domenica 27 ottobre 2024

Italia, Germania, euro e austerità

 

E’ interessante riflettere sull’evoluzione del PIL procapite italiano e di quello tedesco, nell’ultimo quarto di secolo. In particolare suddividendo questo arco temporale in cinque fasi.

Il primo periodo inizia nel 1998, ultimo anno prima dell’introduzione dell’euro, e termina nel 2007, picco delle economie occidentali prima della grande crisi finanziaria mondiale (fallimento Lehman).

Il secondo periodo arriva fino al 2010: la reazione post crisi.

Il terzo periodo termina nel 2014: il quadriennio in cui il recupero dell’economia italiana è stato tarpato dalle politiche di austerità, “prescritte” dalla UE con l’obiettivo (completamente fallito) di “rimettere in ordine i conti pubblici e il debito”.

Il quarto periodo arriva al 2019: gli anni in cui se non altro si è evitato di fare ulteriori danni con ulteriore austerità.

Infine, gli anni successivi fino a oggi: il Covid, la crisi ucraina e le conseguenze.

Il confronto è effettuato sul PIL procapite in dollari a parità di potere d’acquisto 2017, cioè corretto per le differenze di prezzi verificatesi nel tempo e tra i due paesi. Un indicatore omogeneo dei redditi medi, in altri termini. Fonte: Fondo Monetario Internazionale.

Si scoprono diverse cose interessanti.


Nel 1998, ultimo anno prima dell’euro, Italia e Germania stavano esattamente allo stesso livello.

Gli anni fino al 2007 sono di decorosa crescita, ma l’Italia comincia a perdere terreno. Si apre una differenza del 4,5%.

Il triennio della grande crisi finanziaria viene superato dalla Germania che recupera i livelli pre-Lehman, ma non dell’Italia. Scivoliamo indietro dell’11% circa.

Gli anni dell’austerità europrescritta sono una vera catastrofe. Andiamo a -20% abbondante. Grazie UE, grazie Monti, grazie Fornero, grazie Letta.

A questo punto si riconosce che la strada è sbagliata. Non si inverte la direzione, non sia mai. Però quantomeno non si peggiorano le cose. I 20-21 punti rimangono sostanzialmente quelli fino al 2019.

Poi arriva il Covid, arriva l’Ucraina. Si sospendono i vincoli di bilancio. L’Italia rilancia gli investimenti con il Superbonus (che sicuramente poteva essere fatto meglio: ma è stato molto più positivo farlo che non fare nulla). La Germania scopre che senza gas russo a buon mercato il suo sistema industriale non è esattamente quella meraviglia che tutti pensavano.

Stavolta è la Germania che dopo cinque anni non ha affatto recuperato i livelli precrisi. L’Italia sì e anzi a distanza di DICIASSETTE (!) anni supera, finalmente, il PIL procapite 2007. I punti in meno rispetto alla Germania scendono a quattordici. Sempre tanti, però…

Però, con il venir meno dell’austerità, finalmente una significativa inversione di tendenza.

venerdì 25 ottobre 2024

La verità su debito e moneta

 

Scaletta per un futuro evento – seguiranno comunicazioni

SEZIONE UNO: Perché è normale per uno Stato avere un bilancio pubblico in deficit.

SEZIONE DUE: Cos’è realmente il debito pubblico e perché non impoverisce il paese.

SEZIONE TRE: Qual è il livello appropriato di deficit pubblico.

SEZIONE QUATTRO: Le tasse sono necessarie – ma non per la ragione che vi dicono.

SEZIONE CINQUE: L’assurdità dell’euro, e in generale del non usare la propria moneta.

SEZIONE SEI: Moneta e democrazia.

martedì 22 ottobre 2024

Goldman Sachs dice che

 

Goldman Sachs è diventata pessimista sulle prospettive di lungo termine del mercato azionario, perlomeno di quello USA. Negli ultimi giorni, mentre l’indice S&P500 oscillava intorno a 5.850, ha pubblicato uno studio affermando che per i prossimi dieci anni c’è da attendersi un rendimento medio del 3% circa.

Tenuto conto che di questo rendimento circa l’1,5% è dato dai dividendi, questo vorrebbe dire terminare l’anno 2034 (può sembrare una data lontana ma arriva in fretta…) intorno a 6.800.

Sono sempre mille punti in più, direte. Ma in dieci anni. Quest’anno mille punti, abbondanti, li abbiamo fatti in dieci mesi.

Io ho un mio metodo di stima del fair value, del valore corretto dell’indice azionario, che probabilmente anzi sicuramente non è molto scientifico ma che mi è sempre parso affidabile. Ed è il seguente.

Parto da 1.500 a fine 2009. Perché 1.500 ? perché in quel momento la borsa, benché in ripresa dai minimi post fallimento Lehman, stava intorno a 1.100, veniva considerata sottovalutata da più conosciuti value investors a partire da Warren Buffett, e in effetti ha riservato grosse soddisfazioni agli investitori negli anni successivi.

Poi ogni anno aggiungo l’inflazione, tolgo i dividendi e aggiungo il rendimento di lungo termine del mercato azionario USA, che Jeremy Siegel, il più conosciuto studioso della materia, stima tra il 6,5% e il 7%.

Per la precisione aggiungo ogni anno il 6,666666%. Periodico. Perché non il 6,75% ? perché mi piacciono i numeri periodici.

Risultato ? l’S&P dovrebbe stare a 4.200. Invece, dicevo, è a 5.850, che significa una sopravvalutazione del 40%.

Quindi ha ragione Goldman a prevedere vacche magrette nel futuro ? probabilmente sì, ma a mio parere esagera. Lo stesso metodo di proiezione del fair value per fine 2034 prevede 8.500 abbondanti, non 6.800. Il che significa un rendimento medio non del 3% ma del 5-5,5%.

Che è un po’ meglio ma certo non è un granché.

Di sicuro comunque quale che sia il punto di arrivo ci saranno oscillazioni. Quindi in dieci anni arriverà il momento in cui sarà interessante incrementare l’esposizione.

Ma effettivamente quel momento non è oggi.

sabato 19 ottobre 2024

L’Italia, paese CREDITORE

 

Bankitalia ci fa sapere, nell’ultima edizione della sua pubblicazione su bilancia dei pagamenti e posizione patrimoniale sull’estero (qui, pagine 17-19), che quest’ultima ha raggiunto al 30 giugno 2024 il valore POSITIVO di 225 miliardi di euro.

La posizione patrimoniale sull’estero (conosciuta in inglese come NIIP, Net International Investment Position) è la differenza tra le attività patrimoniali (azioni, obbligazioni, immobili, quote aziendali eccetera) possedute all’estero da italiani; e le attività della stessa natura possedute in Italia da stranieri (passività dal punto di vista italiano).

Sempre al 30 giugno 2024, le attività erano 3.665 miliardi e le passività 3.440.

Il saldo di 225 miliardi è aumentato sia rispetto al trimestre precedente, quando era pari a 192 miliardi, che rispetto a un anno fa, quando ammontava a 99.

In sintesi, l’Italia è un paese CREDITORE NETTO SULL’ESTERO. Mette più soldi all’esterno del paese di quanti ne riceve. E lo è per un ammontare pari a oltre il 10% del PIL.

Per favore, la prossima volta che sentite qualcuno dire che l’Italia “affoga nei debiti”, cortesemente pregatelo di parlare di cose che conosce. E se non le conosce, di documentarsi prima di aprire bocca.

mercoledì 16 ottobre 2024

Alternative alla coercizione statale ?

 

Leggo che Javier Milei, in un discorso al World Economic Forum lo scorso 17 gennaio 2024, avrebbe dichiarato che “lo Stato si finanzia attraverso la coercizione”.

Il che è vero, ma non solo per quanto riguarda il finanziamento delle attività statali. Lo Stato E’ uno strumento di coercizione.

E coercizione è una brutta parola, o almeno suona tale. Però qual è l’alternativa alla coercizione statale ?

A me pare che sia, puramente e semplicemente, il diritto del più forte. E non mi sembra una grande alternativa.

L’alternativa teorica più attrattiva sarebbe un’utopia anarchica, di cui nessuno, a quanto mi risulta, è mai riuscito a descrivere plausibilmente il funzionamento, per non parlare di implementarla nella realtà.

domenica 13 ottobre 2024

Quando Giorgetti si impone


Mi chiede un amico: quando Giorgetti impone una linea di politica economica incoerente con i programmi elettorali della coalizione di governo nonché con le posizioni di molti membri del suo partito, sulla base di quale autorità, sulla base di quali leggi è in grado di farlo ?

La risposta è: sulla base della legge del più forte, che è l’establishment finanziario.

Del resto Giorgetti ha un obiettivo nella vita, che non è far funzionare al meglio l’economia nell’interesse dei cittadini, ma accedere, in un prossimo futuro, a qualche prestigiosa e molto ben remunerata carica nel mondo finanziario e bancario. Che so, presidente di Unicredit. Non CEO, per fare il CEO bisogna lavorare.

domenica 6 ottobre 2024

Che cosa non è il debito pubblico

 

Se uno Stato spende la moneta che emette, il debito pubblico (dovrebbe essere evidente) NON è un mezzo di finanziamento del deficit.

Il deficit pubblico si traduce automaticamente in risparmio privato. L’eccesso di spesa rispetto alla tassazione equivale, nel settore privato, a soldi ricevuti eccedenti quanto pagato in tasse: quindi a un incremento del risparmio.

Se lo Stato spende la moneta che emette, non ha bisogno di collocare titoli di debito pubblico per finanziarsi. Il debito pubblico ha una funzione diversa: è uno strumento offerto al settore privato per impiegare il risparmio finanziario generato dal deficit pubblico.

Il problema del debito pubblico, in Italia, esiste SOLO perché utilizziamo una moneta emessa da un soggetto diverso dallo Stato.

venerdì 4 ottobre 2024

I soldi del deficit pubblico

 

Chi segue questo blog mi ha visto molte volte spiegare che il deficit pubblico non è un impoverimento del paese, in quanto la differenza tra spese del settore pubblico e incassi fiscali (il deficit pubblico) rimane in tasca al settore privato. Se lo Stato spende più di quanto incassa, il settore privato incassa più di quanto spende. Questa è un’identità contabile su cui c’è poco, anzi nulla, da discutere.

OK, mi sento a volte replicare: sarà così, ma i sottoscrittori dei titoli del debito pubblico sono in parte stranieri. Per cui è vero che il deficit pubblico si trasforma, o meglio genera, risparmio privato: ma questo risparmio privato finisca in parte in mano a residenti esteri, quindi fuoriesce dal paese.

Le cose stanno un po’ diversamente. 

Il deficit pubblico alimenta automaticamente risparmio privato e non ha bisogno che vengano emessi titoli per finanziarlo. I titoli del debito pubblico sono un’opportunità offerta ai risparmiatori per impiegare, appunto, il risparmio.

Il risparmio fuoriesce dal paese se il saldo commerciale, cioè la differenza tra esportazioni e importazioni di beni e servizi, è negativa. Se è positiva, al contrario, il risparmio non defluisce dal, ma affluisce nel, paese.

E il saldo commerciale dell’Italia verso l’estero è ampiamente positivo, per circa 50-60 miliardi annui.

E’ vero che una parte dei titoli di Stato offerti dalle pubbliche amministrazioni è sottoscritto da risparmiatori esteri; ma a fronte di questo, ci sono risparmiatori italiani che comprano attività finanziarie straniere. Sono scelte di portafoglio, che derivano da valutazioni di rischio e redditività, dalla volontà di diversificare, in ultima analisi dai gusti personali di ognuno.

Il saldo tra investimenti finanziari e patrimoniali dei residenti italiani verso l’estero, da un lato, e dei residenti stranieri verso l’Italia, dall’altro (la cosiddetta Net International Investment Position, NIIP) è anch’esso positivo: per 165 miliardi secondo il più recente dato Bankitalia (al 31.3.2024).

Per cui, nel caso del nostro paese è del tutto corretto affermare che il deficit pubblico si converte in risparmio privato ITALIANO. Il fatto che una parte dei titoli di Stato emessi vengano acquistati da soggetti stranieri NON rileva e NON smentisce questo dato di fatto.

 

mercoledì 2 ottobre 2024

Dice Dirk Enhts

 Ci sono economisti TEDESCHI non allineati al mantra dell'euroausterità ?

Non tantissimi ma qualcuno sì. Dirk Ehnts ne è un esempio.


Ed ecco quello che CORRETTISSIMAMENTE dice:



giovedì 26 settembre 2024

La CGIA e gli sprechi

 

Le narrazioni su temi economici (e non solo) quando sono basate su fantasie e luoghi comuni fanno danni, perché orientano negativamente il dibattito e mandano fuori strada la pubblica opinione.

Ne ho avuto una riprova qualche giorno fa a seguito di una discussione con alcuni interlocutori su Twitter, pardon su X, dove è stato citata l’iperbolica cifra di 225 miliardi (all’anno…) come costo di sprechi e inefficienze della pubblica amministrazione.

Ho chiesto la fonte del dato e mi è stato linkato questo documento prodotto dalla CGIA di Mestre, un’associazione di artigiani e piccole imprese che in effetti dispone di un ufficio studi piuttosto attivo.

E il titolo del documento in effetti è “Sprechi e burocrazia ci costano oltre 225 miliardi all’anno”.

Sennonché andando a leggere, a pagina 5, dopo l’elencazione di fatti e misfatti della P.A. italiana, si trova questa affermazione: “E’ evidente che questi malfunzionamenti, tratti da fonti diverse, non si possono sommare, innanzitutto perché sono riferiti ad anni diversi e in secondo luogo perché in alcuni casi le aree di queste analisi si sovrappongono”.

Bravi. Prima sparate un titolo con un numerone, poi ci costruite sopra una narrazione e alla fine ci fate sapere che “è evidente” che avete sommato dati “che non si possono sommare”.

E come giudizio di affidabilità dell’analisi, potremmo già chiudere qui la faccenda.

Ma vale la pena di riflettere un tantino sui dati che sono stati sommati anche se non si potevano sommare. E sono i seguenti.

“Il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con le P.A. (burocrazia) è pari a 57,2 miliardi di euro”. Considerarli uno “spreco” equivale a dire che il costo potrebbe o dovrebbe essere zero. Il che è un’evidente assurdità.

“I debiti commerciali di parte corrente della nostra PA nei confronti dei propri fornitori ammontano a 55,6 miliardi di euro”. Probabilmente sono troppi, e questa è un’inefficienza. Ma anche qui è assurdo parlare di 55,6 miliardi di “spreco”. Bisogna confrontare il dato con un livello “normale”, perché una dilazione di pagamento per esempio di 30 o 60 giorni è fisiologica, e poi valutare il costo dell’inefficienza, che non è certo l’intero importo del maggior debito (un’azienda preferisce un cliente che paga a 30 giorni e non a 180, ma non è che mette a perdita l’intero importo del credito “lungo” se alla fine il pagamento arriva. A parte che per assurdo sarebbe una perdita per il fornitore ma un guadagno per la PA, quindi non una perdita secca per il sistema economico).

“La lentezza della giustizia costa al paese 2 punti di PIL all’anno, ovvero 40 miliardi di euro”. Come si stima l’impatto economico di un fenomeno del genere ? non ne ho la minima idea. L’ha detto il ministro Nordio, ma da dove nasce la valutazione ?

“Il deficit logistico-infrastrutturale penalizza il nostro sistema economico per un importo di 40 miliardi di euro all’anno”. Questo non è uno “spreco”, ma l’indicazione (che poi va motivata) che occorre spendere meglio, ma probabilmente DI PIU’, non di meno.

Gli unici “sprechi” che possono effettivamente essere definiti tali, nell’elencazione, sono quelli della sanità e quelli del trasporto pubblico locale, rispettivamente per 21 e per 12,5 miliardi. Sulla base di stime ovviamente da verificare e da discutere.

In sintesi…

Il numerone di 225 miliardi è una sparata priva di senso. Però è stata pubblicata, gira, e qualcuno (non pochi) la prende come un fatto, come un “dato certificato”.

Un dibattito costruito su queste basi fa solo confusione, e danno.

 


martedì 24 settembre 2024

Quando l’assicurazione non funziona

 

Il ministro Musumeci se ne è uscito con l’ipotesi di rendere obbligatoria, per gli immobili di proprietà privata, l’assicurazione su rischi catastrofali quali inondazioni ed eventi di origine climatica. O almeno questo concetto gli è stato attribuito. Poi ha fatto una rapida marcia indietro.

Meno male che l’ha fatta, perché l’idea è pessima: e non solo in quanto imporrebbe l’equivalente di una (ulteriore) imposta patrimoniale sugli immobili.

L’idea è pessima perché nel caso fosse attuata, c’è da aspettarsi che i proprietari di immobili delle zone a maggior rischio non riuscirebbero a trovare coperture assicurative, quantomeno per importi di premi non esorbitanti.

Il problema è analogo a quanto si riscontra esaminando l’alternativa sanità pubblica vs sanità privata. Ammesso che il privato sia, in media, più efficiente del pubblico (del che dubito, ma lasciamo il tema per un'altra occasione) il problema è che le assicurazioni private fanno molta fatica a coprire i soggetti ad alto rischio.

Le malattie che richiedono cure molto onerose possono, semplicemente, non essere assicurabili.

Determinate forme di rischio possono essere gestite solo a livello di collettività nazionale, quindi di settore pubblico, perché l’onere economico si ripartisce su milioni o decine di milioni di persone: un universo enormemente più ampio di quello di qualsiasi compagnia assicurativa.

L’assicurazione che lavora per il profitto valuta invece la redditività della singola copertura, e in certi casi i conti semplicemente non tornano.

Imporre di utilizzare il settore assicurativo privato per certi tipi di rischio è inaccettabile, e in parecchi casi impercorribile.

 

venerdì 20 settembre 2024

Come si sta fuori dalla UE

 

E’ interessante questo video del mio antico quasi-collega Alberto Forchielli, che conversa, come fa ogni tanto, con Fabio Scacciasestesso Villani.

Interessante non perché dica cose particolarmente originali, ma perché non mi sarei molto aspettato di sentirle dire a Forchielli, di cui è nota la vicinanza con Romano Prodi. 

E da una persona vicina a Prodi stupisce quanto esplicitamente confuti uno dei luoghi comuni più logori e stantii che gli europeisti hanno costantemente sulle labbra: che per quanti difetti di funzionamento possa avere la UE, non c’è speranza, non c’è possibilità, non c’è strada plausibile per migliorare la situazione economica e sociale dell’Italia, per “affrontare e superare le sfide del nostro tempo” se non fondendosi nella Grande Unione Europea.

L’argomentazione, semplice ma chiara e diretta, a contrario è che tantissimi paesi fanno bene al di fuori della UE, e comunque non pensano minimamente a integrarsi in chissà quale superstruttura politica.

Tra gli esempi citati, il Cile, la Svizzera, la Corea del Sud. Ma ovviamente se ne possono fare molti altri.

Perché la situazione è del tutto evidente: al mondo ci sono oltre 200 nazioni. La stragrande maggioranza, cioè quelli non appartenenti alla UE perché non ci sono voluti entrare o perché non sono neanche paesi europei, non stanno affatto definendo la creazione di un’Unione Americana o di un’Unione Asiatica o di un’Unione Africana (o meglio a quanto ne so un’Unione Africana esiste ma non ha minimamente funzioni o ambizioni simili a quelli della UE).

Tutto molto semplice. Fuori dalla UE, non c’è nessuna tendenza a creare nulla di simile in altre parti del mondo.

La UE è un progetto unico. E non funziona.

martedì 17 settembre 2024

Perché sburocratizzare la UE è un’illusione

 

Quando un’organizzazione non funziona, una spiegazione classica, buona più o meno per tutti i casi e per tutte le stagioni, è che il problema è costituito dalla burocrazia, dall’eccesso di regole, dalle procedure inutilmente complicate. Le cose funzionerebbero molto meglio se tutto si semplificasse, se tutto diventasse più semplice e lineare.

Per carità, evitare complicazioni inutile è sicuramente un obiettivo condivisibile, uno sforzo encomiabile. Però non mi ricordo di aver mai visto questa strategia produrre risultati concreti.

Di solito i tentativi di ridurre la burocrazia si traducono in libri dei sogni, quando non in varianti sul tema “creiamo un comitato per ridurre i comitati”, un “regolamento per eliminare i regolamenti” o roba del genere.

Nel caso della UE, la ricetta mi pare perdente in partenza ancora più del solito. E la ragione è banale: buona parte di quello che fa la UE è produrre regole. Forse due terzi dei suoi dipendenti e collaboratori sono dediti a quello (gli altri fanno cose ancora più dannose, spesso MOLTO più dannose).

Per sburocratizzare la UE una strada c’è, ed è abolirla. Il che mi pare un’eccellente idea. Improbabile però che venga intrapresa per iniziativa autonoma della UE stessa…

venerdì 13 settembre 2024

MMT, che cosa dice e che cosa non dice


I critici della MMT hanno una spiccata attitudine a criticarla sulla base di una rappresentazione fuorviante delle affermazioni di questa scuola di pensiero economico. 

In particolare, un classico è accusare la MMT di volere sempre e comunque incrementare il deficit pubblico, in quanto all’incremento del deficit pubblico corrispond(erebbe) sempre e comunque incremento di ricchezza privata.

Bene: l’affermazione degli economisti MMT può sembrare superficialmente quella, ma è invece MOLTO differente.

La MMT NON dice che all’incremento del deficit pubblico corrisponde sempre e comunque incremento di ricchezza privata.

La MMT DICE che all’incremento del deficit pubblico corrisponde sempre e comunque incremento di risparmio finanziario nominale privato.

Questo deriva da un’identità contabile che dovrebbe (dovrebbe…) risultare ovvia a chiunque: il deficit è l’eccesso di spesa pubblica rispetto al prelievo fiscale. Se il settore pubblico spende più di quanto tassa, il settore privato incrementa le sue disponibilità finanziarie, perché riceve più di quanto paga.

Questo in termini nominali. In termini reali, il valore effettivo di questo maggior risparmio può depauperarsi se il deficit produce una crescita del livello dei prezzi. E questo è possibile se si immette nel settore privato capacità di spesa che non va ad alimentare maggiore produzione di beni e servizi. Motivo per cui la gestione della finanza pubblica deve tenere conto della capacità produttiva del sistema economico.

Poi ci sono i temi di distribuzione. Altre critiche delle politiche di deficit vertono sul fatto che il deficit potrebbe essere “utilizzato male”, in maniera inefficiente o iniqua, o alimentare spesa verso l’estero, quindi incrementare sì il risparmio privato, ma all’esterno del paese.

Questi sono temi importanti. Ma sono temi di allocazione delle risorse.

E i critici della MMT che vorrebbero il pareggio di bilancio perché sono preoccupati per la (eventualmente) scorretta allocazione delle risorse, si pongono in contraddizione con un’altra loro tipica affermazione.

I critici della MMT spesso attaccano le politiche economiche di stampo socialista affermando che si preoccupa (il socialismo) di redistribuire reddito e ricchezza, ignorando che prima va creato.

Ma allora non dovrebbero sostenere il pareggio di bilancio, perché il pareggio sistematico del bilancio pubblico, in presenza di un sottoutilizzo delle risorse produttive, limita la creazione di reddito e ricchezza. Preoccupandosi della distribuzione di reddito e ricchezza, ne tarpano quindi la generazione.

Proprio quello che a loro dire è il difetto più grave delle politiche economiche socialiste.

 

mercoledì 11 settembre 2024

Piano Draghi, dove sono (sarebbero) i soldi

 

Ancora sul mirabile piano Draghi, che buona parte della stampa italiana sta già incensando come la soluzione di tutti i guai della UE e anche del nostro paese.

Le probabilità che il piano decolli al momento appaiono nulle, semplicemente perché, ottimo, buono, scarso o pessimo che sia, dovrebbe essere finanziato (afferma Draghi) da debito comune, e i paesi frugali del nord – Germania in testa – non ne vogliono sapere mezza, come si dice a Bologna.

Va aggiunto che non si capisce perché queste “sfide epocali” a cui le UE va incontro dovrebbero essere affrontabili solo utilizzando debito comune. E neanche perché non potrebbero essere gestibili da singoli paesi, visto che le possibilità di azione sono comunque date dalla somma dei mezzi a disposizione di chi le azioni le vuole intraprendere. Non si moltiplicano, in altri termini, solo perché gli appiccichi l’etichetta UE.

Certo, alcune cose probabilmente si fanno meglio con uno sforzo congiunto e coordinato. Altre magari no. Ma se la volontà di attuare uno sforzo congiunto e coordinato esiste, si può benissimo procedere tramite un accordo tra Stati: magari alcuni e non tutti.

O meglio si potrebbe se non ci fossero i vincoli finanziari imposti dalla UE stessa, che sono stati rivisti ma assolutamente non superati dalla recente revisione del patto di stabilità, e sui quali non c’è volontà comune per ulteriori modifiche.

Il superamento del vincolo finanziario per attuare, in tutto, in parte, o in qualche misura, il piano Draghi o qualsiasi altra azione di dimensioni rilevanti, è possibile. Facilmente.

Basta consentire ai vari Stati di emettere la propria moneta. Per esempio sotto forma di Moneta Fiscale.

Se Draghi pensasse veramente che l’attuazione del suo piano è vitale, prenderebbe in serissima considerazione questa ipotesi.

Se non lo fa, mi pare evidente che l’attuazione del suo piano servirebbe ad altro. A spogliare di ulteriori leve d’intervento gli Stati, a trasferire ulteriori poteri all’euroburocrazia.

Stavo per concludere il post con quest’ultimo paragrafo. Ma poi, colpo di scena, scopro che nel documento presentato da Draghi (“The Future of European Competitiveness”) spunta, a pagina 38 della parte B, quanto segue (grazie a Fabio Conditi per la segnalazione)

Ohibò. Non me l’aspettavo. Ci sarebbe da chiedersi allora perché Draghi, da presidente del consiglio italiano, abbia insabbiato la libera circolazione dei crediti fiscali (quelli legati a Superbonus e crediti fiscali immobiliari in genere).

Continuo a pensare che non se ne farà nulla e che il rapporto Draghi resterà lettera morta.

Ma chissà, il mondo è strano.


lunedì 9 settembre 2024

L’Unione Europea e la competitività

 

Sinceramente non ho capito in che cosa consistano le raccomandazioni di Mario Draghi e di Enrico Letta in merito a cosa fare per rendere l’economia UE più competitiva. Ho solo letto parecchi articoli che drammatizzano un recente discorso di Draghi, dove si è affermato che senza riforme “mai vista prime” la UE rischia di scomparire.

Per la verità non mi sto neanche sforzando di capirle, s’intende sempre le raccomandazioni. Per alcuni lustri si è ripetuto ad nauseam che la UE aveva bisogno di profonde riforme e di salti in avanti, e i risultati sono stati ampiamente deleteri.

Di chiaro vedo solo una cosa. La UE perde terreno rispetto a USA e Cina, dove non esiste niente di paragonabile alle regole di bilancio pubblico UE, e dove ci si preoccupa poco o nulla di quello che sembra essere il pensiero di gran lunga predominante degli euroburocrati – contenere la spesa per “risanare la finanza pubblica”. Ovviamente senza riuscirci.

A me pare che il recupero di competitività si ottenga investendo. Nei settori e con le modalità giuste, certo. Tramite il settore pubblico o tramite sostegni al settore privato. Ma investendo, quindi spendendo. Non tagliando, non contenendo, non “risanando”.

Quand’anche Draghi e Letta fossero le brillanti menti economiche che qualcuno pensa che siano (più Draghi che Letta, a dire il vero) mi sfugge come le loro raccomandazioni, quali che siano, potrebbero essere applicate, se i vincoli (autoimposti e insensati) di finanza pubblica restano la prima preoccupazione di Bruxelles.

Per questo non mi sforzo di capirle, le raccomandazioni, o anche solo di venirne a conoscenza. Non mancherò, nel caso, di riconoscere che mi sono sbagliato.

sabato 7 settembre 2024

Spiegare la borsa

 

Mi crea spesso un moderato divertimento leggere le spiegazioni che vengono date sugli andamenti del mercato azionario, e ancora di più le previsioni in merito a quanto potrà accadere nel prossimo futuro.

In queste ultime poche settimane si è diffusa l’opinione che il mercato USA, e in particolare l’SP500, potrebbe essere sul punto di una correzione al ribasso.

Il che è sicuramente possibile. Ma per quali motivazioni ? tra le più frequenti che vengono fornite, Trump potrebbe vincere le elezioni in USA. La guerra in Ucraina potrebbe durare ancora a lungo. La situazione in Medio Oriente potrebbe degenerare. Le banche centrali potrebbero non essere così aggressive come si pensa, o spera, nel ridurre i tassi. Oppure potrebbero esserlo per poi scoprire che l’inflazione rialza la testa. L’economia potrebbe indebolirsi.

Al che ovviamente non manca chi replica. Trump le elezioni potrebbe anche perderle. Ma poi in fondo quando ha vinto nel 2016 il mercato azionario ha poi fatto +30% in pochi trimestri. E la guerra in Ucraina potrebbe anche aver fine. E in Medio Oriente le cose potrebbero risolversi, o quanto meno non peggiorare. E i tassi d’interesse hanno, in ogni modo, avviato una discesa. E l’economia in definitiva cresce.

Insomma è vero tutto ma anche il contrario.

Il problema è che leggere queste “spiegazioni” è più divertente che utile.

Di sicuro c’è che

la borsa nel tempo sale

però non lo fa in linea retta

ogni tanto corregge

le date delle correzioni, e l’entità, non le può prevedere nessuno

però quando i valori sono alti e hanno corretto parecchio negli ultimi tempi, una correzione diventa più probabile nel breve termine: attenzione più probabile, non certa.

E adesso i valori sono alti.

Poi divertiamoci, se non abbiamo di meglio, a leggere le “spiegazioni”, le “profonde analisi”.

Basta non prenderle troppo sul serio.

 

martedì 3 settembre 2024

Chi ha bisogno della UE ?

 

Le elezioni regionali tenute domenica scorsa in Turingia e Sassonia hanno registrato un notevolissimo, e per la verità non inatteso, successo del partito di destra eurocritico AfD, che si è attestato intorno al 30% abbondante. Ma va anche notato che un’altra lista eurocritica, questa di sinistra, BSW, ha a sua volta ottenuto un eccellente risultato.

In un’intervista sulla Repubblica di oggi è citata la seguente dichiarazione di Alice Weidel, la leader di AfD: “La Germania, per sopravvivere, non ha bisogno della UE. La UE, al contrario, ha bisogno della Germania. La UE dovrebbe comportarsi di conseguenza. Solo a questa condizione l’uscita della Germania dalla UE non si renderà necessaria”.

Ora, senz’altro la Germania non ha bisogno della UE. Ma va aggiunto che nessun paese appartenente alla UE ha bisogno della UE. Nessun paese deve la sua esistenza alla UE, e nella maggior parte dei casi gli stati membri hanno una storia decennale, secolare, qualche volta millenaria che è partita quando la UE non era nell’immaginazione di nessuno.

La UE si giustifica solo se e in quanto la sua esistenza crea qualcosa di positivo per i suoi appartenenti. L’affermazione della Weidel quindi sarebbe condivisibile. Ma c’è un ma: quando poi andiamo a vedere di che cosa gli stati hanno bisogno, che cosa motiverebbe la loro appartenenza alla UE, scopriamo che le necessità e gli interessi sono difformi. Molto difformi.

Il che non stupisce. Sono paesi differenti per storia, lingua, tradizioni, condizioni economiche, e molte altre cose ancora.

Beninteso questo ai burocrati di Bruxelles non interessa. Com’è tipico delle burocrazie, la loro finalità è preservare la propria esistenza e accrescere la propria area di influenza. Che poi l’esistenza della burocrazia abbia un’utilità è secondario. Primario è l’interesse dei burocrati.

E infatti le reazioni ai risultati elettorali negativi (negativi dal loro punto di vista, s’intende) ogni volta è la stessa. Mai riflettere sul messaggio che sta trasmettendo l’elettorato. Sempre alzare cordoni sanitari. Sempre reprimere, mai analizzare le motivazioni, mai correggere la direzione di marcia.

Anche perché, appunto, la direzione di marcia utile a un paese non è la stessa appropriata per un altro. E quindi la UE ha l’alternativa tra fare ed essere dannosa, e non fare ed essere inutile.

L’autoscioglimento sarebbe una via raccomandabile. Ma qui entra in gioco l’istinto di conservazione, che esiste per le organizzazioni tanto quanto, o forse più, che per gli individui.

 

domenica 1 settembre 2024

Il mostro che non è un mostro

 

Non bastavano definizioni tonitruanti e spaventevoli come “il fardello”, “il macigno”, “l’ipoteca sul futuro del paese”, “l’onere per le future generazioni”.

No, il Sole 24 Ore pochi giorni fa ha dato un altro giro di vite agli sforzi per seminare panico in merito al debito pubblico italiano. Adesso è diventato, sic et simpliciter, “il mostro”.

Boh. Da quando ho cominciato ad avere quattro risparmi da parte ho sempre felicemente acquistato BOT, CCT e BTP (salvo negli anni in cui rendevano zero). E la sensazione di mettermi in tasca delle cose “mostruose” proprio non l’ho mai avuta.

Ma poi, se deficit e debito pubblico sono non si dice mostri, ma gravi, preoccupanti, potenzialmente esiziali anomalie da correggere a tutti i costi, com’è che il bilancio del settore pubblico di tutti i paesi è quasi sempre in deficit ? e com’è che tutti hanno un debito pubblico ?

Non sarà che invece il deficit sia qualcosa di normale e fisiologico ? che per un’economia in crescita sia normale che il settore pubblico spenda più di quello che tassa, immettendo quindi mezzi di pagamento e risparmio finanziario nel settore privato ? grandezze che DEVONO crescere, se cresce la produzione e il valore di beni e di servizi ?

Non sarà che questa continua insistenza sul “risanamento della finanza pubblica” – risanamento che peraltro non si ottiene mai – abbia come unico risultato quello di tarpare la crescita del paese, di smantellare il welfare, di prosciugare gli investimenti ?

Diceva, se non sbaglio, Voltaire: “le streghe hanno smesso di esistere quando abbiamo smesso di bruciarle”.

Oggi magari direbbe che il debito pubblico smetterà di essere un problema quando smetteremo di tentare di “risolverlo”.

 

domenica 25 agosto 2024

Fabio Panetta e le spese per l’istruzione

 

Fabio Panetta, l’attuale governatore della Banca d’Italia, sicuramente non è il peggiore degli euroausterici. Tra i governatori delle banche centrali eurozoniche è sicuramente schierato dalla parte delle colombe, non da quella dei falchi più retrivi e ottusi.

Però appartiene al mainstream economico, quindi aspettarsi più di tanto, dal punto di vista della logica e della razionalità delle sue argomentazioni, sarebbe ingenuo.

Alcuni giorni fa ha insistito, tanto per cambiare, sulla necessità di ridurre il debito pubblico, argomentando tra le altre cose che l’Italia spende più per pagare interessi che per l’istruzione pubblica.

Di fronte a un’affermazione del genere, chi potrebbe contestare il fatto che qualcosa non funziona ?

Però qual è la conseguenza, nella testa di Panetta ? che occorre ridurre il deficit, abbassare il debito, “quindi” pagare meno interessi, “quindi” avere più soldi per altre cose. Logico, no ?

No.

Ridurre il deficit, nella testa del mainstream economico, vuol dire aumentare le tasse o abbassare le spese. Entrambe azioni che rallentano l’economia.

E abbassare le spese, quali ? non quelle per l’istruzione c’è da supporre, visto che lo stesso Panetta rileva la loro insufficienza. Ma allora andiamo avanti a tagliare cosa ? le pensioni ? la sanità ? gli investimenti in infrastrutture ?

Tutte queste cose sono state largamente sperimentate, dall’austerità bruxellian-montiana in poi. Ovviamente il debito non è sceso. Ovviamente la spesa per interessi non è diminuita. Ovviamente soldi in più da investire nell’istruzione o in altre cose non si sono visti. E ovviamente si è distrutta la crescita dell’economia italiana.

Ma caro Panetta, se gli interessi sono troppo alti, la soluzione è molto semplice. Fare deficit emettendo moneta. Anche senza uscire dall’euro tornando alla lira, bensì emettendo Moneta Fiscale.

Chissà come, questo Panetta non lo dice. Le soluzioni sono sempre quelle già sperimentate. Con esiti fallimentari.

 

mercoledì 21 agosto 2024

Il debito che non è debito

 

Un tema fondamentale, per risolvere i problemi dell’economia italiana, è far comprendere alla cittadinanza che il “debito” pubblico in moneta sovrana NON E’ DEBITO.

L’Italia è pesantemente condizionata, nelle sue scelte di politica economica, dall’aver convertito i propri titoli di Stato da lire a euro. A tutti gli effetti pratici, l’euro è diventato (e con ogni probabilità così era stato fin dall’inizio concepito) uno strumento di controllo politico. Una leva potentissima, in mano a interessi esterni al paese.

Nessuna entità esterna, al contrario, può forzare un paese all’insolvenza su “passività” che il paese stesso emette. I deficit pubblici possono essere eccessivi se creano livelli alti e volatili di inflazione. Ma il debito in moneta sovrana non crea condizionamenti di origine esterna.

Questo è il problema fondamentale nato, per il nostro paese, dall’ingresso nell’euro. Una moneta straniera, sopravvalutata rispetto ai fondamentali della nostra economia.

Tutto questo è chiaro e conclamato. Ma largamente ignorato dall’informazione mainstream.

Ogni contributo di informazione e comunicazione che aiuti a far comprendere tutto ciò è un passo, piccolo finché si vuole, ma è un passo nella direzione giusta.

mercoledì 14 agosto 2024

Debito pubblico, il grande equivoco

 

Il grande, gigantesco equivoco, quando si parla di finanza pubblica, è pensare che il debito sia un mezzo per finanziare le attività dello Stato.

Non è nulla di tutto questo.

I punti essenziali da comprendere sono i seguenti.

I mezzi di pagamento in circolazione, in un’economia in sviluppo, DEVONO aumentare.

Il deficit pubblico provvede a garantire che questo aumento si verifichi. Deficit vuol dire che le spese pubbliche superano le entrate fiscali: rimane un delta, che PER DEFINIZIONE resta in possesso del settore privato. Questo delta incrementa la disponibilità di potere d’acquisto del settore privato medesimo. E incrementa il suo risparmio finanziario.

Emettere debito pubblico quindi NON SERVE A FINANZIARE IL DEFICIT. Uno Stato che emette la sua moneta non ha NESSUN bisogno di emettere debito. Il deficit si finanzia da sé.

Il debito pubblico è semplicemente uno strumento di impiego del risparmio privato che si FORMA AUTOMATICAMENTE in conseguenza dei deficit pubblici. Non è indispensabile emetterlo.

Può essere un servizio utile offerto alla collettività.

Ma quanto sentite dire che lo Stato deve “garantirsi la benevolenza dei mercati”, che è “soggetto al giudizio degli investitori”, sappiatelo: è UNA SPUDORATA MENZOGNA.

 

lunedì 12 agosto 2024

Euroausterici e finanza pubblica

 

Gli euroausterici, compresi quelli un buona fede, hanno in testa parecchie idee sballate (viene da dire SOLO idee sballate) in merito a deficit e debito pubblico. Questa non è una novità.

Uno dei loro leitmotiv è che è (sarebbe) “una cretinata” affermare che il debito pubblico è credito dei privati che lo possiedono.

Se gli si dice “bene regalami i tuoi BTP, visto che non è credito, quindi non è un’attività finanziaria, non ha un valore, sarai felice di sgravartene e io da parte mia con piacere ti solleverò da questo fastidio” – se gli si dice QUESTO non sanno più cosa rispondere e non rimane loro che sviare il discorso.

Una maniera tipica di sviarlo è l’affermazione (in realtà ben poco attinente con la precedente, ma transeat) che “i titoli di Stato sono solo di chi li possiede mentre il debito pubblico è di tutti”. Ma questo sconclusionato tentativo di replica non tiene conto di parecchie cose.

Per iniziare, il debito pubblico, ovvero i titoli di Stato, non li possiedono tutti nella stessa misura, ma anche le tasse non le pagano tutti nella stessa misura. Un nullatenente paga molto poco, e peraltro non possiede neanche titoli, e non percepisce interessi. Chi possiede molti titoli e percepisce molti interessi di sicuro paga anche molte più tasse di un nullatenente.

Ancora più importante, uno stato che emette moneta può tranquillamente decidere di non emettere debito pubblico. Collocare titoli offrendo una remunerazione è una pura scelta politica. Se stampi moneta, la tua spesa può eccedere la tassazione senza alcun bisogno di emettere titoli.

Inoltre, e forse è l’argomento più importante su questo tema, TUTTE le ripartizioni delle spese e delle tasse sono scelte politiche. Possono essere scorrette, possono essere discutibili, possono essere inique: ma questo non ha niente a che vedere con il fatto che “serve debito e serve pagare interessi per finanziare il deficit”. Il deficit, se lo stato emette moneta, si finanzia da solo.

La sintesi della situazione, che agli euroausterici sfugge completamente (se poi fanno finta sono ottimi attori) è la seguente.

Uno stato che emette moneta non ha bisogno di emettere debito né di pagare interessi.

Se lo fa, è per motivi di opportunità politica. Magari giusti, magari sbagliati. Che però non hanno nulla a che vedere con una condizione di necessità.

Siccome un’economia che cresce ha bisogno che le attività finanziarie in circolazione aumentino nel tempo, è perfettamente normale che il bilancio dello stato sia in deficit, perché deficit significa eccesso di spesa pubblica rispetto alle tasse, e questo deficit rimane in tasca al settore privato realizzando, appunto, il fisiologico incremento di circolazione dei mezzi di pagamento.

Il deficit è a sua volta la differenza tra spese e tasse. La ripartizione delle spese e delle tasse è anch’essa una decisione politica. Che può essere iniqua o criticabile: ma a prescindere che le spese superino le tasse – quindi che esista un deficit – piuttosto che no.

E SOPRATTUTTO: non esiste nessun motivo per affermare che il deficit o il debito vadano ridotti perché creano problemi di “solvibilità” (a meno che non siano finanziati in moneta straniera) o di “equità intergenerazionale” (“il debito sulla testa dei nostri figli”). Se creano un problema, è legato all’inflazione. Nient’altro.

E INFINE: SI’, il debito pubblico corrisponde, CENTESIMO PER CENTESIMO, a credito privato. A valore di chi possiede i titoli. Se c’è una cosa certa, quando si parla di finanza pubblica, è questa.

 

mercoledì 7 agosto 2024

Un cambio di prospettiva per una nuova economia sociale

 Il video del convegno tenuto nella calura milanese  lo scorso 27 luglio. Il mio intervento parte circa dopo 1 ora e 29 minuti, fino a 1 ora e 50 minuti del video. Grazie agli organizzatori e a Ottolina TV.



venerdì 2 agosto 2024

Quando ci si sentiva europei

 

Ho sentito esprimere ad Alessandro Barbero un concetto che mi ha fatto molto riflettere e che ho trovato particolarmente azzeccato. 

In sintesi, si tratta di questo. Era molto più facile sentirsi europei quando l’Unione Europea non esisteva, rispetto ad oggi.

Il motivo principale è che l’Europa ha costruito, in qualche decennio dopo la Seconda Guerra Mondiale, un modello economico-sociale di successo, che ha promosso una crescita economica confrontabile a quella USA (un po’ meno se la misuriamo sulla base del PIL totale, un po’ più sulla base del PIL procapite, dato che la crescita demografica è stata inferiore).

E nello stesso tempo, ha edificato un modello di welfare di cui gli USA non sono minimamente dotati, basato su un sistema pensionistico pubblico, su una sanità pubblica a disposizione di tutti, e su scuole pubbliche di buona qualità, anche quelle aperte a tutti.

Riusciva quindi facile dire: voi sarete la superpotenza economica e geopolitica ma NOI EUROPEI abbiamo qualcosa che a voi manca. Qualcosa di molto importante.

E ora invece l’Unione Europea che cosa sta facendo ? sta cercando di smantellare questo sistema. Non a caso e non involontariamente: per citare l’ineffabile Tommaso Padoa Schioppa, sta spingendo ad “attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere”.

Con questa espressione, tanto soave in superficie quanto sociopatica nel contenuto, TPS, eurocrate fino al midollo, spiega qual è una funzione primaria, forse LA funzione primaria, della UE.

E spiega perché ha ragione Barbero: era molto più facile sentirsi europei prima, visto che dagli USA stiamo prendendo il peggio, e non ne rappresentiamo più un modello altrettanto valido se non migliore, ma una versione peggiorata - con i difetti e senza i pregi. La UE sta smantellando il motivo principale per cui si poteva fieramente dire NOI EUROPEI.

 

sabato 27 luglio 2024

La ricchezza del debito pubblico

 

Il mainstream degli economisti e degli organi d’informazione è riuscito a mettere nella testa di larga parte della popolazione il concetto che il debito pubblico impoverisca il paese, e che di conseguenza sia necessario, essenziale, vitale, indispensabile ridurlo.

E’ un’affermazione completamente infondata.

Il debito pubblico in moneta propria può essere in qualsiasi momento estinto o rifinanziato dal paese che lo emette. Non è un onere, non crea vincoli di solvibilità.

Il debito pubblico corrisponde, centesimo per centesimo, a risparmio di chi possiede i titoli. E il debito pubblico di un paese, e in particolare dell’Italia, è tipicamente detenuto da residenti del paese stesso.

Il debito pubblico è una forma di impiego del risparmio privato che viene automaticamente generato quando lo Stato spende più di quello che tassa. I titoli di Stato sono risparmio, sono valore. Ridurre l’ammontare in circolazione non significa arricchire il paese. Al contrario.

L’eccesso di spesa dello Stato rispetto alla tassazione, cioè il deficit pubblico, oltre certi livelli (che non corrispondono a nessun limite numerico definito a priori) può essere da evitare in quanto inflazionistico. Ma questo è un altro discorso, che non ha nulla a che vedere con la solvibilità dello Stato.

I “vincoli di finanza pubblica”, nei termini in cui ne parla il mainstream, sono una colossale mistificazione. Sono un problema creato senza alcuna necessità. L’ha generato esclusivamente, per quanto riguarda l’Italia, la decisione di aver rinunciato alla propria moneta. Senza alcuna ragione economica.