martedì 15 aprile 2014

Euro sì, euro no, euro forse, euro come


Accolgo con piacere l’invito degli amici di www.getup-italia.org a “dire la mia” sulla questione euro.

Getup-italia si definisce come un “convivio di persone unite da una comune visione”: “meritocratica, liberale, laica, europeistica e privatistica”.

Comincio con il soffermarmi sulla qualifica di “liberale”. E’ una definizione che ben volentieri attribuisco anche a me stesso. Ma è importante chiarirne il contenuto.

Liberale è, a mio modesto avviso, chi ritiene che i singoli individui abbiano il diritto di esprimere le proprie potenzialità e di perseguire le proprie finalità, purché questo diritto non interferisca con quello, analogo, che deve essere garantito ad ogni altro singolo membro di una comunità.

Ne consegue che lo stato deve svolgere un ruolo sussidiario: deve esistere e funzionare, per raggiungere le finalità che i singoli individui, da soli o raggruppati in organizzazioni volontarie, non potrebbero efficacemente perseguire.

In questo senso, siamo liberali tutti, salvo i pochi che perseguono modelli politici di anarchia pura o di totalitarismo assoluto.

Il punto è intendersi su che cosa si intenda per “finalità che i singoli individui… non potrebbero efficacemente perseguire”. Qui c’è spazio per opinioni differenti, che non possono tuttavia prescindere da analisi tecnicamente ben fondate.

A me pare incontestabile che una società moderna ed efficiente debba porsi l’obiettivo di impiegare al meglio le sue risorse produttive, tecniche e umane. Per massimizzare il benessere materiale della collettività, ma – anche e soprattutto – per evitare la gravissima piaga sociale della disoccupazione di lungo termine.

L’opera di grandi economisti del passato, primo fra tutti il LIBERALE John Maynard Keynes, e gli eventi che hanno caratterizzato l’economia mondiale negli ultimi anni, offrono chiarissime indicazioni in merito al fatto che una crisi finanziaria come quella del 1929 o come quella del 2008 produce pesanti strascichi in termini di caduta di reddito, incremento della disoccupazione, debiti problematici o inesigibili che gravano su aziende e individui, clima generalizzato di pessimismo.

In queste condizioni, non si verifica un riequilibrio naturale che faccia uscire l’economia dalle sue condizioni depresse in tempi ragionevolmente brevi per effetto del libero operare delle forze di mercato. La depressione economica dura, al contrario, molti anni, a meno che lo stato non intervenga con un’azione anticiclica: che significa rimettere potere d’acquisto in circolazione nell’economia reale, mediante incremento di spesa pubblica, riduzione del carico fiscale o una combinazione delle due cose.

Che cosa c’entra tutto questo con l’euro ? in senso stretto, il problema non è (solo) la moneta unica, ma l’interpretazione errata della crisi adottata dalle autorità di governo economico dell’Eurozona.

E’ pressoché inevitabile che, se diciotto nazioni condividono la stessa moneta, le dinamiche inflazionistiche e l’andamento dei costi di lavoro per unità di prodotto non siano identici. La moneta, in un sistema rigido come l’attuale Eurozona, risulterà troppo forte per alcuni e troppo debole per altri.

Dopo la crisi del 2008, azioni di sostegno della domanda sono state intraprese, nell’Eurozona così come nelle altre economie mondiali. Ma nel momento in cui l’economia di maggiori dimensioni – la Germania – aveva recuperato gli effetti della crisi, la preoccupazione si è spostata dal recupero dell’occupazione (che nel resto dell’Eurozona ancora non aveva avuto luogo) al dubbio che i paesi meno efficienti, che negli anni precedenti avevano accumulato deficit commerciali, non sarebbero stati in grado di ripagare i debiti contratti.

In un regime di monete nazionali e cambi flessibili, il riallineamento valutario agisce da ammortizzatore di questi scompensi. Le autorità di governo economico dell’Eurozona hanno invece preteso di compensare questi disallineamenti imponendo un pesante regime di austerità e di deflazione salariale ai paesi periferici dell’unione monetaria europea: un’azione prociclica, proprio in un contesto che richiedeva – al contrario – il proseguimento di azioni anticicliche. Si è così prodotta una depressione economica peggiore di quella sperimentata negli anni Trenta.

In un recente articolo, Simone Paoli commentava che “i no euro comunicano decisamente meglio”. Indubbiamente alcuni di loro sono abili divulgatori, ma li aiuta enormemente il fatto che i “sì euro”, intestardendosi a difendere le politiche imposte all’Eurozona dall’asse Bruxelles – Francoforte – Berlino soprattutto dal 2011 a oggi, sono gli avvocati di una causa strapersa sul piano teorico, tecnico e pratico.

In realtà ai “sì euro” è rimasta una sola argomentazione di una qualche solidità: il fatto che “rompere” l’attuale sistema monetario è complicato e pericoloso. Si rischiano turbolenze nel sistema bancario e finanziario, contenziosi e cause legali, effetti di cambio difficili da prevedere e gestire.

Personalmente, sono impegnato da più di un anno a elaborare e a divulgare un progetto di riforma del sistema monetario europeo che eviti la “deflagrazione” della moneta unica, ma che nello stesso tempo permetta ad ogni singolo stato  membro di ripristinare i livelli di domanda necessari a riassorbire tutta la disoccupazione prodotta dalla crisi, di mantenere saldi commerciali esteri equilibrati e di finanziare questi interventi senza che nessuno stato debba far ricorso a indebitamento erogato da istituzioni private e/o straniere.

La riforma si incentra su uno strumento, i Certificati di Credito Fiscale, che ogni paese può introdurre in quantità e con caratteristiche attagliate alle specifiche circostanze. E’ uno strumento monetario (non è un titolo di debito) che lo stato emittente accetta in pagamento di imposte e qualsiasi obbligazione finanziaria futura nei suoi confronti. Non è peraltro necessario introdurlo sotto forma di banconote e monete metalliche, né tantomeno convertire forzatamente contratti e rapporti giuridico-finanziari attualmente espressi in euro.

L’introduzione dei Certificati di Credito Fiscale permette, ai vari stati dell’Eurozona oggi in difficoltà, di avviare una forte ripresa delle loro economie e nello stesso tempo di ridurre fortemente i debiti pubblici denominati in euro, e i deficit statali intesi come saldo tra spese e incassi, sempre espressi in euro.

E’ quindi possibile risollevare fortemente il PIL dei vari paesi, riassorbire la disoccupazione prodotta dalla crisi e nello stesso tempo risanare le finanze pubbliche.

Ho denominato questo progetto “Riforma Morbida” perché rivede completamente tutte le linee di gestione macroeconomica dell’attuale eurosistema, risolvendo le attuali, gravissime disfunzionalità della moneta unica europea, senza tuttavia generare i rischi e le complicazioni connesse a una sua “rottura”.

L’alternativa ”euro sì – euro no” è mal posta. Oggi abbiamo un sistema economico-monetario che non funziona. Occorre riformarlo: ed è possibile farlo, avviando la soluzione della crisi economica ed evitando effetti collaterali pericolosi.

Questo deve diventare il punto focale del dibattito.

 

Marco Cattaneo (1962) gestisce fondi e rappresenta primari investitori internazionali nell’effettuazione di operazioni di private equity, principalmente rivolte ad aziende imprenditoriali italiane di dimensioni comprese tra i 10 e i 50 milioni di euro.

 


 

Ha pubblicato nel marzo 2014 il libro:

“La soluzione per l’euro: 200 miliardi per rimettere in moto l’economia italiana”
Marco Cattaneo / Giovanni Zibordi – Hoepli Editore

8 commenti:

  1. Ottima analisi, come sempre ben sviluppata e circostanziata.
    L'unica differenza che colgo rispetto al mio orientamento è su un aspetto che riguarda gli effetti monetari dei ccf. A mio avviso, l'emissione di ccf, intesa come promessa di pagamento di imposte future, è assimilabile in generale, pur con significative differenze, a una moneta complementare (rispetto all'euro) statale.
    Riprendendo la definizione keynesiana di moneta, le caratteristiche peculiari della moneta sono riconducibili ad un'elasticità di produzione pari o molto vicina allo zero e un'elasticità di sostituzione altrettanto bassa, in quanto pur in presenza di un aumento del valore di scambio, non si può essere sicuri che essa venga sostituita con altri beni. I motivi per cui la moneta offre un così alto premio di liquidità rispetto agli altri beni, soprattutto se confrontato con costi di mantenimento irrisori, sono legati al fatto che i salari sono definiti in termini di moneta e, ancora più importante, è la stabilità del valore della moneta rispetto a quello dei salari.
    Ne deriva, di conseguenza, l’importanza fiduciaria della moneta e quindi l’essenzialità di un sistema pubblico di garanzia che rappresenta un elemento determinante di affidabilità di ogni eventuale esperienza di moneta complementare Nel contempo, ogni economia è inserita oggi in un contesto di commercio e interscambio internazionale e ne discende l’esigenza di equilibrio dei conti con l’estero. L'equilibrio dei conti con l'estero è legato anche ai movimenti di capitali (riferimento importante è il rating creditizio e finanziario del paese emittente).
    L’eventuale moneta complementare può essere efficace se contribuisce a rafforzare la domanda interna, senza squilibrare i conti con l’estero, La condizione percorribile per un’efficace ruolo di moneta complementare pubblica che affianca l’euro è legato alla vincolatività di un modello di crescita che si basi su un processo cumulativo di espansione della domanda e della produttività mediante il rilancio degli investimenti.
    Questo sentiero è proponibile se è garantita l’implementazione di una banca nazionale, di proprietà statale, che possa contare su una dotazione di capitale costituita da attività pubbliche possedute (immobili, partecipazioni azionarie, riserve auree a garanzia etc.) e che possa sviluppare anche la gestione della moneta complementare. Cosa ne pensa?

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  2. Assolutamente d’accordo sul fatto che i CCF sono una forma di moneta complementare statale, appunto in quanto sono illimitatamente accettati dalla pubblica amministrazione dello stato emittente a soddisfacimento di qualsiasi obbligazione finanziaria nei suoi confronti (tasse e imposte in primo luogo), sia pure a partire da una data futura (due anni dall’emissione, secondo lo schema proposto).
    E’ anche chiave l’altro punto che lei cita, la necessità di rilanciare la domanda interna senza squilibrare i conti con l’estero. Se esamina i dettagli della proposta leggendo il libro o i vari articoli del blog che la descrivono – ad esempio questo noterà che una parte delle assegnazioni di CCF sono infatti destinate ad abbattere la fiscalità che grava sui costi di lavoro delle aziende, in modo da ridurre il CLUP italiano e da assicurare, appunto, il mantenimento di saldi commerciali esteri equilibrati con livelli di domanda, PIL e occupazione ben superiori agli attuali.
    L’implementazione da parte di una banca centrale capitalizzata con asset pubblici – riserve auree, immobili eccetera – a mio avviso è superata dal fatto che i CCF sono addirittura emessi dallo stato medesimo, per esempio via il Ministero dell’Economia. E la garanzia del loro valore è in primo luogo costituita dall’accettazione illimitata da parte dello Stato come forma di pagamento di tasse e imposte.

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  3. Grazie per la pronta risposta. Mi permetto di segnalare quest'ultimo dubbio.
    La sottovalutazione degli aspetti di garanzia collaterale dell'emissione statale potrebbe, a mio avviso, indebolire significativamente la proposta di ccf sul piano teorico, in quanto, in teoria, sostanzialmente non pone limiti all’emissione monetaria e questo fattore può minare la fiducia nella stabilità esterna dell’economia coinvolta.
    Come osserva acutamente Bhaduri, in un contesto globalizzato la paura di deflusso di capitali che può essere indotta anche dalle politiche fiscali espansive del governo può porre un vincolo serio. Teniamo presente che il rating creditizio e finanziario delle imprese è legato al rating del Paese.
    Infatti, a meno che le aspettative dei mercati siano rispettati in misura sufficiente a mantenere alta la loro fiducia, la la fuga di capitali diventa una minaccia per un ambiente economico stabile.
    Kalecki, nel 1943, aveva previsto questa possibilità mentre discuteva
    la fattibilità politica di politiche di piena occupazione nel tempo e il loro impatto sul “clima degli investimenti” di un paese.
    Certo, come lei sostiene, l'implementazione di emissioni di ccf potrebbe essere ben aprrezzata dai mercati in quanto motore di crescita e di riduzione del gap dei costi delle imprese; certamente, non disconosco che siamo sostanzialmente in situazione deflazionistica. tuttavia, mi viene in mente il dietrofront di Mitterand nelle politiche keynesiane avviate nel suo primo mandato: se i mercati si mettono contro, gli effetti possono essere molto punitivi. Garanzie collaterali che non mancano a un paese dalle potenzialità come l'Italia potrebbero essere utili. Grazie per l'attenzione.

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    1. Capisco il punto, e le garanzie collaterali sicuramente non guastano. Mi sembra che il tema fondamentale comunque sia quello di spingere l'azione di sostegno della domanda, finanziata da strumenti monetari, fino al livello necessario al raggiungimento del pieno impiego e non oltre. Sospetto (ma vado a verificare) che il problema dei primi anni della gestione Mitterrand fosse proprio di aver trascurato questo vincolo, adottando politiche presentate come keynesiane ma in realtà sovrainflazionando l'economia per mascherare finalità redistributive.

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  4. Ha pensato di presentere i CCF in TV in un Talk Show? Il livello della discussione é spesso bassissimo e i tempi molto stretti ma la visibilitá enormemente più grande di quella di un blog.

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    1. Non so come si fa ad accedere al giro delle "comparsate" nei talk-show, ma non mi tiro certo indietro... spero che l'uscita del libro incrementi anche l'attenzione dei media.

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    2. Dovrebbe giocare un po "sporco", per esempio andando tra il pubblico de "La Gabbia" di Paragone e intervenire dicendo che lei ha una soluzione per recuperare la sovranità monetaria senza uscire dall'euro, dica che lei saprebbe illustrare la sua soluzione "sfidando" il prof. Borghi, 30 sec. dovrebbero bastare per lanciare la sfida in diretta :-)

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    3. Mah penso che tra poco faremo qualcosa anche con più di trenta secondi a disposizione ;)

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