Fabio
Castellucci mi ha rivolto una serie di complimenti (largamente immeritati) di
cui lo ringrazio, definendomi “posato, autorevole, serio e calmo”.
Nello stesso
tempo, mi dice che il limite di quello che propongo è politico.
Per citarlo: “non
ce ne facciamo nulla della centesima ottima soluzione se non diventa l’azione
di una forza politica che ha uomini all’altezza e consenso sufficiente ad
attuarla come governo”.
Allora Fabio, tu
hai ragione naturalmente. Nessuna soluzione è attuabile in assenza di consenso
politico.
Però adesso
lasciami essere immodesto. Poi forse mi considererai meno posato, meno
autorevole, meno serio e meno calmo. Ma pazienza.
L’editore
Hoepli, io e Giovanni Zibordi siamo stati schifosamente vanagloriosi. Abbiamo
pubblicato un libro intitolandolo “La soluzione per l’euro”.
“La”, non “una”.
NON è la “centesima
ottima soluzione”. Dove sono le altre novantanove ?
Si può risolvere
la crisi dell’euro modificando tutti i limiti di rapporto deficit pubblico /
PIL, facendo sottoscrivere o garantire dalla BCE le maggiori emissioni di
debito e utilizzandole, nella misura necessaria, per ridurre le tasse sul
lavoro e riportare il costo del lavoro per unità di prodotto di tutti i paesi
dell’Eurozona al livello della Germania ? tecnicamente sì. Politicamente non se
ne parla.
La Germania può
incrementare il suo costo del lavoro del 20% ? tecnicamente sì. Politicamente
non se ne parla.
La Germania può
uscire lei dall’euro ? tecnicamente sì e questo risolverebbe (in parte, non del
tutto) alcune delle complicazioni tecniche del breakup. Politicamente, non se
lo sogna neanche.
Funzionerebbe l’adozione
dell’”eurobancor” ? tecnicamente sì. Ma a parte la complicazione di un accordo
che coinvolge vari paesi, la Germania non ci starà mai, e ritorniamo quindi al
problema di come gestire il breakup.
Magari altre
novantanove soluzioni completamente diverse esistono. Io però non ne ho vista
neanche una – a parte la Riforma Morbida, si capisce – dotata delle seguenti caratteristiche.
UNO, può essere
adottata per iniziativa unilaterale da ogni singola nazione.
DUE, non
modifica nessuno dei rapporti contrattuali in essere. Crediti, debiti,
contratti di lavoro, pensioni eccetera rimangono in euro.
TRE, permette al
paese che la adotta di incrementare la domanda interna e il valore effettivo
delle retribuzioni, di ritornare al pieno impiego e nello stesso tempo di abbassare
il costo del lavoro per unità di prodotto delle sue aziende, evitando quindi
sbilanci commerciali con l’estero.
QUATTRO,
consente al paese che la adotta di finanziarsi con emissioni di titoli in
moneta sovrana e quindi di emanciparsi dai mercati dei capitali internazionali.
CINQUE, non crea
perdite a nessun detentore di crediti finanziari verso controparti (pubbliche o
private) italiane ed evita quindi contenziosi legali e azioni di rivalsa verso
beni italiani all’estero.
SEI, non deve
essere adottata di sorpresa ed evita quindi tutti i rischi legati a fughe di
notizie, turbolenze sui mercati finanziari, fughe di depositi bancari.
SETTE, non
implica una svalutazione e quindi non produce incrementi nei costi delle
materie prime e dei beni importati in genere.
OTTO, non impone
ai paesi settentrionali dell’Eurozona la rivalutazione della moneta da loro
utilizzata.
Certo, sono
tutti punti tecnici. E le logiche della politica, della comunicazione e della formazione
del consenso della pubblica opinione hanno spesso poco a che vedere con la
tecnica. Se non fosse così, del resto, l’euro non sarebbe mai nato.
Però la
battaglia per superare la crisi economica e per ripristinare la sovranità
monetaria dell’Italia è lunga e difficile. Mi piacerebbe che qualcuno mi
spiegasse come e perché ignorare una strada semplice e continuare a insistere su quelle complesse dovrebbe aiutare a vincerla.
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