o via Bancomat in Lire Fiscali, effettuati pagamenti con assegni in Lire Fiscali, utilizzate carte di credito collegate a conti bancari in Lire Fiscali, eccetera.
Ad esempio si può ipotizzare che, avviando la Riforma Morbida il 1° gennaio 2015, la data in cui i prezzi al pubblico saranno espressi non più in euro ma il Lire Fiscali sia il 1° gennaio 2018.
Euro e Lire Fiscali saranno convertibili sia prima che dopo tale data. Prima, il pubblico effettuerà pagamenti in euro (alimentando i conti correnti in euro impiegati per utilizzi e prelievi, anche mediante conversioni da Lire Fiscali a euro). Dopo, effettuerà pagamenti in Lire Fiscali (alimentando i conti correnti in Lire Fiscali impiegati per utilizzi e prelievi, anche mediante conversioni da euro a Lire Fiscali).
 

SETTE, pensioni (pubbliche e private)
 
Via via che i contratti di lavoro saranno sempre più frequentemente espressi in Lire Fiscali, si diffonderanno polizze assicurative e previdenziali di natura pensionistica (pensioni private) sempre più frequentemente espresse, a loro volta, in Lire Fiscali e non in euro.
Resteranno peraltro in euro le pensioni stipulate precedentemente alla Riforma Morbida: continueranno a essere effettuati in euro sia i contributi che le prestazioni, salvo anche in questo caso (analogamente a quanto ipotizzato per i contratti di lavoro) attuare rinegoziazioni su base volontaria e con opportune clausole di indicizzazione.
Riguardo alle pensioni pubbliche, basate su un meccanismo parzialmente o totalmente a ripartizione o comunque non contributivo, dalla data della Riforma Morbida in poi andrà lasciata al titolare del diritto pensionistico la facoltà di proseguire le contribuzioni sia in euro che in Lire Fiscali, prevedendo però che anche le prestazioni future vengano effettuate, corrispondentemente e in proporzione, parte in euro e parte in Lire Fiscali (sulla base delle contribuzioni effettuate).
Anche qui potrà essere offerta la possibilità di convertire integralmente, su base volontaria, tutti i diritti futuri in Lire Fiscali, introducendo opportuni meccanismi di indicizzazione.
 
 
OTTO, possibili problemi per privati il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).
NOVE, possibili problemi per aziende il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).

 
Ricapitolo quando fin qui enunciato. La Riforma Morbida prevede di introdurre uno strumento monetario sovrano (i Certificati di Credito Fiscale, o CCF) a fianco dell’euro, e di utilizzarlo (da parte dello Stato emittente) per integrare il reddito dei lavoratori, per ridurre il costo effettivo del lavoro per le aziende, e per effettuare altre azioni di sostegno della domanda.
In particolare, l’assegnazione di CCF alle aziende, in quantità dipendente dai costi di lavoro lordi sostenuti, viene effettuata in misura adeguata a riportare il Costo del Lavoro per Unità di Prodotto (CLUP) italiano ai livelli dei paesi più efficienti dell’Eurozona, e in particolare della Germania.
Questo permette al recupero di domanda e di PIL di svilupparsi senza che la maggior domanda produca maggiori importazioni nette, ed evitando quindi squilibri nei saldi commerciali esteri.
Come visto in precedenza, inoltre, lo Stato italiano anno dopo anno potrà sostenere quote crescenti di spese pubbliche in Lire Fiscali, cioè in moneta utilizzabile per soddisfare obbligazioni finanziarie (tasse e imposte in primo luogo) nei confronti dello Stato medesimo.
E la crescente introduzione di Lire Fiscali per sostenere quota di spesa pubblica alimenterà anche la consuetudine al loro utilizzo da parte del settore privato nonché lo sviluppo di un segmento specifico del mercato del credito (erogazione di finanziamenti in Lire Fiscali).
L’abbandono definitivo dell’euro per utilizzi correnti e la sua sostituzione con la Lira Fiscale potrà avvenire, come si ipotizzava, qualche anno dopo l’avvio della Riforma Morbida: per esempio, il 1° gennaio 2015 si introducono i CCF; il 1° gennaio 2018 i prezzi al pubblico cessano di essere espressi in euro, vengono emesse banconote e monete metalliche in Lire Fiscali, eccetera.
Per rimanere fedeli al concetto di Riforma Morbida, nessun contratto dovrà essere forzosamente convertito da euro a Lire Fiscali.
Questo potrebbe creare difficoltà a cittadini e aziende che si trovano a operare in un’economia che lavora, a questo punto, in Lire Fiscali – quindi i redditi di lavoro per contratti stipulati successivamente all’avvio della Riforma sono in Lire Fiscali, le aziende che operano sul mercato domestico conseguono proventi in Lire Fiscali, eccetera – mentre mutui, debiti privati, e finanziamenti alle imprese, almeno in parte sono ancora espressi in euro.
All’atto pratico, comunque, il problema è di rilievo molto inferiore a quanto si potrebbe temere, in primo luogo perché la Riforma Morbida non è basata su un meccanismo di svalutazione: come visto, il riequilibrio del CLUP tra Italia e altri paesi dell’Eurozona (Germania in particolare) viene effettuato riducendo il carico fiscale effettivo sui costi di lavoro delle aziende.
La Lira Fiscale non è quindi destinata, al momento del passaggio sopra indicato (e ipotizzato, come si diceva, per il 1° gennaio 2018) ad essere negoziata sul mercato per un valore sostanzialmente difforme da quello dell’euro.
Inoltre, nel periodo intercorrente tra avvio della Riforma Morbida e passaggio finale alla Lira Fiscale, molti contratti di finanziamento (anzi molti rapporti giuridico-economico di qualsiasi natura: anche contratti di lavoro, pensioni, affitti eccetera) saranno scaduti o saranno stati rinegoziati su base volontaria.
Buona parte dei rapporti contrattuali, in altri termini, saranno già in Lire Fiscali e non più in euro, fin da prima del 2018.
Gli effetti di trasferimento di ricchezza saranno quindi nettamente inferiori a quanto avverrebbe in seguito a un break-up dell’euro, con conseguente automatica (e forzata) trasformazione in Nuove Lire di tutta una serie di rapporti economici, accompagnata a una significativa svalutazione della Nuova Lira rispetto all’euro.
Casi particolari potranno essere gestiti con provvedimenti di sostegno ad hoc, fermo restando che, con ogni probabilità, si tratterà di fenomeni di importo molto modesto (in confronto agli effetti di un break-up con svalutazione).

2 commenti:

  1. L'Euro è un problema solo per noi che l'abbiamo adottato,come mai non lo è per gli altri Paesi che lo hanno adottato?
    Giovanna

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    1. I PIGS originari, quelli che hanno subito il peggior impatto iniziale dell'eurocrisi, sono Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. L'Italia in origine non era nel gruppo. La Grecia ha subito conseguenze pesantissime, Portogallo, Irlanda e Spagna molto meno perché la crisi da loro è stata soprattutto una crisi bancaria gestita con fortissime iniezioni di soldi pubblici. Quindi deficit di bilancio tripli di quelli italiani per svariati anni dal 2011 in poi. In pratica, hanno evitato conseguenze troppo gravi perché le circostanze hanno loro consentito di disattendere completamente le euroregole.

      I paesi del Nord invece sono stati avvantaggiati dai surplus commerciali esteri dovuti al fatto che l'euro è una moneta debole rispetto alla situazione delle loro precedenti monete nazionali (per noi, e per tutto il Sud, è il contrario).

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