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mercoledì 17 aprile 2019

La proposta Mosler


Ho moltissima stima per Warren Mosler, che considero un economista di grandi competenze e originalità di pensiero. L’idea dei CCF, del resto, mi è stata ispirata dai tax-backed bonds (noti appunto anche come Mosler bonds) proposti da lui e da Philip Pilkington, oltre che dai MEFO bills di Hjalmar Schacht.

La proposta Mosler per reintrodurre la lira in Italia mi lascia però perplesso. Può darsi benissimo che io non l’abbia perfettamente compresa (e se è così ringrazio in anticipo chi mi farà notare eventuali discordanze tra il seguito di questo articolo e le affermazioni di Mosler, che sinceramente a volte trovo sintetiche all’eccesso – degli schizzi molto interessanti ma un po’ carenti nell’elaborazione dei dettagli – magari è un mio limite).

Per quello che ho compreso io, Mosler propone di:

UNO, convertire tutta la spesa pubblica italiana da euro a lire.

DUE, dichiarare che le tasse e qualsiasi altra forma di obbligazione finanziaria nei confronti del settore pubblico dovranno essere pagate in lire.

I depositi bancari resteranno invece in euro, e non si verificherà alcuna conversione di crediti, debiti, valuta di denominazione dei contratti eccetera: resterà tutto in euro.

Secondo Mosler, dato che tutti i residenti italiani avranno bisogno di lire per pagare le tasse, ci sarà una forte domanda di lire che eviterà svalutazioni della lira nei confronti dell’euro.

Se questo è vero, i soggetti che ricevono lire e non più euro a fronte delle varie voci di esborso del settore pubblico – dipendenti pubblici, pensionati, fornitori della pubblica amministrazione, possessori di Stato, eccetera – non subiranno penalizzazioni. Riceveranno lire ma la lira sarà convertibile in euro pressoché alla pari.

La mia perplessità riguarda soprattutto quest’ultimo punto. Come facciamo a essere certi di un rapporto di cambio pressoché alla pari ? è vero che i residenti italiani dovranno procurarsi lire per pagare le tasse, ma è anche vero che lo Stato italiano immetterà una quantità ancora superiore di lire a fronte della spesa pubblica (precedentemente effettuata in euro). La quantità sarà superiore perché esiste un deficit pubblico, che tra l’altro ci si propone di aumentare per rilanciare la domanda, l’occupazione e il PIL.

La lira di Mosler è in effetti, in questo schema, una forma di Moneta Fiscale, utilizzabile fin da subito per pagare tasse (e non con un differimento di due anni, come nel caso dei CCF). Ma se ne immette immediatamente una quantità enorme, vicina a 1.000 miliardi: non 30 il primo anno da incrementare gradualmente fino a circa 100 (che è quanto ipotizzato dal progetto CCF).

Il rapporto di cambio lira – euro alla pari nel caso della proposta Mosler mi sembra quindi tutt’altro che certo.

E comunque si verifica una conversione forzata di ogni voce di spesa pubblica, imponendo la ridenominazione di tutti i contratti in essere.

Nel caso dei CCF, al contrario, la proposta è di immettere una quantità molto inferiore e molto più gradualmente, e di non ridenominare nulla. Tutto quello che si pagava in euro continua a essere pagato in euro. Si immette maggior potere d’acquisto sotto forma di CCF, senza alcuna conversione.

Anch’io e gli altri membri del Gruppo Moneta Fiscale pensiamo che il rapporto di cambio tra CCF ed euro non si discosterà molto dalla parità, salvo qualche punto percentuale per tener conto del differimento di utilizzabilità. Non ci saranno grossi scostamenti perché entro un periodo di tempo abbastanza breve gli impegni fiscali potranno essere onorati indifferentemente in euro o in CCF, e perché la quantità di CCF immessa sarà sempre e comunque una frazione degli impegni di pagamento verso la pubblica amministrazione.

Ma in ogni caso, se anche l’effetto di discount del CCF verso l’euro fosse superiore al previsto (magari inizialmente, per via dell’effetto novità), se fosse per esempio il 10%, cambierebbe poco per quanto riguarda l’efficacia del progetto. Sarebbero comunque soldi in più, potere d’acquisto supplementare che entra nell’economia.

Per queste ragioni il progetto CCF mi pare molto più efficace e sicuro negli effetti del progetto Mosler. Se non mi sfugge qualcosa, ovviamente.


domenica 16 novembre 2014

Solving the economic depression in the eurozone by issuing “quasi” monies


By

Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini

 

We propose that the governments of the crisis-hit countries of the Eurozone stimulate internal demand by issuing and allocating Tax Credit Certificates (TCC) and Tax-Backed Bonds (TBB) to be used as quasi monies. As state-issued monetary instruments, these bonds and certificates would be complementary to the euro and add to the domestic spending power without generating new debt. Our proposal is consistent with the existing rules and limitations under the Eurosystem and European institutions.

 

The crisis of the Eurosystem

 

Even prior to the creation of the euro, several highly reputed economists had noted that a European single currency for economies featuring different competitiveness, productivity levels, and inflation dynamics would hardly serve as an engine of growth for all countries in the area in the absence of strong policy cooperation at the European level. Regrettably, their predictions have become reality.

 

The single currency system divides the European countries, rather than linking them together. Since the breakout of the global financial crisis in 2007-08, the single currency has acted more as a brake to the growth of the Eurozone and its individual member countries than as a catalyst for regional development. With a fixed exchange rate, and absent a regional fiscal policy as well as other adjustment mechanisms capable to absorb idiosyncratic shocks, the single currency has proved inadequate to match the growth needs of each member country. Intra-regional trade and financial imbalances and high and still rising public debt have been the necessary consequences.

 

Due to the intrinsic rigidities of the single currency, creditor countries – especially Germany – defend the adoption of contractionary policies by debtor countries such as Italy, France and Spain as well as other countries of Southern Europe. In order to ensure full recovery of their credits, the former have imposed austerity measures on the latter, including drastic labor cost cuts, severe reductions of welfare entitlements, and punitive tax hikes. Public debts denominated in a currency that individual countries do not control autonomously – and which de facto represents a foreign currency for them – force governments to undertake pro-cyclical policies. And the economies that are less competitive enter a crisis spiral, inevitably dragging along the so-called “virtuous” countries as well. Instead of facilitating convergence among the 18 Eurozone members, the euro exacerbates their differences and exasperates the reasons for conflict.

 

The Eurozone, and especially the Mediterranean countries, find themselves in a dramatic situation: either their economies stagnate or, worse, they fall into depression as consumption and investment (both public and private) progressively shrink. The ECB tries to give oxygen to the monetary system, yet banks throughout the area hold liquidity and refrain from lending it to the economy, most notably small and medium size enterprises. Unemployment and job precariousness grow spectacularly as a result, and territorial and social disparities widen.

 

It seems like Europe has forgotten its founding objectives of full employment, sustainable development, and well being for all its citizens: rather, the official priority of the EU institutions aims exclusively at improving the external competitiveness of each country via austerity measures and “structural reforms”. However, addressing competitiveness through structural reforms takes long and requires resources. Also, austerity has proven to be a total failing and has run even counter to the very objectives it was intended to pursue: it is not just a coincidence that, under austerity, public debts in the most vulnerable economies have kept growing bigger. The attempt to apply the Fiscal Compact, with additional doses of fiscal adjustment every year for many years to come, would make things even worse.

 

The crisis is jeopardizing the survival of any integration design. The European economy is sick and risks to infect the world economy. Proposals to mutualize debts (through the so called “Eurobonds”) or to create a federal fund to alleviate the social costs of the crisis appear to be politically unfeasible, due to the firm opposition from Northern European countries. In such a bleak context, different scenarios are possible: the continuation of a prolonged phase of stagnation or even recession and depression; the restructuring of the debts of the Mediterranean countries; or the disorderly breakup of the Eurozone, with some countries being forced to exit the monetary union and the ruinous fall of the Eurosystem following suit.

 

Given the circumstances, it is highly unlikely that negotiating wider margins of fiscal flexibility with Brussels and Berlin would be sufficient for the crisis-hit countries to revamp domestic demand, since this would not address the real issues affecting the Eurozone. Besides, for countries like Italy, greater flexibility, even if granted, would imply even larger levels of indebtedness.

 

A number of economists propose abandoning the single currency as a way for crisis-hit economies to avoid being further subjected to penalizing conditions. Yet returning from the euro to domestic currencies would be far more problematic than exiting a semi-fixed exchange rate system (such as the old European Monetary System). A disorderly breakup of the euro – the second world reserve currency – would likely produce economic and geopolitical shocks of incalculable consequences.

 

How then to resolve such an ominous crisis that Europe has inflicted upon herself? It is by now clear that the founding treaties of the Eurosystem will have to be revised radically, but this requires political will and time, neither of which is currently available. Facing the crisis requires that, even within the context of the euro, every national state urgently take sovereign initiatives to revitalize domestic demand, output and employment. Unlike the unelected EU executive bodies, the democratically elected governments of the European countries have the right and the obligation to make the future of their citizens a better one and to implement courageous reforms to preserve the prosperity of their national communities. Citizens rightly expect their elected governments to enact growth-enhancing nationally-oriented policy measures without being imposed excessive and unjustifiable constraints by other countries and without asking for concessions.

 

 

The Tax Credit Certificate Proposal

 

Urgent and effective measures are necessary. Our proposal features a feasible alternative option to other solutions that appear to be more complex and less practicable.

 

We propose that the crisis-hit countries of the Eurozone issue deferred Tax Credit Certificates and allocate them at no charge to employed, self-employed and unemployed workers as well as to enterprises. After two years from their issuance, the TCC would be used to pay all financial obligations to public administrations (taxes, social contributions, fines, etc.). Governments would issue TCC in the order of 5% of GDP for the first year and would increase their issuance in subsequent years, if necessary, up to an annual ceiling of 10% of GDP and until recovery in output and employment is observed.

 

The TCC solution is legally sound and uncontestable at the EU level and from the European monetary authorities: while the ECB is the exclusive issuer of the euro, each sovereign state retains the legal right to offer fiscal rebates, such as the TCC. Moreover, while the ECB has the monopoly over the single currency, it does not exercise control over the creation of “quasi” money instruments (such as, for instance bank deposits, government bonds, etc.). As the TCC is a financial instrument with a “quasi” monetary nature (it is a non-debt store of value that can be transformed into legal tender), it would not be subject to the ECB monopoly.

 

The new instrument issued by the state for the purpose of lowering the fiscal burden would directly flow into the pockets of people without raising new debt. TCC issuance would counteract the austerity imposed by the EU and resolve the liquidity scarcity problem that is currently affecting the economy of the weakest countries in the Eurozone, which the banking system has proven unable to address: while largely refinanced by the ECB, banks have mostly invested the new funds available in financial assets while continuing to limit the extension of credit to the real economy.

 

Based on its nature of legal tender to settle obligations to the state, the TCC would be exchanged for euros in the financial market similarly to any zero-coupon government bond. It could also be accepted as a means of payment (to be used, for instance, in combination with credit or debit cards). The TCC would become a new financial product, which the state would commit to issuing on a permanent basis. Additional amounts of TCC issues would vary over time depending on the economy’s response. This would contribute to improving expectations and would induce people to consume a large share of their TCC-generated income. A virtuous circle would emerge with multiplier effects on demand and output.

 

The advantages of the new quasi-money

 

Large and persistent allocations of TCC would stimulate demand and help close the output gap, while having a limited effect on inflation and yet countering the risk of chronic deflation and reducing public debt burdens.

 

As a result of the income multiplier effect, the fiscal revenue shortfalls caused by the TCC deferred tax rebates would be offset by the increased fiscal revenues driven by GDP growth. In fact, with the current real resource slack and interest rates close to zero, the income multiplier would be greater than one*. GDP and employment would grow rapidly.

 

As a consequence of revived growth, state budget deficits would be reduced and public debts would become better sustainable. Moreover, the share of TCC allocated to enterprises in proportion to their labor cost would drastically lower production costs. This would replicate the effects of currency devaluation: it would trigger export growth and offset the impact that the resumption of GDP growth would have on the trade balance via larger imports.

 

Taking Italy as an example, assume that over 2015-16 a TCC issue of €70bn is allocated to employees in inverse proportion to their taxable income, and that €80bn are similarly allocated to private-sector employers. The latter allocation would cut labor cost by 18%, broadly equivalent to Italy’s competitiveness gap vis-à-vis Germany. Some additional €50bn TCC could be used further stimulate demand, for instance, through new public investment, guaranteed income schemes, support to private-sector initiatives in depressed areas, and the like. The idea would be to give preference to easy-to-implement social utility projects.  

 

At operating speed, an annual issuance of €200bn could be effected, which would bring the stock of circulating TCC to €400bn (taking into account the annual reflow of deferred TCC used to pay taxes). This amount would compare to Italy’s total fiscal revenues of €800bn. Assuming an income multiplier of 1.3*, GDP would recover by 15% over three years, with a 5-point drop in unemployment, and the trade balance holding in substantial equilibrium. The public deficit – defined as the difference between fiscal revenues and expenditures in euros – would be reduced to zero already from end-2015, and public debt would start falling in percent of GDP.

 

Exiting the debt trap with the Tax-Backed Bonds

 

While the TCC would allow an economy to exit the “liquidity trap”, largely indebted countries also need to escape the “debt trap”. From the 1980s onwards, and certainly in preparation for the entry in the monetary union, central banks in many European countries have stopped issuing money to purchase public debt obligations in the primary market. Public deficits could only be covered through new debt issuances, and interest rates started to rise as a result. Attracted by high returns, institutional investors absorbed an increasing share of the new debts. Eventually, the corresponding debt burdens subjected taxpayers to increasing levels of fiscal pressure, which in some cases has become unsustainable. Reducing such pressure is now a priority, but this should not be achieved at the expense of social welfare, especially where this is already lower than EU average. The objective must be one of reducing the outstanding debt and the interest payments on it.

 

In this regard, a major obstacle is that public debts in largely indebted Eurozone countries are denominated in a currency that the individual countries neither issue nor control. This exposes them to high real rates of interest and to speculative behavior from investors, especially international ones, who are most reactive to negative outlooks and ready to download their debt holdings or to demand higher premia. The public debts denominated in euro must thus be reduced rapidly and, where feasible, they should be “nationalized”.

 

To this purpose, in addition to introducing TCC, governments should refinance their maturing debt obligations with Tax-Backed Bonds (TBB), which (like the TCC) would not be reimbursed at maturity with euro but would be accepted by the state for tax payments.    In practice, a public debt-swap offer could be launched at the same time that TCC are issued whereby every government bond  would be exchanged for a TBB carrying a longer maturity and a premium on the original bond’s interest rate. The debt-swap option would remain open for all the residual life of the outstanding public debt. The premium on rates is intended to cause a large proportion of the existing debt to be tendered, notwithstanding the longer maturity. It should be noticed that TBB could be more attractive than “traditional” bonds regardless of the premium, as no default risk is associated with them.

 

This conversion would i) prevent market turbulences from affecting bond prices, and ii) reduce the level of the “real” public debt (that is, debt obligations to be repaid in euro), transforming it in “national deferred money”. Such process would amount to “renationalizing” the debt; it would substantially reduce the risk of default on sovereign debts, and would make the financial stability of largely indebted countries less dependent on the erratic mood of international capital markets.

 

The TBB will become increasingly attractive as the supply of traditional government bonds decreases. Italian institutional investors need a “domestic” liquidity management instrument, especially in view of an overall reduction in traditional bond offers. In particular, such entities as banks and insurance companies have large liquidity needs not just to pay their own taxes, but also to make payments of taxes and social contributions on behalf of their employees.

 

Conclusions

 

The proposed issuance of TCC and TBB does not involve default risk for the issuers: issuing governments commit to accepting them for tax payments, but are under no obligation to reimburse them at future dates.

 

The issuance of TCC aims at revamping demand, output and employment. The resulting recovery of GDP raises the fiscal revenues needed to compensate for the deferred tax rebates made possible by the TCC, and thus keeps euro expenses and incomes on balance. In turn, the TBB accelerate the reduction of gross public debt (to be reimbursed in euro) as a ratio of GDP ratio.

 

The possibility becomes real that the debt/GDP ratio may rapidly trend downward toward the 60% Fiscal Compact objective, which would otherwise remain totally unrealistic. The protraction of austerity measures would in fact condemn the weak economies of the Eurozone to permanent stagnation or depression, and inhibit the objective of debt consolidation.

 

We believe that the creation by sovereign states of quasi-money national instruments can provide weak countries with a feasible way out of economic depression. The economies of the Eurozone that have been hit by the crisis most badly may exit the tunnel of depression and debt by putting their own act together, without asking competitor countries to inflate their economies, worsen their trade balance, or provide financial aid.

 

Notwithstanding the difficulties that our proposal may raise, we believe it offers a concrete way out of the current dramatic situation avoiding traumatic solutions, which could inflict large losses to workers, savers, firms and financial institutions.

 

We believe that this can be the way to set up the best conditions for Europe to survive the current serious crisis and lay down the bases for a different monetary system, which would finally be stable, sustainable and conducive to economic well being and full employment.

 

 

* Note on the Income Multiplier

 

Recent studies (some of them reported below) provide a broad range of estimates of the income multiplier. Our proposal is based on the assumption that the income multiplier is greater than 1. Specifically, we have conservatively assumed a value of 1.3, based on a number of considerations:

 

  • The demand stimulus following the issuance of TCC would be intense and persistent; it would taper only when a strong response from output and employment would be observed
  • TCC would be allocated to individuals featuring a higher propensity to consume
  • Interest rates are low and will likely remain so due to the accommodative monetary policy stance from the ECB
  • Leakage effects from demand through the external channel (i.e., higher imports from abroad) would be offset by the export growth made possible by competitiveness gains following the reduction in labor costs
  • The negative impact that the issuances of TCC might have on the value of the multiplier if they were to cause higher interest rate spreads on public debt would be neutralized by the issuance of TBB, which would stabilize the price of debt.

 

 

Auerbach A and Y Gorodnichenko, Measuring the Output Responses to Fiscal Policies, American Economic Journal, 2012

 

Blanchard O and D Leigh, Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers, IMF, January 2013

 

Eggertsson G and P Krugman, Debt, Deleveraging and the Liquidity Trap, Quarterly Journal of Economica, 2012

 

Eichengreen B and K H O’Rourke, Gauging the Multiplier: Lessons from History, VoxEu, 23 October 2012

 

Locarno A, A Notarpietro and M Pisani, Sovereign Risk, Monetary Policy and Fiscal Multipliers: A Structural Model-Based Assessment, Temi di discussione N. 943, Banca d’Italia, November 2013

martedì 15 luglio 2014

Perché la Riforma Morbida è diversa dallo sforamento dei limiti


Come anticipato al termine del post precedente, rispondo alle osservazioni dei molti che mi hanno fatto notare come la Riforma Morbida, e in particolare l’emissione dei Certificati di Credito Fiscale, sia un diverso modo per ottenere gli stessi risultati che si conseguirebbero (più semplicemente) sforando il limite del 3% riguardo al rapporto deficit pubblico / PIL.

La differenza c’è, è sottile ma importante. Lo sforamento dei limiti implica di aumentare le emissioni di debito in euro. La Riforma Morbida no: si emettono CCF, che non sono debito bensì uno strumento monetario che verrà accettato, in futuro, a saldo di obbligazioni finanziarie verso lo Stato (una forma di moneta a utilizzo differito, in altri termini). Lo Stato NON si impegna a rimborsare i CCF in euro.

Perché questo è importante ? i limiti di Maastricht e, ancor più, il fiscal compact sono nati per prevenire il rischio che singoli stati andassero in default sul loro indebitamento. Il fiscal compact è stato infatti varato a fine 2011, nella fase più acuta della crisi dei debiti sovrani dei paesi dell’Eurozona.

L’idea era di ridurre questi rischi rafforzando i vincoli sui deficit e sui debiti pubblici. Ma in un contesto di economie ancora convalescenti dopo la crisi finanziaria del 2008, le misure di austerità introdotte per rispettare questi vincoli hanno prodotto il crollo di PIL e occupazione, e mandato fuori controllo (invece di ridurli) proprio i rapporti tra debiti pubblici e PIL.

Adottando l’euro, gli stati membri dell’Eurozona si sono spossessati della possibilità di rifinanziare o garantire i loro debiti mediante emissioni monetarie. Si sono messi nella posizione di paesi il cui indebitamento è denominato in una valuta estera, o (come avveniva in passato) in una moneta convertibile in oro.

In questo contesto, se determinati partner finanziari forniscono garanzie a paesi indebitati in oro, o in moneta estera, è comprensibile che impongano limiti a nuove emissioni di debito “forte” (chiamiamolo così).

Ma limiti stringenti di questo tipo creano deflazione e depressione, il che oltre a essere fortemente negativo sul piano economico e sociale finisce proprio per essere controproducente riguardo alla tutela degli interessi dei creditori stessi. A meno che…

A meno che, qualcos’altro sia disponibile per sostenere la domanda e per rilanciare l’economia dei debitori. I CCF svolgono appunto questa funzione: rilanciano l’economia senza aumentare il debito “vero”, quello che può causare insolvenze.

Il creditore di un paese indebitato in oro (più esattamente, in titoli di debito da rimborsarsi in oro, o in moneta convertibile in oro) è saggio se gli chiede di non aumentare quel tipo di debito. Ma è folle (o ha fini reconditi, che non sono la tutela del suo credito, e men che meno la collaborazione al rilancio dell’economia del debitore) se limita la facoltà del debitore di espandere l’economia e di riassorbire la disoccupazione emettendo moneta nazionale: definita come uno strumento finanziario che NON crea nessun possibile presupposto di insolvenza.

Rileggete il paragrafo precedente sostituendo “euro” a “oro”: rimane tutto valido…

L’unico modo sensato e cooperativo in cui il fiscal compact può essere interpretato e applicato richiede di definire i limiti di deficit e debito come riferiti esclusivamente al saldo annuale tra pagamenti e incassi statali in euro e al livello di debito vero, che NON comprende i CCF.

La Riforma Morbida ottiene appunto questo risultato. Riduce il deficit e il debito in euro. E immette nel sistema economico le risorse necessarie a rilanciare l’economia tramite una forma di moneta (non di debito), i CCF.

Sicuramente, di fronte a queste argomentazioni, qualcuno obietterà che i CCF nel momento in cui giungono a scadenza ridurranno (a parità di condizioni) gli incassi (in euro) dello stato emittente. Il che non è un problema se la ripresa dell’economia ha prodotto, nel frattempo, gettito compensativo in misura sufficiente. Ma se questo è vero, anche procedendo mediante sforamento, e non mediante Riforma Morbida, l’iniziale incremento di debito verrebbe, alla fine, assorbito.

Quest’ultima argomentazione è corretta. Tuttavia, se l’obiettivo del fiscal compact è quello di riportare sotto controllo debito e rischi di insolvenza, evitare anche transitoriamente l’incremento delle emissioni di debito è un vantaggio apprezzabile.

Ancora più coerente con questo obiettivo sarebbe accelerare il processo di riduzione del debito, rifinanziando, nella maggior misura possibile e conveniente, il debito in euro già esistente (via via che giunge a scadenza) mediante emissioni di “tax-backed bonds”(titoli che lo Stato emittente accetta in pagamento di tasse o altre obbligazioni finanziarie nei suoi confronti, in luogo di rimborsarli in euro: in pratica, un’altra forma di CCF). Il che è possibile e rende ancora più efficace la Riforma Morbida, come si spiegava qui.

martedì 21 gennaio 2014

Progetto CCF: il percorso


Primo, assegnazione di 200 miliardi annui di Certificato di Credito Fiscale destinati a lavoratori e aziende, nonché ad altre forme di sostegno della domanda.

La quota destinata alle aziende (circa 80 miliardi) abbassa il loro costo del lavoro per unità di prodotto, allineando il livello italiano a quello tedesco.

Secondo, lo Stato italiano cessa di emettere titoli in euro. Al loro posto, vengono effettuate emissioni di titoli che, a scadenza, possono essere utilizzati per soddisfare obbligazioni finanziarie verso la pubblica amministrazione italiana (Mosler Bonds = tax-backed bonds = CCF di finanziamento).

Anno per anno, il debito pubblico italiano con obbligo di rimborso in valuta non sovrana (euro) si riduce (a meno della metà nel giro di tre-quattro anni, quasi a zero nel giro di sei-sette).

Quindi l’Italia conseguirà immediatamente due risultati:

===> attuazione di politiche di sostegno della domanda che avviano una forte ripresa

===> allineamento della competitività delle aziende italiane con i livelli tedeschi, permettendo alla ripresa di svilupparsi senza creare squilibri nei saldi commerciali esteri.

La soluzione del terzo fattore di inefficienza dell’attuale sistema monetario, l’esistenza di un debito pubblico con obbligo di rimborso in valuta non sovrana, avverrà gradualmente, ma rapidamente, nell’arco di alcuni anni.

 

Benchè non sia strettamente indispensabile ai fini del funzionamento di quanto sopra, con ogni probabilità lo stato italiano comincerà a sostenere quote via via crescenti della sua spesa pubblica in moneta sovrana (Nuove Lire).

Le Nuove Lire saranno anch’esse utilizzabili per pagare tasse e per onorare qualsiasi impegno finanziario nei confronti della pubblica amministrazione. Senza bisogno di ridenominare da euro in Nuove Lire gli impegni attualmente in essere per stipendi a dipendenti pubblici, pensioni eccetera, le nuove spese saranno effettuate in Nuove Lire.

Le Nuove Lire, una volta in circolazione, saranno via via utilizzate con sempre maggiore frequenza anche nei rapporti privati.

Non si verificheranno mai “rotture” dell’euro nel senso formale del termine, ma in pochi anni la moneta utilizzata in Italia sarà, in netta predominanza, la Nuova Lira. L’euro avrà un utilizzo limitato a casi particolari (contratti di finanziamento, rapporti con controparti estere eccetera). Non ci saranno impedimenti al suo utilizzo, semplicemente l’euro diventerà una moneta straniera, come il dollaro, lo yen, il franco svizzero o la sterlina.

 

L’Italia non ha MAI perso la sua sovranità monetaria

In regime “fiat”, la moneta sovrana è un credito fiscale.

Uno stato che ha sovranità fiscale ha anche sovranità monetaria.

L’Italia oggi non la sta utilizzando, ma può riprendere a farlo in qualsiasi momento.

martedì 24 dicembre 2013

La riforma morbida del sistema monetario europeo

Slides per futuri convegni (prima bozza)





Che cosa non funziona nell’attuale sistema monetario europeo
 
 
Manca un meccanismo di aggiustamento delle differenze di competitività

I paesi più competitivi accumulano surplus commerciali e crediti finanziari, gli altri deficit e debiti.

Manca uno stabilizzatore, quale in passato erano i cambi flessibili.

L’austerità azzera i deficit commerciali dei paesi meno competitivi ma li manda in depressione economica.

 

Le politiche monetarie non supportano le azioni anticicliche necessarie quando l’economia cade in depressione

A seguito di una crisi finanziaria (Lehman 2008) tutte le economie occidentali hanno subito una pesante caduta della domanda. Un recupero in tempi ragionevoli richiedeva una forte azione pubblica di sostegno.

Ma nell’Eurozona dopo il 2009 in poi queste azioni si sono bloccate perché servivano molto più al Sud che al Nord, e i “settentrionali” non volevano emettere moneta per finanziare il sostegno della domanda, e neanche che il Sud espandesse i deficit pubblici.

 

I debiti pubblici sono diventati debiti in moneta straniera

Quindi hanno un rischio di default, che il debito pubblico denominato in moneta sovrana non ha.

USA, UK e Giappone hanno potuto aumentare deficit e debito pubblico e i tassi sono rimasti sostanzialmente a zero.






“Diamo una spallata” ? le difficoltà del break-up
 


I paesi settentrionali dell’eurozona subiscono un’immediata perdita di competitività.

 

I creditori subiscono una perdita di valore.

 

Timori dei risparmiatori italiani per la perdita di valore di titoli e depositi bancari.

 

Timori delle categorie a reddito fisso per la perdita di valore di retribuzioni e pensioni.

 

Quindi necessità di indicizzazioni: timori di spirale prezzi-salari.

 

Timori per la stabilità del sistema bancario (bank-runs).

 

Confusione e contenziosi legali in seguito alle ridenominazione di crediti e debiti, possibili insolvenze di banche e aziende.

 

 

===> Molti di questi timori sono più psicologici che reali ma…

 

…sicuramente il break-up è un processo fattibile ma complicato.

 

Molto difficile ottenere un ampio consenso di pubblica opinione.

 

Forti interessi costituiti sono violentemente contrari.







La riforma morbida (CCF e Mosler Bonds): c’è una porta aperta sul retro

 

Riappropriarsi del potere di emettere moneta.

 

Certificati di Credito Fiscale: moneta a impiego differito, utilizzabile due anni dopo l’assegnazione per pagare tasse e ogni altra obbligazione finanziaria nei confronti della pubblica amministrazione.

 

Assegnazioni annue per 200 miliardi circa ad aziende, lavoratori e finanziamento di spesa pubblica.

 

Quota assegnata ad aziende (circa 80) abbassa il costo del lavoro effettivo e riallinea la competitività italiana a quella tedesca.

 

Riavvio immediato di domanda e crescita, recupero del pieno impiego in pochi anni.

 

Nel frattempo, non si emettono più titoli di debito pubblico ma Mosler Bonds.

 

Mosler Bonds = Tax-Backed Bonds: titoli che alla scadenza sono utilizzabili per pagamenti verso lo Stato.

 

I Mosler Bonds per definizione NON hanno rischio di default (non sono, in effetti, debito pubblico, ma una forma di moneta – come i CCF).

 

Rapida riduzione del debito pubblico italiano a rischio di default (cioè del debito che è effettivamente tale) ===> a ritmo anche più accelerato di quanto previsto dal fiscal compact.






La riforma morbida: operativamente e politicamente molto più agevole del break-up

 

Non c’è bisogno di agire di sorpresa.

 

Nessuna conversione valutaria di crediti, debiti, contratti, retribuzioni, pensioni.

 

Nessuna incompatibilità con i trattati.

 

Va attuata senza farne mistero, ma senza chiedere “autorizzazioni” a nessuno.

 

Ogni stato in difficoltà dell’eurozona può applicarla in misura e con caratteristiche adattate al suo contesto specifico.










 


Marco Cattaneo / Giovanni Zibordi

“Una soluzione per l’euro: gli strumenti per rimettere in moto l’economia italiana”

Prefazione di Warren Mosler

Introduzione di Biagio Bossone

In pubblicazione presso Hoepli Editore, 2014

giovedì 12 dicembre 2013

CCF e Mosler Bonds


Ieri, a “La Gabbia”, Paolo Barnard ha parlato dei Mosler Bonds e in molti si sono chiesti (e mi hanno chiesto) se siano una proposta identica ai Certificati di Credito Fiscale (CCF).

Identica no, ma c’è una strettissima parentela. Di CCF peraltro avevo discusso già mesi fa con Warren Mosler stesso (vedi qui) che ha scritto anche la prefazione del libro mio e di Giovanni Zibordi, in uscita (finalmente…!) dopo Natale.

I Mosler Bonds, o Tax-Backed Bonds, sono stati proposti originariamente in questo articolo di Warren Mosler e Philip Pilkington.

I Mosler Bonds (cito) sono “obbligazioni simili a normali titoli di stato, salvo che includerebbero una clausola tale per cui se lo stato emittente omette di effettuare pagamenti, e solo in questo caso, sarebbero utilizzabili per saldare imposte dovute allo stato emittente”.

Emettendo Mosler Bonds, lo stato emittente si finanzia, di conseguenza con titoli che NON possono andare in default: se non vengono rimborsati in euro, automaticamente diventano moneta corrente, utilizzabile per pagamenti allo stato emittente stesso.

I CCF sono, dicevo, strettamente imparentati ai Mosler Bonds (che anzi me li hanno ispirati, insieme ai MEFO bills di Hjalmar Schacht).

I CCF sono anch’essi titoli utilizzabili per pagare tasse e qualsiasi altra obbligazione finanziaria nei confronti dello stato emittente; nella mia proposta, a partire da due anni dopo la loro emissione.

Il mio progetto CCF non prevede di emetterli al posto dei normali titoli di stato, bensì di assegnarli gratuitamente a cittadini e aziende. I riceventi si troverebbero in mano uno strumento finanziario che ha valore fin da oggi: è vero che sarà utilizzabile nei confronti dello stato in un futuro prossimo, ma sarebbero subito monetizzabili (con uno sconto finanziario non molto diverso da quello dei normali titoli di stato) vendendoli a soggetti che hanno la necessità di pagare tasse, imposte ecc. in futuro.

In questo modo si verifica subito un forte incremento della capacità di spesa e della domanda.

Inoltre una parte delle assegnazioni è diretta alle aziende, in proporzione ai costi di lavoro da esse sostenuti. In questo modo, il loro costo del lavoro per unità di prodotto scende e si porta all’incirca al livello della Germania. Questo evita che la maggior domanda prodotta dalle assegnazioni di CCF si rivolga in misura eccessiva a prodotti importati, e impedisce il ricrearsi degli squilibri commerciali che sono all’origine dell’eurocrisi.

L’Italia, attuando il progetto CCF, avvierà subito una rapida ripresa di domanda, PIL e occupazione. Il riallineamento di competitività migliorerà l’export e produrrà la sostituzione di una quota di import con produzioni interne. Questo compenserà il maggior import dovuto alla maggior domanda interna: i saldi commerciali italiani rimarranno in equilibrio (come sono oggi), ma con livelli di PIL, import, export e occupazione molto più alti.

I CCF e i Mosler Bonds possono peraltro essere usati congiuntamente. E’ opportuno che, dal momento dell’avvio del progetto, lo stato italiano non emetta più titoli tradizionali, ma rifinanzi BOT e BTP in scadenza con Mosler Bonds, che sono titoli che NON comportano (per loro natura) rischio di default e non possono quindi essere considerati debito (come non sono debito i CCF).

In questo modo si riduce rapidamente la quota di debito pubblico italiano soggetto a rischio di default, cioè del debito che è effettivamente tale. Questa è, tra parentesi, l’unica via tramite la quale è possibile raggiungere gli obiettivi del “fiscal compact”.

Ricordo che il “fiscal compact” ha come obiettivo di ridurre il rapporto tra debito pubblico e PIL dei vari paesi per evitare che si verifichino altri “casi Grecia”: ovvero default del debito pubblico di singoli stati che costringano gli altri a intervenire per evitare dissesti finanziari, fallimenti di banche eccetera.

Il problema è che il “fiscal compact”, nella situazione attuale, impone ai vari stati politiche restrittive che aggravano la depressione della domanda e del PIL e che – come ampiamente dimostrato dalle vicende degli ultimi due anni – rendono impossibile raggiungere gli obiettivi di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL (anzi lo peggiorano fortemente).

Una volta che, mediante l’assegnazione di CCF, l’Italia avrà rilanciato domanda, PIL e occupazione e riallineato la competitività delle proprie aziende con quella tedesca; e, mediante l’emissione di Mosler Bonds, avrà rapidamente ridotto i rischi di default sul debito pubblico residuo – a quel punto saranno stati conseguiti tutti gli obiettivi sostanziali che, diversamente, richiederebbero il break-up dell’euro e la reintroduzione della lira.

Tutto ciò, senza attuare una deflagrazione dell’eurozona ed evitando tutte le possibili conseguenze che preoccupano vari soggetti: niente rivalutazione della moneta usata nel Nord dell’eurozona; niente svalutazione dei crediti nei confronti di residenti italiani; niente turbolenze sui mercati finanziari; nessuna conversione forzata dei risparmi delle famiglie italiane.

Il progetto qui descritto è, a tutti gli effetti pratici, una “euroexit” in quanto svincola l’Italia (e gli altri paesi che lo attueranno con modalità analoghe) dalle restrizioni e dalle pesantissime negatività del sistema monetario oggi in essere.

E’ però un’uscita non deflagrante: non si spacca nulla, ma ci si “sfila” (elegantemente, se mi permettete…).