martedì 11 novembre 2014

La proposta AfD per lo scioglimento dell’Eurozona


Chi segue questo blog sa che ho spesso parlato di Alternative fuer Deutschland (vedi quiqui e qui). AfD viene accreditato, in Germania, di un consenso elettorale ormai saldamente superiore al 10%.

Il suo principale esponente, Bernd Lucke, è un economista. Non conosco in dettaglio le posizioni di AfD su temi diversi dall’eurocrisi, quali l’immigrazione o la politica internazionale. Ma riguardo alla situazione dell’Eurozona, ho sempre avuto l’opinione che il loro approccio sia corretto ed equilibrato: l’obiettivo che si propongono – presa atto della totale insostenibilità e insensatezza dell’attuale situazione – è uno scioglimento ordinato.

Qui di seguito trovate la traduzione (dall'inglese, il mio tedesco è alquanto limitato…) delle proposte di AfD, in forma di domande e risposte. Non tutti i passaggi tecnici sono chiarissimi. Il modello proposto comunque è l’introduzione di una moneta parallela che sostituisce gradualmente l’euro, e da questo punto di vista ci sono quindi analogie con il progetto CCF. Diversamente che per i CCF, si fa leva, tuttavia, non sul fatto che la nuova moneta nazionale derivi il suo valore dall’accettazione da parte dello stato (principalmente per pagare tasse) ma che venga imposto per legge che una percentuale (crescente nel tempo) delle transazioni domestiche debba essere effettuata nella nuova moneta nazionale.

Di primo acchito, e riservandomi approfondimenti, mi pare che rispetto alla Riforma Morbida raggiunga alcuni degli stessi obiettivi (evitare una spaccatura improvvisa e molto difficile da gestire, non ridenominare i conti bancari). Comporta però una riduzione di valore di stipendi e salari, e in generale dei contratti domestici in essere. Questo potrebbe essere percepito negativamente dall’opinione pubblica in sede di discussione della proposta. E’ corretta, peraltro, l’affermazione (risposte 9 e 10) che questo sarà un problema, in pratica, di impatto modesto, perché l’effetto inflattivo sarà molto inferiore all’ammontare della svalutazione.

Sempre a un primo esame, la proposta AfD non mi pare tener conto del fatto che il rilancio delle economie dei paesi che escono dall’eurosistema richiede non solo una (peraltro graduale, secondo quando ipotizzato) svalutazione, ma anche e soprattutto un rilancio della domanda mediante deficit spending. Quindi questi paesi devono utilizzare la nuova moneta nazionale (o debito emesso nella nuova moneta e garantito dalla banca centrale nazionale) anche per aumentare la spesa pubblica e/o per ridurre le tasse. Emettere moneta nazionale interamente coperta da euro, come ipotizzato al punto 5, non è – di conseguenza - sufficiente.

Continuo, comunque, a valutare molto positivamente il fatto che esista, in Germania, una forza politica di peso rilevante (e crescente) che ha l’obiettivo dichiarato di superare l’attuale eurosistema, e che si propone di trovare soluzioni cooperative e consensuali.

 

D1. AfD propone di sciogliere l’Eurozona. Non è pericoloso ?

R1. No. Vogliamo attuare lo scioglimento in modo attento e organizzato, tramite un processo di transizione che durerà alcuni anni. Quello che è pericoloso è affermare che l’euro è la sola opzione e continuare come prima. Negli ultimi tre anni la crisi si è costantemente inasprita ed è ben lontana dall’essere sotto controllo. Chi rimane cieco di fronte a questo deve accettare che la crisi finirà, un giorno, in un’enorme esplosione, al confronto della quale la crisi finanziaria del 2008 apparirà un lancio di coriandoli.

 

D2. Com’è possibile sciogliere l’Eurozona in modo attento e organizzato ?

R2. Ci sono molte opzioni e non vediamo l’ora di prendere in seria considerazione qualsiasi suggerimento legittimo e di discuterlo con i partner europei. Una possibilità, per esempio, consiste nel consentire inizialmente agli stati europei meridionali di ritirarsi gradualmente dall’euro, introducendo nel frattempo una moneta nazionale a fianco dell’euro. La seconda fase comporterebbe lo scioglimento dell’area valutaria residua, in favore di monete nazionali o di aree valutarie di minore dimensione. Da qui in poi, prenderemo in considerazione la via della moneta parallela come possibile – anche se sicuramente non unico – approccio.

 

D3. Perché gli stati europei meridionali dovrebbero introdurre una propria moneta a fianco dell’euro, invece di abolirlo immediatamente ?

R3. Se l’euro è completamente abolito in un paese, tutti i risparmi e i conti correnti bancari devono essere convertiti nella nuova moneta. E’ improbabile che i cittadini di quel paese lo desiderino, in quanto riterranno (giustificatamente) l’euro una moneta di valore più stabile. Correranno quindi in banca per cercare di ritirare i loro soldi. Una crisi bancaria di questo tipo porterà il sistema bancario al collasso, in quanto le banche non sono in possesso di un ammontare di moneta neanche lontanamente vicino all’importo dei conti in essere. Per di più, i debiti esteri espressi in euro si incrementeranno drammaticamente di valore nel caso di un’improvvisa transizione alla moneta nazionale.

 

D4. Non è possibile preparare una conversione valutaria completa in segreto e attuarla di sorpresa durante un fine settimana, al fine di evitare la crisi bancaria ?

R4. In teoria sì, ma in pratica è estremamente rischioso. Una conversione monetaria deve essere preparata in anticipo e coordinata con la BCE e con i partner europei. E’ molto improbabile che una cosa del genere possa essere effettuata in segreto. Una fuga di notizie comporterebbe una crisi bancaria. E’ molto meglio informare i cittadini con chiarezza fin dall’inizio che risparmi e conti bancari non saranno toccati, in quanto l’euro manterrà corso legale.

 

D5. Come la nuova moneta entrerà in circolazione, quindi ? perché la popolazione dovrebbe usarla se l’euro continuerà ad avere corso legale ?

R5. Occorre distinguere tra pagamenti regolati in contanti e non. I pagamenti in contanti continueranno, all’inizio, a essere effettuati esclusivamente in euro. Per i pagamenti non in contanti, il governo potrà stabilire che quelli domestici siano effettuati in moneta nazionale. (Con l’eccezione, come già detto, dei ritiri di risparmi depositati in banca). Questo può essere facilmente controllato in quanto questi pagamenti transitano per il sistema bancario. Lo stato potrà inoltre stabilire che la maggioranza dei contratti domestici (per esempio i contratti di lavoro e la maggior parte delle obbligazioni contrattuali domestiche) siano denominate in moneta nazionale. Lo stato, le aziende e i privati dovranno quindi acquistare la nuova moneta (dando euro in cambio) dalla banca centrale nazionale. In questo modo la nuova moneta entra in circolazione e – cosa molto importante – è interamente coperta da euro.

 

D6. Come si viene a determinare un tasso di cambio tra euro e moneta nazionale ?

R6. In linea di principio, presso un libero mercato dei cambi. Chiunque potrà comprare e vendere la moneta nazionale al cambio corrente. Il tasso di cambio sarà controllato dalla domanda e dall’offerta. Comunque, la banca centrale nazionale potrà indirizzare il tasso di cambio come desidera, in quanto essendo la moneta nazionale (più precisamente, la sua base monetaria) totalmente coperta da euro, la banca centrale potrà comprare ogni ammontare di moneta nazionale che desideri, e quindi sostenere la moneta. In questo modo, la banca centrale potrà evitare che il prezzo di mercato della moneta nazionale si svaluti più di quanto desiderato. Questo significa che il prezzo di mercato della moneta nazionale si avvicinerà al prezzo di mercato base appropriato, lentamente e in modo controllato. Questo sistema (cosiddetto “crawling peg”, “stabilizzazione strisciante”) previene la speculazione ed eccessi irrazionali nei movimenti di mercato.

 

D7. Che cosa spinge la moneta nazionale a svalutarsi ?

R7. Ipotizziamo che la moneta nazionale sia introdotta al prezzo di un euro. Fintantoché rimane a quel livello, potremmo indifferentemente effettuare pagamenti in euro. A questo punto, però, la banca centrale aumenta l’offerta della moneta nazionale. Come risultato, il prezzo di mercato scende. C’è sempre una certa domanda per la moneta nazionale perché un determinato quantitativo è richiesto come mezzo di pagamento. Poiché la banca centrale può discrezionalmente determinare l’offerta, a fronte di quella domanda, può controllare il tasso di cambio e svalutarlo gradualmente.

 

D8. L’euro e la moneta nazionale possono essere utilizzati simultaneamente nelle transazioni ?

R8. Un sistema monetario parallelo si può sviluppare in vari modi. Una strada è stabilire che per ogni pagamento non in contante una determinata proporzione, per esempio la metà, debba essere pagata in euro, e l’altra metà in moneta nazionale. Per le transazioni non in contanti, questo è estremamente semplice da tenere sotto controllo. Se un bene ha un prezzo di 100, in una transazione non in contanti 50 dovrà sempre essere pagato in euro, e 50 in moneta nazionale (MN) – qualunque sia il cambio di mercato in quel momento. Se 50 MN varranno solo 45 euro a causa della svalutazione, il prezzo di quel bene (in euro) scenderà a 95 euro. Questo significa che i beni prodotti internamente diventeranno meno costosi. Come risultato, il paese potrà vendere di più all’estero. Le esportazioni cresceranno e la disoccupazione scenderà.

 

D9. L’incremento di offerta della moneta nazionale non causerà inflazione ?

R9. Sì, ma in modo limitato. Espressi in euro, gli imprenditori otterranno margini più bassi, e quindi ci possiamo aspettare che aumenteranno i prezzi. Comunque anche i loro costi scenderanno in quanto i salari saranno parzialmente pagati in MN, e quindi (calcolati in euro) scenderanno. Da questo punto di vista, la concorrenza mantiene bassi i prezzi. I prezzi saliranno solo nella misura in cui un imprenditore utilizza input produttivi importati. Questi diventeranno più costosi in quanto dovranno essere completamente pagati in euro. Tutto ciò significa che l’inflazione sarà inferiore all’ammontare della svalutazione e che la svalutazione potrà essere controllata dalla banca centrale nazionale.

 

D10. Gli imprenditori e i consumatori saranno quindi danneggiati dalla perdita di potere d’acquisto ?

R10. Sì, ma solo riguardo ai beni importati. Questo è desiderabile. Se i beni importati diventano più costosi, l’economia domestica ne risulta stimolata e il saldo delle partite correnti migliora. Successivamente, la banca centrale può dar luogo a ulteriori svalutazioni per rafforzare questo effetto e raggiungere il tasso di cambio “appropriato”.

 

D11. In che modo, a questo punto, un paese esce completamente dall’euro ?

R11. Dopo che il pubblico ha preso familiarità con il sistema monetario parallelo, la legge può stabilire che la proporzione di moneta nazionale in circolazione si incrementi. Per esempio, la quota di pagamenti da effettuarsi in MN per le transazioni non in contanti può essere aumentata dal 50% al 75%. In passaggi successivi, l’euro può essere totalmente rimpiazzato.

 

D12. E per quanto riguarda i pagamenti in contanti ?

R12. Nel momento in cui il pubblico ha acquisito familiarità con la MN per le transazioni non in contanti, monete e banconote in MN possono essere introdotte in circolazione. Durante la transizione, i prezzi saranno espressi sia in euro che in MN.

 

D13. Questo non produrrà la rivalutazione dei debiti in euro, creando quindi problemi ai debitori ?

R13. In primo luogo, i debiti regolati dalla legge nazionale saranno semplicemente convertiti nella nuova moneta, o nella combinazione delle due (la sola eccezione essendo i depositi bancari, che sono debiti delle banche). Rimangono i debiti esteri regolati da legge straniera, che continueranno a essere espressi in euro. Data l’esistenza di questi debiti esteri, è importante che la banca centrale nazionale svaluti la moneta nazionale solo gradualmente, evitando grossi effetti di rivalutazione dei debiti esistenti. Un certo danno per i debitori è inevitabile, ma questo riguarda comunque i debiti esteri. Quando il tasso di cambio tra due paesi si modifica, il debito totale cambia di conseguenza. E’ normale.

 

D14. Una rivalutazione, anche modesta, del debito in euro porterà però al fallimento, inevitabilmente, stati carichi di debiti come la Grecia.

R14. La Grecia è fallita ormai da diversi anni ed è mantenuta in vita esclusivamente dai contribuenti europei. Ma anche nel caso della Grecia, se l’economia riprende grazie alla svalutazione della moneta, gli incassi fiscali dello stato cresceranno, e di conseguenza la capacità dello stato di sostenere il proprio debito. Questo mitiga l’effetto della rivalutazione del debito.

 

D15. Non si creeranno “transazioni di mercato nero” a causa della creazione di un sistema monetario parallelo dove i pagamenti in contanti sono fatti in euro e quelli non in contanti (in parte) in moneta nazionale ?

R15. No, perché chiunque potrà scambiare euro e MN al cambio corrente. Piuttosto, ogni bene avrà due prezzi, uno per i pagamenti in contanti (completamente in euro) e uno per quelli non in contanti (parzialmente in euro e parzialmente in MN). Questi prezzi saranno equivalenti, dato che chiunque può convertire MN in euro. Non c’è quindi vantaggio nell’effettuare pagamenti “neri” in euro.

 

D16. Se i depositi bancari restano in euro, non ci sarà uno squilibrio finanziario per le banche ?

R16. Sì, quindi le banche dovranno ricevere appropriati diritti compensativi dalla banca centrale. Questi diritti compensativi diventano necessari solo quando la banca centrale inizia a svalutare la moneta nazionale. A questo punto la banca centrale realizza un utile, in quanto possiede euro che si rivalutano rispetto alla MN in circolazione. Questi utili possono essere utilizzati a copertura dei diritti compensativi delle banche.

 

D17. Che cosa succede dopo che i paesi europei meridionali hanno completamente abbandonato l’euro ?

R17. Dopo l’abbandono dei paesi europei meridionali, avrà già luogo una significativa riduzione delle tensioni nell’ambito dell’Eurozona. In effetti, delle maggiori tensioni, dato che anni di soppressione di rivalutazioni e svalutazioni saranno gradualmente compensati. Tanto più questo avverrà, tanto più semplice sarà lo scioglimento dell’area valutaria residua. Si vedrà a quel punto se sarà suddivisa in aree più piccole (ad esempio Germania / Austria / Olanda e Francia / Belgio) o se i singoli paesi torneranno alle loro monete nazionali. Alla fine del processo, il marco tedesco potrebbe tornare, in effetti, a essere utilizzato.

 

D18. Non sarebbe più semplice se la Germania lasciasse direttamente l’euro ?

R18. Le soluzioni semplici non sono sempre le migliori. Un immediato ritiro della Germania dall’euro solleva notevoli problemi legali, tecnici ed economici. Realisticamente, lo scioglimento dell’euro per mezzo dell’uscita dei paesi europei meridionali e della conseguente contrazione dell’Eurozona è preferibile all’uscita della Germania. Detto questo, la graduale riduzione dell’Eurozona può raggiungere lo stadio in cui il marco tedesco viene reintrodotto in Germania.

lunedì 10 novembre 2014

Due riflessioni sull’eurocrisi (una corretta, l’altra no)


Simon Wren-Lewis, economista britannico che ha significativamente contribuito a far prendere al Regno Unito una decisione MOLTO appropriata (non entrare nell’euro…) nella parte conclusiva di un recente articolo afferma quanto segue:

“Le riforme strutturali possono essere, o non essere, desiderabili in molti paesi, e forse anche in Germania, ma non hanno nulla a che vedere con la necessità di incrementare il livello di domanda aggregata nell’Eurozona nel suo complesso.”

Questa affermazione è totalmente corretta.

“Per quanto riguarda gli squilibri di competitività all’interno dell’Eurozona, il problema sorge da uno shock deflazionistico avvenuto in Germania.”

Per “shock deflazionistico” Wren-Lewis intende gli effetti delle riforme Hartz e dell’introduzione dei mini-job in Germania, che hanno prodotto un contenimento della crescita dei salari al di sotto dell’incremento della produttività, e creato uno sbilancio tra competitività tedesca e del resto dell’Eurozona. Che in regime di cambi flessibili avrebbe potuto essere compensato dal riallineamento delle valute, impossibile invece nell’ambito di un’unione monetaria.

“Il posto naturale dove guardare per una soluzione non sono riforme strutturali fuori dalla Germania, ma un periodo di inflazione sopra la media in Germania, ed è nell’interesse di ogni altro paese dell’Eurozona che ciò avvenga”.

Qui invece Wren-Lewis si sbaglia, per due motivi: il riallineamento di competitività ottenuto per questa via (i) richiederebbe diversi anni, e (ii) è, comunque, totalmente inaccettabile (in primo luogo sul piano politico) per i tedeschi.

Il problema può invece essere risolto con altre azioni, di effetto immediato.

O l’euro si spezza, e si mette in atto un riallineamento dei cambi.

Oppure viene messa in atto una consistente riduzione dei costi produttivi dell’Eurozona sud, senza abbassare le retribuzioni bensì riducendo (in particolare) la fiscalità che grava sui costi di lavoro lordi (quindi sul cuneo fiscale).

Siccome è anche necessario che (vedi la prima affermazione sopra citata) la domanda aggregata totale dell’Eurozona salga, questa riduzione di fiscalità deve essere finanziata a deficit, non incrementando altre tasse o riducendo altre spese.

Come agire per ottenere ciò, lo trovate esposto in vari articoli di questo blog, per esempio qui.

Finanziamento del deficit con debito garantito dalla BCE.

Oppure con moneta emessa dalla BCE.

O, in modo autonomo e indipendente, paese per paese, mediante emissione di una nuova moneta nazionale, quali i Certificati di Credito Fiscale.

domenica 9 novembre 2014

CCF e Riforma Morbida su Micromega

Ecco qui l'articolo: in bella evidenza, grazie ad Enrico Grazzini.
 
A 36 ore dall'uscita abbiamo superato i 500 "Mi piace". Le letture quindi sono state molte di più.
 
E su facebook ieri ho passato parecchio tempo a rispondere a critiche. Il che secondo me è un ottimo segno: chi critica ha letto, con attenzione, e si sforza di capire.

sabato 8 novembre 2014

Risolviamo la crisi dell'Italia: adesso!


Uscire dalla depressione con l’emissione di “moneta statale” a circolazione interna

 

Manifesto / appello a cura di:

Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini

 

Per uscire dalla crisi e dalla trappola del debito, proponiamo di rilanciare la domanda grazie all’emissione gratuita da parte dello Stato italiano di Certificati di Credito Fiscale ad uso differito e all’utilizzo di Titoli di Stato con valenza fiscale. In questo modo lo Stato creerebbe moneta nazionale complementare all’euro, e di conseguenza nuova capacità di spesa, senza però generare debito. Questa proposta risulta così compatibile con le regole e i (rigidi) vincoli posti dal sistema dell’euro e delle istituzioni europee.

 

 

La crisi dell’eurosistema

 

Molti autorevoli economisti avevano avvertito che difficilmente una moneta unica che unisce paesi molto diversi per livelli di competitività, produttività e inflazione avrebbe potuto essere un motore di sviluppo, soprattutto in mancanza di una forte politica cooperativa e solidale a livello europeo. Le loro previsioni si sono purtroppo avverate.

 

Il sistema della moneta unica divide più che unire i paesi europei e, soprattutto dopo lo scoppio della crisi finanziaria globale, è diventato un freno per la crescita dell’Eurozona e di ogni singolo paese. La moneta unica impedisce i riallineamenti competitivi (cioè le svalutazioni monetarie dei paesi deboli e le rivalutazioni di quelli forti). Inoltre, in assenza di una politica fiscale comunitaria redistributiva, risulta inadatta alle esigenze di crescita di ciascun singolo paese. Ne seguono squilibri commerciali e finanziari, in particolare all’interno dell’Eurozona.

 

A causa della rigidità intrinseca della moneta unica, i paesi creditori, in primis la Germania, sostengono l’adozione di politiche depressive per i paesi debitori come l’Italia, la Francia, la Spagna e altri paesi del Sud Europa. Per garantirsi il recupero dei crediti, i primi hanno imposto austerità, riduzioni drastiche del costo del lavoro, tagli del welfare e aumenti delle tasse. I debiti pubblici denominati in una moneta che i singoli stati non controllano – e che di fatto appare quindi loro come una moneta straniera - forzano i governi ad adottare politiche procicliche. Le economie meno competitive entrano quindi nella spirale della crisi e finiscono per trascinarvi quelle dei paesi cosiddetti “virtuosi”. L’euro, invece di spingere verso la convergenza tra i 18 membri dell’Eurozona, ne aumenta le divaricazioni e i conflitti.

L’Eurozona, e in particolare i paesi mediterranei, si trovano in una situazione economica pesantissima: stagnano o calano i consumi e diminuiscono gli investimenti privati e pubblici. La BCE cerca di dare ossigeno monetario al sistema ma le banche dei diversi paesi trattengono la liquidità e non offrono sufficiente credito all’economia reale, in particolare alle piccole e medie imprese. Crescono massicciamente la disoccupazione e la precarietà del lavoro. Aumentano le divaricazioni territoriali e sociali. Sembra che l’Europa abbia dimenticato i suoi obiettivi originari di piena occupazione, sviluppo sostenibile e benessere per tutti i cittadini: la priorità dichiarata dagli organi della UE è piuttosto mirata esclusivamente ad aumentare la competitività con politiche di austerità e di “riforme strutturali”. Tuttavia risolvere i problemi di competitività dei paesi deboli attuando riforme strutturali richiede molto tempo e nuove risorse; e l'austerità si mostra ormai chiaramente controproducente. Non a caso i debiti pubblici dei paesi più deboli continuano ad aumentare. Il tentativo di applicare il Fiscal Compact non farebbe che aggravare pesantemente la situazione.

 

La crisi mette a rischio la sopravvivenza stessa di qualsiasi disegno di integrazione. L’economia europea è malata e rischia di infettare l’economia mondiale. Le proposte di mutualizzazione dei debiti (gli eurobond) e creazione di un fondo federale consistente, tale da riequilibrare le crescenti asimmetrie territoriali e sociali, appaiono politicamente impraticabili a causa della ferma opposizione dei paesi del nord Europa. In questo quadro di incertezza e di grave sofferenza sono possibili diversi scenari: la continuazione di una fase prolungata di stagnazione, o peggio di recessione e depressione; la ristrutturazione dei debiti dei paesi dell’Europa mediterranea; la rottura caotica dell’eurozona con l’uscita forzata di uno o più paesi dall’euro e il crollo rovinoso del sistema europeo.

 

In tale contesto, è del tutto improbabile che l’iniziativa del governo italiano di negoziare maggiore flessibilità con Bruxelles e con Berlino sia sufficiente a rilanciare l’economia del nostro paese, perché non affronta la sostanza dei problemi strutturali che affliggono l’eurozona. Oltretutto ne accrescerebbe ulteriormente l’indebitamento. Altri propongono invece l’uscita dalla moneta unica per non subire ulteriormente un sistema monetario fortemente penalizzante; ma passare dall’euro alla lira è assai più problematico che uscire da un sistema di cambi semi-fissi, come era per esempio il Sistema Monetario Europeo. L'uscita unilaterale dall'euro, cioè dalla seconda valuta mondiale di riserva, rischia di produrre traumi economici e geopolitici dalle conseguenze imprevedibili; e, comunque, molti cittadini italiani sono contrari perché temono di vedere svalutati risparmi, stipendi e pensioni.

 

Come uscire allora da questa gravissima crisi che l’Europa si è paradossalmente autoinflitta? È ormai evidente che occorre rivedere radicalmente i trattati costitutivi dell’euro, ma questo richiede volontà politica e tempo. Per affrontare la crisi diventa allora indispensabile che, pur nel contesto dell’euro, ogni stato nazionale assuma urgentemente iniziative autonome e sovrane per rilanciare l’economia e l’occupazione. I governi dei paesi europei, dal momento che sono stati eletti democraticamente (a differenza degli organi esecutivi della UE) per offrire un futuro migliore ai loro cittadini, hanno non solo il diritto ma anche il dovere di difendere gli interessi dei loro elettori e di attuare riforme coraggiose per la prosperità della comunità nazionale. I cittadini si aspettano giustamente che gli organi politici da loro eletti tornino ad operare per lo sviluppo dell'economia nazionale, senza attendere permessi o concessioni da parte di altri paesi e senza subire eccessivi e ingiustificati condizionamenti.

 

La proposta dei Certificati di Credito Fiscale

 

La drammatica crisi economica, occupazionale e sociale ci pone di fronte a una situazione di grave emergenza. Non è possibile procrastinare le soluzioni. Occorrono misure urgenti ed efficaci. A tal fine, la nostra proposta offre un’alternativa concreta e immediatamente fattibile rispetto alle altre soluzioni che ci sembrano assai più problematiche e complesse o del tutto impraticabili.

 

Proponiamo che lo Stato italiano emetta gratuitamente a favore dei lavoratori dipendenti e autonomi, delle imprese e dei disoccupati Certificati di Credito Fiscale ad utilizzo differito, validi cioè a partire dopo due anni dall’emissione, per pagare qualsiasi tipo di impegno finanziario verso la pubblica amministrazione (tasse statali e locali, contributi, multe, etc.). La caratteristica principale dei CCF è che possono garantire immediatamente ai cittadini e alle imprese un forte potere d'acquisto aggiuntivo. Il governo italiano emetterebbe CCF per 90-100 miliardi il primo anno, da incrementare poi nel corso dei due anni successivi in relazione alle dinamiche inflattive e dell'occupazione fino a un massimo di 200 miliardi di emissioni annue. L’assegnazione dei CCF dovrebbe privilegiare quelle imprese che si impegnano ad assunzioni nette di disoccupati, ovvero si impegnano in opere pubbliche urgenti (per il riassetto idrogeologico, il risanamento delle scuole e ambientale, etc.) da avviare immediatamente.

 

La soluzione dei CCF è giuridicamente ineccepibile e difficilmente contestabile in sede UE e da parte dell'autorità monetaria europea: infatti, se è vero che solo la Banca Centrale Europea è l'emittente esclusiva della moneta corrente dell’Eurozona, ogni stato sovrano ha il diritto di offrire legittimamente sconti fiscali, e quindi anche i CCF: lo stato è sovrano in campo fiscale. Inoltre, la BCE ha il monopolio sulla emissione della moneta unica, cioè l’euro, ma non ha il monopolio sulla creazione di strumenti di “quasi moneta”, cioè, per esempio, i depositi bancari, i titoli di stato, etc. Essendo appunto i CCF nuovi strumenti finanziari con natura di “quasi moneta” - ovvero rappresentando una “riserva di valore” e titoli (non di debito) che possono essere trasformati in moneta – essi non possono essere soggetti al monopolio della BCE.

 

Il nuovo strumento creato dallo Stato per ridurre il peso fiscale arriverebbe direttamente e gratuitamente al lavoro e alle aziende senza creare nuovo indebitamento. L’immissione dei CCF nel sistema contrasterebbe l’austerità imposta dalla UE e risolverebbe il problema della carenza di liquidità nel sistema: infatti le banche, sebbene siano state abbondantemente finanziate dalla BCE, investono soprattutto nel mercato finanziario mentre riducono i crediti all’economia reale a causa delle sempre più deboli prospettive di quest’ultima.

 

I CCF sarebbero scambiabili sul mercato finanziario analogamente a qualunque altro titolo emesso dallo Stato; inoltre potrebbero costituire mezzi di pagamento immediato (da usare per esempio mediante carte di credito). I CCF diventerebbero un nuovo prodotto finanziario che lo stato si impegnerebbe a emettere in maniera permanente – anche se in diverse quantità, secondo la congiuntura economica - in modo da creare un clima di fiducia tale da spingere gli operatori economici a spendere la parte preponderante del maggior reddito legato ai CCF in acquisti e consumi, limitando la quota di risparmio e di tesaurizzazione. Così sarà possibile avviare un circolo virtuoso con effetti moltiplicativi positivi: domanda che espande la produzione, quindi l’occupazione, quindi ulteriormente i redditi e la domanda, etc.

 

I vantaggi della nuova quasi-moneta statale

 

L'emissione massiccia di CCF genererebbe nuova domanda in grado di colmare rapidamente l’output gap (la caduta della produzione industriale è stata del 25% rispetto ai livelli pre-crisi). La forte crescita della domanda non aumenterebbe però l’inflazione a livelli eccessivi - anzi, impedirebbe la caduta dell'economia italiana in una situazione di deflazione cronica – grazie al recupero delle risorse produttive (lavoro e capitale) attualmente drammaticamente sottoutilizzate.

 

Per effetto del moltiplicatore del reddito, il calo delle entrate pubbliche legato allo sconto fiscale differito dei CCF verrebbe più che compensato dall’aumento dei ricavi fiscali prodotto dal forte recupero del PIL. È infatti ovvio che, nella situazione attuale di grave compressione delle risorse produttive e tassi di interesse prossimi allo zero, il moltiplicatore sarebbe senz'altro maggiore di uno*. Il PIL e l'occupazione crescerebbero quindi velocemente. L'aumento dell'occupazione avrebbe un valore enorme sia sul piano sociale che su quello economico, perché un'economia sana è un'economia di piena occupazione.

 

I deficit e il debito pubblico diventerebbero più facilmente sostenibili, con beneficio per i creditori nazionali e internazionali. Inoltre la quota di CCF immessa a favore delle aziende in quantità commisurate ai costi di lavoro da esse sostenute rappresenterebbe una significativa riduzione dei loro costi di produzione. Si replicherebbero così gli effetti positivi di un riallineamento valutario (svalutazione), evitando però che l’espansione della domanda interna produca squilibri nei saldi commerciali con l'estero: infatti l'aumento delle importazioni sarebbe bilanciato da una crescita delle esportazioni derivato dalla diminuzione del costo del lavoro e dall'aumento conseguente di competitività.

 

A puro titolo di esempio, si supponga di assegnare gratuitamente, in parte dal primo gennaio 2015 e in parte nel 2016 e 2017, circa 70 miliardi di CCF ai lavoratori sia dipendenti che autonomi in funzione inversa del loro livello di reddito, così da stimolare la spesa per il consumo (in questo modo si otterrebbero tra l'altro effetti di redistribuzione dei redditi nel senso della maggiore equità); e di assegnare circa 80 miliardi ai datori di lavoro del sistema privato. Quest’ultimo importo abbatte del 18% circa il costo del lavoro, una percentuale equivalente alla differenza di competitività dell’economia italiana nei confronti della Germania. Altri 50 miliardi circa di CCF dovrebbero essere utilizzati per finanziare iniziative pubbliche, per esempio per assicurare forme di reddito garantito, per sostenere iniziative ambientali (energie rinnovabili) e infrastrutturali, per l'occupazione giovanile e femminile, per la formazione, per l'imprenditoria al Sud, per erogare reddito alle donne occupate nelle attività di cura famigliare, etc. L'idea è di privilegiare progetti mirati, realistici e di rapida attuazione soprattutto per quanto riguarda gli interventi di prevenzione dei disastri e riparazione dei danni ambientali a livello locale. Solo per fare un esempio: nel caso dell'alluvione di Genova potrebbero essere stanziati 300 milioni di CCF (il governo ne sta offrendo 12) da destinare alle imprese per le opere di risanamento idrogeologico.

 

Le stime preliminari portano a ipotizzare che il programma CCF potrebbe partire con l'emissione di 90-100 miliardi nel 2015 che produrrebbero un primo rilevante impatto di crescita su PIL e occupazione. Il livello massimo di 200 miliardi potrebbe essere gradualmente raggiunto tra il 2016 e il 2017, e poi stabilizzarsi. A regime, si avranno quindi 200 miliardi di CCF emessi ogni anno, e quindi - considerando il differimento dei due anni - un valore costante in circolazione di 400 miliardi a fronte di entrate totali annuali della pubblica amministrazione di circa 800.

 

Ipotizzando un moltiplicatore del reddito di 1,3*, è prevedibile un recupero di PIL del 15% circa in tre anni, una caduta della disoccupazione di almeno cinque punti, e saldi commerciali esteri che rimangono in sostanziale equilibrio. Il deficit pubblico, inteso come differenza tra incassi e pagamenti dello Stato italiano da corrispondersi in euro, verrebbe portato in pareggio fin dal primo anno di avvio della riforma. E il debito pubblico cadrebbe in rapporto al PIL.

 

Uscire dalla trappola del debito con i titoli di stato a valenza fiscale

 

I CCF permettono all’economia italiana di uscire dalla “trappola della liquidità”. Ma è anche necessario uscire rapidamente dalla “trappola del debito pubblico”.

 

Dagli anni Ottanta, l’Italia si è finanziata sul mercato, pagando alti tassi di interessi reali per sostenere gli agganci allo SME nelle sue varie forme e poi per preparare l’ingresso nell’euro. Il cumulo di interessi corrisposti sul debito pubblico ha superato, a valori odierni, i 3.000 miliardi di euro. Gran parte del debito pubblico è stata assorbita da investitori istituzionali nazionali ed esteri attratti da rendimenti particolarmente elevati; tuttavia, il peso del debito pubblico grava sui cittadini e sulle imprese che devono sopportare una pressione fiscale pari ormai al 57% del PIL “non sommerso”, un livello intollerabile e insostenibile. Occorre quindi diminuire il peso del fisco. Ma questo non deve avvenire a fronte di tagli indiscriminati delle spese per il welfare (da riqualificare, ma non da ridurre in valore assoluto), non solo per ragioni sociali e politiche ma anche perché la spesa pubblica italiana in rapporto al PIL è già complessivamente inferiore alla media UE. La strada corretta è quindi di ridurre il debito e gli interessi pagati sul debito.

 

Al riguardo, un grave ostacolo è costituito dal fatto che il debito pubblico, denominato in una moneta che lo Stato italiano non emette e non controlla, lo espone a pagare tassi d’interessi reali elevati e a subire l’iniziativa speculativa degli investitori soprattutto esteri, i più pronti a vendere o a richiedere interessi elevati nelle fasi di congiuntura negativa. Il debito pubblico in euro deve quindi essere ridotto rapidamente e, per quanto possibile, deve anche essere nazionalizzato.

 

In aggiunta ai benefici prodotti dalla ripresa economica che l’introduzione dei CCF innescherà, è quindi opportuno – via via che il debito in essere giunge a scadenza – rifinanziarlo emettendo, nella maggior misura possibile, “BTP fiscali”: titoli che (come i CCF) non verranno rimborsati in euro, con un premio per gli investitori, ma saranno utilizzati alla scadenza per pagare il fisco. Lo stato italiano e il benessere dei cittadini italiani devono dipendere il meno possibile dagli umori della speculazione internazionale.

 

Per evitare il rischio di una reazione negativa del mercato di fronte all'emissione dei CCF, e quindi una riduzione di prezzo dei BTP, specialmente sulle scadenze lunghe, lo Stato potrebbe introdurre  i CCF  lanciando contestualmente un'offerta pubblica di scambio sui titoli di Stato. Ciò consentirebbe di convertire ogni titolo di stato in un BTP fiscale con una scadenza più lunga (per es. di tre anni) e una cedola maggiorata (per es. del 2% annuo rispetto all'attuale).

 

La possibilità di conversione potrebbe rimanere aperta per tutta la durata residua dei titoli permettendo di raggiungere due obiettivi: 1. evitare forti cadute del valore dei BTP in caso di turbolenze di mercato; 2. accelerare il processo di riduzione del debito pubblico "vero" (quello da pagare in euro), trasformandolo in una forma di "moneta fiscale differita nazionale". Si tratterebbe di un processo di "nazionalizzazione" del debito che permetterebbe di ridurre notevolmente il rischio dei default dello Stato italiano.

 

Siamo convinti che i BTP fiscali saranno senz’altro appetibili via via che l’offerta di titoli di Stato tradizionali diminuisce. Gli operatori istituzionali italiani, hanno infatti bisogno di uno strumento “domestico” di gestione della propria liquidità, anche in ragione del fatto che si ridurrà l'offerta di titoli di Stato tradizionali e che enti come banche e assicurazioni hanno forte necessità di uno strumento "domestico" di gestione della propria liquidità (non solo per pagare le imposte in nome proprio, ma nella loro veste di sostituti d'imposta per i versamenti delle imposte sul reddito a carico dei dipendenti, dei contributi sanitari e pensionistici, etc.).

Conclusioni

 

La manovra che abbiamo illustrato, basata sull'emissione di CCF e di BTP fiscali, in linea di principio non comporta rischi di default per lo stato emittente che si impegna ad accettarli ma non a rimborsarli.

 

L’introduzione dei CCF realizza obiettivi di rilancio della domanda e dell'occupazione. Inoltre, le azioni di sostegno della domanda consentono di recuperare PIL e occupazione in misura più che proporzionale (in quando stimolano una catena di effetti indotti positivi - la maggior domanda spinge a produrre di più, le aziende riprendono ad assumere, l'occupazione e i consumi crescono ulteriormente, eccetera). Questo produce maggior gettito fiscale che, grazie anche al differimento di due anni nell'utilizzo dei CCF per effettuare pagamenti verso lo Stato, mantiene in equilibrio il saldo tra spese e incassi statali in euro. A loro volta, i BTP fiscali accelerano la riduzione del rapporto tra il debito pubblico italiano "vero" - quello da rimborsare in euro - e il PIL.

 

Si apre in questo modo anche la possibilità di ridurre rapidamente, per esempio fino al 60%, il rapporto tra il debito pubblico italiano “vero” - quello da rimborsare in euro - e il PIL. Potrebbe così diventare possibile realizzare gli obiettivi di stabilità finanziaria previsti dal Fiscal Compact, che diversamente non avrebbero nessuna possibilità di essere raggiunti. L'attuazione di manovre restrittive condanna infatti l’economia italiana a condizioni di stagnazione e depressione permanenti e impedisce il contenimento del debito pubblico in rapporto al PIL (e tende anzi ad innalzarlo, com’è avvenuto dall’inizio della crisi in poi).

 

Riteniamo che il progetto di creare quasi-moneta con valenza fiscale da parte dello stato possa e debba essere esteso ad altri paesi dell’Eurozona, e che possa rappresentare una strada praticabile per uscire dalla depressione economica.

L'Italia può uscire dal tunnel della recessione e del debito autonomamente e con le sue sole forze, senza richiedere ai paesi più competitivi di rivalutare prezzi e salari interni, di peggiorare i loro saldi commerciali o di trasferire risorse finanziarie verso i paesi in difficoltà.

 

Nonostante le difficoltà, le incomprensioni e i contrasti che la nostra proposta incontrerà indubbiamente, anche per la sua innovatività, riteniamo che rappresenti la possibilità concreta di uscire dalla drammatica situazione attuale tentando di evitare soluzioni e condizioni traumatiche che potrebbero infliggere gravi perdite ai risparmiatori, al lavoro, alle imprese e, per molti aspetti, alle stesse istituzioni finanziarie.

 

Crediamo che questa possa essere la strada per creare le migliori condizioni  affinché l'Europa riesca a uscire dall’attuale gravissima crisi e a gettare le basi di un diverso sistema monetario che sia finalmente stabile, sostenibile e foriero di sviluppo e di piena occupazione.

 

 

* Nota esplicativa sul Moltiplicatore del Reddito

 

Studi recenti (alcuni dei quali riportati qui in calce) forniscono un ventaglio assai ampio di stime circa il valore del moltiplicatore fiscale. La nostra proposta si fonda essenzialmente sulla previsione che il moltiplicatore del reddito assuma valore maggiore di 1. Più precisamente, in maniera prudente e conservativa, in base alle considerazioni indicate di seguito, abbiamo ipotizzato il valore di 1,3. Ci sono diversi motivi per i quali la nostra ipotesi può ritenersi fondata e affidabile:

·        Lo stimolo alla domanda determinata dall’immissione di CCF sarebbe intensa e persistente. Si attenuerebbe solo allorché si osservasse una risposta robusta del prodotto e dell’occupazione

·        L’assegnazione di CCF avverrebbe soprattutto a favore di soggetti che hanno una maggiore propensione al consumo

·        I tassi di interesse sono bassi e tali prevedibilmente resteranno grazie alla politica monetaria accomodante della BCE

·        La dispersione della domanda verso l’estero attraverso maggiori importazioni sarebbe compensata dalla crescita dell’export resa possibile dal forte recupero di competitività conseguente all’ampio taglio del costo del lavoro

·        L’eventuale effetto negativo (sul moltiplicatore) che il varo della manovra proposta potrebbe avere attraverso un rincaro dello spread sul debito pubblico sarebbe neutralizzato dall’emissione di BTP a valenza fiscale, che stabilizzerebbe il corso dei titoli debito.

_______________________________

 

Auerbach A and Y Gorodnichenko, Measuring the Output Responses to Fiscal Policies, American Economic Journal, 2012

Blanchard O and D Leigh, Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers, IMF, January 2013

Eggertsson G and P Krugman, Debt, Deleveraging and the Liquidity Trap, Quarterly Journal of Economica, 2012 Eichengreen B and K H O’Rourke, Gauging the Multiplier: Lessons from History, VoxEu, 23 October 2012

Locarno A, A Notarpietro and M Pisani, Sovereign Risk, Monetary Policy and Fiscal Multipliers: A Structural Model-Based Assessment, Temi di discussione N. 943, Banca d’Italia, Novembre 2013

venerdì 7 novembre 2014

Mai dimenticare queste parole


John Maynard Keynes


The Conservative belief that there is some law of nature that prevents men from being employed, that is “rash” to employ men, and that is financially “sound” to maintain a tenth of population in idleness for an indefinite period, is crazily improbable – the sort of thing which no man could believe who had not his head fuddled with nonsense for years and years… Our main task, therefore, will be to confirm the reader’s instinct that what seems sensible is sensible, and what seems nonsense is nonsense. We shall try to show him that the conclusion, that if new forms of employment are offered more men will be employed, is as obvious as it sounds and contains no hidden snags; that to set unemployed men to work on useful tasks does what it appears to do, namely, increase the national wealth; and that the notion, that we shall, for intricate reasons, ruin ourselves financially if we use this means to increase our well-being, is what it looks like – a bogy.


“Can Lloyd George do it ? An Examination of the Liberal Pledge”, 1929.




La convinzione dei Conservatori, che esista una qualche legge di natura che impedisce alle persone di avere un’occupazione, che è “avventato” impiegarle, e che è finanziariamente “sano” mantenere un decimo della popolazione inattiva per un periodo indefinito, è pazzamente improbabile – il tipo di cosa a cui nessuno la cui testa non sia stata confusa con assurdità per anni e anni potrebbe credere… Il nostro compito principale, quindi, sarà di confermare la sensazione istintiva del lettore, che quello che appare sensato è sensato, e che quello che appare assurdo è assurdo. Ci sforzeremo di mostrargli che la conclusione che se nuove forme di impiego sono offerte più persone saranno impiegate, è ovvia così come suona e che non contiene nessun imprevisto nascosto; che mettere persone disoccupate al lavoro per compiti utili ottiene quello che appare ottenere, cioè accrescere la ricchezza nazionale; e che la nozione che finiremmo, per complesse ragioni, per rovinarci finanziariamente utilizzando questi mezzi per accrescere il nostro benessere, è quello che appare – uno spauracchio privo di sostanza.

domenica 2 novembre 2014

Alcune considerazioni sul moltiplicatore fiscale


Uno dei presupposti della Riforma Morbida è l’esistenza di un moltiplicatore fiscale superiore a 1. In altri termini, i CCF emessi rappresentano un’azione di stimolo della domanda. Se questa si traduce in un’espansione più che proporzionale del PIL, al momento in cui i CCF saranno utilizzati per saldare obbligazioni finanziarie nei confronti dello stato emittente (due anni dopo le assegnazioni, nella proposta attuale) le maggiori entrate fiscali prodotte dalla ripresa compenseranno l’utilizzo dei CCF ed eviteranno che deficit e debito pubblico si incrementino rispetto al PIL. Diversamente, si verificherebbe un peggioramento dei parametri di finanza pubblica.

Sull’argomento, è stato ampiamente citato, dal momento della sua pubblicazione (gennaio 2013) in poi, l’articolo di Olivier Blanchard e Daniel Leigh, entrambi del Fondo Monetario Internazionale (Blanchard ne è il capo economista), dal titolo “Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers”.

Significativi sono i seguenti passaggi, tratti dall’introduzione dell’articolo.

“All’inizio del 2010… vari piani pluriennali di consolidamento fiscale, di ampie dimensioni, sono stati intrapresi, particolarmente in Europa… A causa dell’impossibilità di portare sotto zero i tassi d’interesse nominali (… situazione altrimenti nota come “trappola della liquidità”…) è risultata impossibile un’azione delle banche centrali per compensare gli effetti negativi di breve termine del consolidamento fiscale sull’attività economica. In secondo luogo, la riduzione della produzione e del reddito, abbinata a un sistema finanziario scarsamente funzionante, implica che il consumo possa dipendere più dal reddito corrente che da quello futuro, e che gli investimenti possano dipendere più dagli utili attuali che da quelli futuri, condizioni che entrambi portano i moltiplicatori ad assumere dimensioni elevate (Eggertsson e Krugman, 2012). In terzo luogo… vari studi empirici hanno riscontrato che i moltiplicatori fiscali sono probabilmente maggiori quando nell’economia esiste un alto livello di capacità inutilizzata. Sulla base di dati statunitensi, Auerbach e Gorodnichenko (2012b) hanno constatato che i moltiplicatori fiscali associati alla spesa pubblica possono fluttuare tra valori prossimi a zero in tempi normali fino a circa 2,5 in periodi di recessione”.

Quanto sopra mette in luce varie delle ragioni per le quali l’azione di consolidamento fiscale attuata, soprattutto da metà 2011 in poi, nell’Eurozona, è risultata controproducente, non solo per quanto attiene a PIL e occupazione ma anche rispetto agli obiettivi di finanza pubblica che ci si proponeva di conseguire. Ma fa anche capire che esistono, oggi, condizioni che appaiono altamente appropriate affinché l’azione espansiva contemplata nel progetto CCF possa generare moltiplicatori superiori a 1: l’ipotesi di 1,3 su cui ci si è basati per formulare le previsioni macroeconomiche sottostanti alla proposta appare, in effetti, prudenziale.

Alcune condizioni essenziali (previste, peraltro, nel progetto CCF) per confermare tutto ciò sono le seguenti:

PRIMO, l’azione espansiva – in termini di riduzione del carico fiscale per cittadini e aziende e, in misura minore, di ampliamento di spesa sociale e di investimenti pubblici – deve essere presentata come permanente, in modo da creare il clima di fiducia che spingerà gli operatori economici a spendere (e non a risparmiare) la parte preponderante del maggior reddito ottenuto per mezzo dei CCF assegnati, avviando quindi una catena di effetti positivi (domanda che espande la produzione, quindi l’occupazione, quindi, ulteriormente, i redditi, eccetera).

SECONDO, una parte dell’azione espansiva deve andare alle aziende per ridurre i loro costi di produzione, in particolare i costi di lavoro lordi (a parità di retribuzione netta). Questo evita che il recupero della domanda porti a uno squilibrio nei saldi commerciali esteri e limiti l’espansione di produzione e occupazione domestica.

Un fattore fondamentale che giustifica la valenza dell’azione espansiva prevista nel progetto CCF è proprio l’attuale esistenza, in Italia (e in tutti i paesi dell’Eurozona mediterranea) di un livello molto alto di disoccupazione e di sottoutilizzo della capacità produttiva delle aziende, come risultato della crisi iniziata nel 2008 con il fallimento Lehman Brothers e aggravatasi (soprattutto da metà 2011) in poi con l’accelerazione delle politiche di austerità fiscale.

In questa situazione, esiste un alto livello di domanda insoddisfatta, da un lato, e di offerta in grado di soddisfarla, dall’altro. Il fattore necessario e sufficiente a far ripartire produzione e occupazione, senza effetti negativi sull’inflazione, è la disponibilità per cittadini e aziende, in dimensioni significative e su base permanente, di maggior potere d’acquisto.

 

Olivier Blanchard - Daniel Leigh
“Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers”
IMF, Gennaio 2013
 
Alan Auerbach – Yuriy Gorodnichenko
“Measuring the Output Responses to Fiscal Policies”
American Economic Journal, 2012
 
Gauti Eggertsson – Paul Krugman
“Debt, Deleveraging and the Liquidity Trap”
Quarterly Journal of Economica, 2012

sabato 1 novembre 2014

Dichiarazione unilaterale di avvio della Riforma Morbida


Spesso mi viene obiettato che non è realistico avviare la Riforma Morbida “di nascosto” da BCE, UE e partner dell’Eurozona (Germania in particolare).

Il punto è che non si sta proponendo di nascondere nulla. Non è necessario, né utile. Il governo italiano (o di qualsiasi altra nazione che adotta la Riforma Morbida) dovrebbe semplicemente rilasciare un comunicato che dica all’incirca quanto segue.

UNO: Inizieremo l’assegnazione di CCF, secondo i principi contemplati dalla Riforma Morbida.

DUE: Il Ministero dell’Economia inizierà inoltre ad emettere BTP fiscali (titoli di stato che, come i CCF, non sono da rimborsare in euro, bensì i cui interessi e capitale di rimborso sono utilizzabili per saldare tasse e altre obbligazioni finanziarie verso la pubblica amministrazione).

TRE: Ai possessori di titoli di stato “tradizionali” (quelli attualmente in essere, da rimborsare in euro) verrà offerta la possibilità di convertirli, su base volontaria e in qualsiasi momento fino alla loro scadenza, in BTP fiscali con scadenze più lunghe e tassi d’interesse più alti (per esempio tre anni in più con una maggiorazione di rendimento del 2%). Questo limita fortemente la possibilità di attacchi speculativi sui titoli di stato attualmente in circolazione, in quanto l’opzione di conversione in BTP fiscali (con un valore garantito dal fatto di poterli utilizzare per onorare impegni finanziari verso lo stato) crea di fatto una soglia minima di valore.

QUATTRO: L’assegnazione di CCF integrerà la capacità d’acquisto di cittadini ed aziende e ridurrà i costi di produzione di queste ultime, ottenendo l’obiettivo di (i) produrre una rapida ripresa di produzione e occupazione.

CINQUE: (ii) Mantenere in equilibrio i saldi commerciali esteri, facendo sì che l’accresciuta competitività delle aziende, quindi le maggiori esportazioni nette, compensi la crescita delle importazioni di materie prime ed altri beni causata dalla ripresa economica.

SEI: (iii) Innalzare il livello di inflazione, attualmente troppo basso, e in seguito stabilizzarlo intorno al livello obiettivo del 2%, tenuto conto anche della politica monetaria sviluppata dalla BCE.

SETTE: Fermi restando gli obiettivi sopra menzionati, l’emissione di CCF e di BTP fiscali permetterà di raggiungere le finalità per le quali i trattati che regolano l’eurosistema, e in particolare il Fiscal Compact, sono stati concepiti, ovvero ridurre tendenzialmente a zero il saldo tra incassi e spese della pubblica amministrazione da corrispondersi in euro e ridurre il rapporto tra debito pubblico da rimborsarsi in euro e PIL.

OTTO: I CCF e i BTP fiscali, peraltro, non danno luogo a obbligazioni di rimborso in euro per lo stato emittente, e quindi non incidono sul deficit pubblico e sul debito pubblico come descritti al punto precedente.

NOVE: In tal modo diventa possibile ottenere gli obiettivi di stabilità finanziaria che i trattati che regolano l’eurosistema si prefiggono di ottenere, ma che sono aritmeticamente impossibili da conseguire nella situazione odierna. Tentare di ridurre deficit e debiti pubblici in un contesto di domanda depressa riduce occupazione e PIL, e vanifica gli obiettivi di finanza pubblica che i trattati si prefiggono.

DIECI: Gli obiettivi dei trattati diventano invece realizzabili se gli stati membri dell’Eurozona hanno a disposizione strumenti, quali i CCF e i BTP fiscali, che permettano di incrementare domanda e occupazione senza emettere (anzi riducendo le emissioni di) strumenti di debito destinati essere rimborsati in euro.