venerdì 20 giugno 2025

Quando la tecnologia non migliora la vita

 

A volte mi danno del tecnofobo perché sono refrattario a utilizzare (certe) innovazioni tecnologiche.

Non lo sono affatto, tecnofobo. Senza tecnologia vivremmo senza luce, gas, riscaldamento, acqua corrente, medicina e chirurgia, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione e tante, tante altre cose a cui non ho nessuna intenzione di rinunciare.

Il punto è che CERTE innovazioni tecnologiche, invece, complicano la vita e creano problemi invece di risolverli.

Faccio un esempio che non tocca certo la vita quotidiana del grande pubblico, ma è importante per certe categorie professionali (tipo la mia): i programmi di word processing come li usano gli avvocati.

Fino a quarant’anni fa o poco più, un contratto di acquisizione di azienda lo scriveva a mano un avvocato e lo dava alla segretaria da battere a macchina. La procedura era piuttosto macchinosa, quindi il contratto conteneva (se era fatto bene) le cose essenziali, ma non più di quelle.

L’intero complesso dei contratti di acquisizione, finanziamento dell’acquisto, dettagli, allegati era composto magari da 40 pagine.

Entra in scena il PC.

Nello stesso tempo in cui prima si scrivevano 40 pagine, adesso se ne scrivono 400.

Pensate quindi che si sia ottenuto un incremento di efficienza e di produttività ?

Ripensateci. Le 40 pagine si riusciva a leggerle e a capirle. Le 400 pagine difficilmente si riesce, anzi spesso le parti in causa (venditore, compratore, finanziatore) non ci provano neanche

Il primo risultato è che nessuno capisce esattamente su cosa ci si è messi d’accordo.

Il secondo risultato è che, siccome l’avvocato NON ha scritto 400 pagine ex novo ma ha preso pezzi di documenti precedenti e ha cercato di copia  incollarli, adattarli e renderli coerenti, le incongruenze e le contraddizioni sono all’ordine del giorno.

Ne cito una banale che mi è successa (ma si vede di molto peggio): nel testo principale del contratto un certo pagamento di interessi era previsto tutti gli anni ad aprile, nell’allegato di sintesi (fatto apposta per "chiarire" quello che non si capiva leggendo il contratto) a giugno.

Il punto è che puoi scrivere dieci volte più velocemente di prima, ma non puoi leggere e comprendere dieci volte più velocemente di prima.

E non crediate che gli avvocati scrivano di più per farsi pagare di più. In realtà i costi legali sono casomai diventati più bassi rispetto al valore della transazione.

Io sarei assolutamente felice di pagare di più, non di meno, l’avvocato che scrive 40 pagine invece di 400. Ma se avanzo una richiesta del genere, mi rispondono che non si può comprare un’azienda senza centinaia di pagine di testi contrattuali (perché non si può ? perché la best practice prevede centinaia di pagine. Anche se per secoli ne è bastato un decimo. Boh.).

Ecco, questo è un esempio di (applicazione della) tecnologia che butterei volentieri dalla finestra.

 

mercoledì 18 giugno 2025

Panzane e no

 

Commento ricevuto relativamente a questo post:

“Sì vero, basta incrementare i deficit e le sofferenze umane finirebbero all’istante. Nella pratica nessuno lo fa perché sono panzane. Neanche agli studenti di Macro 1 si raccontano queste bestialità”.

No, effettivamente agli studenti di Macro 1 queste “bestialità” non si raccontano. Si racconta invece una panzana vera: si racconta che Stati gestori della propria moneta abbiano un problema di finanziamento del deficit e della spesa. Come possa essere vero, come possa essere creduto, è un mistero gaudioso. Produco a costo zero una cosa ma devo “farmela prestare” ???

Ci sono limiti ai livelli appropriati di deficit pubblico (limiti connessi, essenzialmente, all’inflazione). Ma che il problema sia finanziarlo, è una delle grandi bugie della storia umana.

martedì 17 giugno 2025

Non è che i politici al governo siano tutti disonesti…

 

…il problema è che chi sta al governo subisce l’influenza di grossi interessi privati.

Quindi che alternative ha ?

Se è disonesto, si allinea (facendosi adeguatamente compensare).

Se è integerrimo al 100%, gli interessi esterni trovano il modo di metterlo in condizione di non nuocere (a loro).

Se è magari benintenzionato ma pragmatico, scende a compromessi. Cercando di ottenere qualcosa a beneficio di chi lo ha eletto, ma evitando di valicare certe linee rosse (e un politico arrivato in posizioni di governo di solito capisce molto bene quali sono, queste linee rosse. Se no, non dura).

Non è il massimo, non è il meglio, ma funziona così.

domenica 15 giugno 2025

Non è il risparmio che finanzia il deficit

 

Come facciamo a finanziare il deficit pubblico ? per fare deficit occorre risolvere il problema di finanziarlo. Bisogna attingere al risparmio privato il che primo, non è ovvio né scontato; secondo, lascia meno soldi in circolazione per la spesa e per gli investimenti privati.

Vero ?

No.

No

NO………….

Il deficit pubblico IMMETTE soldi nell’economia. La differenza tra spesa pubblica e tasse raccolte, che è il deficit pubblico, LASCIA MAGGIORI RISORSE NEL SETTORE PRIVATO DELL’ECONOMIA.

Non esiste NESSUN problema di finanziamento del deficit pubblico. Casomai è il deficit pubblico che finanzia il settore privato.

Non esiste, a meno di aver deciso, senza alcuna motivazione logica né economica, che lo Stato spenda moneta che non emette.

Non esiste a meno di spendere moneta straniera.

Come ad esempio l’euro.

domenica 8 giugno 2025

Gli italiani investono male ?

 

Perché così tanti sentono la necessità di parlare di economia e finanza senza fermarsi cinque minuti a riflettere ?

L’ultima, letta qualche giorno fa: gli italiani sono dei pessimi investitori finanziari. Da che cosa si deduce ? dal fatto che negli ultimi dieci anni la ricchezza finanziaria degli italiani si è incrementata del  60%. Ma il valore del mercato azionario mondiale si è invece accresciuto del 500%.

Per cui gli italiani sarebbero molto più ricchi se avessero impiegato una parte molto maggiore del loro risparmio in titoli azionari. E perché non lo fanno ? incompetenza, disinformazione, analfabetismo finanziario. Urge intervenire, no ?

No.

Volete sapere quali sono i macrotermini del problema ? ve li dico in termini di ordini di grandezza, perché i valori oscillano giorno per giorno. Ma approssimando le grandezze al centinaio di migliaia di miliardi (centinaio di trillioni) scopriamo che:

il PIL mondiale si aggira intorno a 100.000 miliardi di euro

il valore complessivo delle borse è dello stesso ordine di grandezza: 100.000

il valore del risparmio finanziario è circa 400.000, perché ai 100.000 di valori azionario si aggiungono 300.000 miliardi di titoli di debito (in quanto il debito di qualcuno è un’attività finanziaria di qualcun altro).

Per cui:

non stupisce affatto che i valori di borsa crescano più rapidamente (nei periodi in cui la borsa sale) dei valori totali del risparmio finanziario. Perché la borsa rende di più (in media, nel tempo), ma la popolazione NON PUO’ investire tutto il suo risparmio finanziario in borsa. Ma non per incompetenza, incultura o avversione al rischio.

Non può perché non ci sono abbastanza titoli azionari in cui investire. Non ci sono nel senso che non esistono.

mercoledì 4 giugno 2025

Ebbene sì, le tasse servono

 

Non bisogna lasciarsi trascinare dalla vis dialettica nel dibattere con gli euroausterici. Non bisogna lasciarsi andare ad affermazioni scorrette.

A volte sento esprimere ad attivisti MMT il concetto che “uno Stato che emette moneta non ha bisogno delle tasse per spendere”. Il che è vero nel senso che se lo Stato è il monopolista dell’emissione monetaria, e la moneta emessa dallo Stato è quella che deve essere utilizzata per pagare le tasse, PRIMA lo Stato spende e POI lo Stato tassa.

Ma questo non deve indurre a credere che uno Stato, con le dimensioni che il settore pubblico tipicamente assume, possa evitare, su base continuativa, di imporre tasse (e la MMT, applicata e interpretata correttamente, su questo è in realtà molto chiara).

La ragione è che la spesa pubblica al netto delle tasse prelevate, cioè il deficit pubblico, immette moneta nell’economia. E la crescita della moneta in circolazione deve essere pari a qualche punto percentuale all’anno, perché il potenziale di crescita del PIL nominale è di qualche punto percentuale. Non di DECINE di punti percentuali: a meno di accettare decine di punti annui di inflazione, intesa come crescita media dei prezzi.

Se la spesa pubblica è pari al 20%, al 30%, al 50% del PIL, una parte preponderante di questi ammontari deve essere sistematicamente prelevata in forme varie di tassazione.

O limitiamo la dimensione del settore pubblico a una frazione dell’attuale…

…oppure… le tasse dovranno, già solo per questa ragione, continuare ad esistere.

lunedì 2 giugno 2025

Moneta fiscale e indipendenza delle banche centrali

 

Le banche centrali pretendono di essere indipendenti dalla politica ma non rinunciano, spesso e volentieri, a fare politica. Nell’eurozona e in particolare in Italia, questo l’abbiamo molto chiaro in testa, quantomeno a partire dalla lettera Draghi – Trichet del 2011.

L’eurozona, area monetaria disottimale caratterizzata da una moneta senza stato, ovviamente è un caso limite. Però il problema è emerso e sta emergendo anche in altri contesti.

Al mancato, o ritardato, intervento della Bank of England nel sostenere i titoli di Stato britannici è attribuita la caduta del governo di Liz Truss, nel 2022. E Trump negli USA appare spesso in contrasto con la Federal Reserve riguardo alla politica monetaria.

Qui non entro nel merito su chi abbia, o abbia avuto, ragione o torto per quanto attiene a questi contrasti. Ribadisco però le mie perplessità (eufemismo) su quanto sia opportuno attribuire un potere di condizionamento così forte sulla politica economica a organi che si muovono in opposizione a un governo democraticamente eletto.

Di questo passo, potrebbe prendere piede (in qualche misura sta già avvenendo) una soluzione molto semplice e molto, molto efficace. L’emissione di Moneta Fiscale da parte dei governi. Titoli di credito fiscale a libera circolazione.

Le banche centrali scoprirebbero a questo punto che il loro monopolio nella gestione della moneta è scritto sulla sabbia.

 

giovedì 29 maggio 2025

La moneta fiscale, qualche anno dopo

 Ad anni di distanza, ho trovato interessante rileggere questo articolo di Roberto Perotti ma soprattutto il dibattito che si è sviluppato nei commenti, tra l'autore e i proponenti del progetto - Biagio Bossone, Massimo Costa, Stefano Sylos Labini, Giovanni Zibordi e naturalmente il sottoscritto.

Qualcuno ha fatto considerazioni assennate, qualcun altro meno. A voi il giudizio.

martedì 27 maggio 2025

Il rating del debito pubblico è importante ?

 

Si ritiene comunemente che il rating del debito pubblico sia importante perché da quello dipende il costo che il paese sostiene per finanziarsi.

Beh, non è così.

Il rating influenza il costo del debito IN MONETA STRANIERA, o comunque il costo di un debito NON SOSTENUTO DA UN PROPRIO ISTITUTO DI EMISSIONE.

Se il debito è espresso in una moneta emessa da un soggetto sotto il pieno controllo del governo, il costo del debito dipende esclusivamente da quanto il governo medesimo decide di riconoscere ai titolari del debito stesso. In Giappone il costo è stato prossimo o pari a zero per decenni.

Tutto ciò, fermo restando che uno Stato che emette la propria moneta non ha alcun bisogno di emettere debito per finanziare le proprie attività. Naturalmente se esagera rischia di creare inflazione; ma in quest’ultimo caso, ciò avviene sia che si emettano, sia che non si emettano, titoli di debito.

domenica 25 maggio 2025

Capone e Stagnaro, grazie in anticipo per le spiegazioni…

 

Luciano Capone e Carlo Stagnaro hanno identificato nel Superbonus le cause del fallimento dello Stato italiano, dato per sostanzialmente già avvenuto - almeno a giudicare dal titolo del loro libro.


Però questa previsione, o constatazione, non risulta un granché coerente con novità recenti, tipo questa


e questa


Che ne dite, Stagnone e Caparo sapranno spiegarci il perché ?

mercoledì 21 maggio 2025

Keynes e l’”encroachment of ideas”

 


“Sono sicuro che il potere degli interessi consolidati è grandemente sovrastimato rispetto alla graduale penetrazione delle idee”.

“Graduale penetrazione delle idee”. Questa è la traduzione corretta di “encroachment of ideas”. E così la pensava John Maynard Keynes. Ma ho il timore che fosse troppo ottimista.

In pratica, JMK riteneva che idee inizialmente, apparentemente, astratte e accademiche, possano nel tempo penetrare nella mentalità comune e nelle decisioni pratiche, spesso senza che la pubblica opinione e i decisori politici ne siano consapevoli.

Nella “Teoria Generale” il concetto è esplicitato nei termini seguenti:

“Le idee degli economisti e dei filosofi politici, sia quando sono giuste che quando sono sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In effetti, il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si credono del tutto esenti da qualsiasi influenza intellettuale, sono di solito schiavi di qualche economista defunto”.

Nel contesto del suo lavoro, Keynes quindi usava questo concetto per evidenziare come le sue stesse teorie economiche (e in particolare l’importanza dell’intervento statale per stimolare la domanda in periodi di crisi) potessero gradualmente sostituire il pensiero economico classico, e in particolare la fede nel laissez-faire e nelle capacità di autoregolazione del mercato.

L’”encroachment” quindi è (sarebbe) una trasformazione culturale e intellettuale che si consolida nel tempo.

Perché ho il timore che Keynes fosse troppo ottimista ?

Perché dopo una ventina d’anni di prove incontrovertibili che il mercato non si autoregola, che l’intervento anticiclico dei decisori politici è essenziale per risolvere le crisi, che il debito pubblico non impoverisce i paesi, che utilizzare una moneta non emessa dallo Stato è pericolosissimo…

…dopo una ventina d’anni di accumulo di queste prove, siamo ancora in preda a decisori politici che parlano della necessità di “consolidare le finanze pubbliche” e di “preservare l’indipendenza delle banche centrali”. Ed altre simili amenità.

E questo è difficile da spiegare se non con la constatazione che i poteri consolidati, i ”vested interests” hanno un potere tutt’altro che sovrastimato.


domenica 18 maggio 2025

Destra, sinistra e l’inutilità di certe classificazioni

 

Ringrazio in anticipo chi mi saprà spiegare come mai una frase ricorrente di molte persone (che si dichiarano essere) di sinistra è “se dici di non essere né di destra né di sinistra, sei di destra”.

E ringrazio anche chi mi saprà spiegare quale sia la necessità di attribuire etichette.

Io vengo spesso ritenuto essere di destra da persone (che si definiscono) di sinistra, e di sinistra da persone (che si definiscono) di destra.

Forse che la realtà è un po’ più complessa ? su tutti i temi politici, economici, sociali esistono variazioni e sfaccettature che sono un tantino troppo articolate per essere inquadrate in una distinzione binomiale.

Personalmente mi documento, rifletto e cerco (non sempre riesco) di formarmi un’opinione. E ascolto quella del prossimo. Disponibile a lasciarmi convincere (o meno) dalle argomentazioni di chiunque.

A prescindere da come si autoetichetta, ammesso che lo faccia. Ma apprezzo se non lo fa, o meglio apprezzo che le sue argomentazioni non siano fondate sull’etichetta che (eventualmente) si attribuisce.

giovedì 15 maggio 2025

L’intelligenza non si può misurare

 

Mi fa sorridere sentir parlare di “quoziente d’intelligenza” e vedere dei tentativi di quantificarlo, di affermare che a 100 sei una persona normale, a 120 sei brillante e a 150 sei un genio.

Mi fa sorridere perché ritengo che l’intelligenza non possa essere non dico misurata, ma neanche definita con precisione.

Arrivo a sostenere che l’intelligenza non esiste. Esistono attitudini. Esistono capacità. Di vario tipo, e nessuno le possiede tutte, e neanche la maggior parte.

Chi ha forti capacità analitiche spesso non ha competenze adatte a creare relazioni interpersonali.

Chi si esprime molto bene oralmente a volte non è altrettanto efficace per iscritto.

Chi ha attitudini grafiche magari è scarso nella memorizzazione di dati e testi.

Chi ha talento nella manipolazione di strutture fisiche può essere mal coordinato sul piano motorio.

I cosiddetti test di intelligenza ben che vada possono essere utili per valutare alcune di queste attitudini.

Ma nessuna attitudine di per sé rappresenta quello che comunemente s’intende per “intelligenza”.

Corollario: attenzione a sottostimare il prossimo perché lo si giudica “poco intelligente”. Scoprirai che qualche attitudine, di scarso rilievo in un particolare contesto ma essenziale in un altro, la possiede – e magari molto più di te.

domenica 11 maggio 2025

Il deficit pubblico che non si finanzia

 

Come si può credere che esista un problema di “finanziamento del deficit pubblico” ?

Con il deficit pubblico, con l’eccesso di spesa governativa rispetto alle tasse prelevate, si IMMETTONO soldi nell’economia privata.

Non è il risparmio dei privati che deve essere utilizzato per finanziare il deficit pubblico. E’ il deficit pubblico che PRODUCE RISPARMIO PRIVATO.

Avere in testa che lo Stato abbia bisogno di “raccogliere risparmio se vuole spendere più di quanto tassa”, cioè se il suo bilancio è in deficit, equivale ad accettare che l’emissione di moneta non sia una funzione statale.

E come si può accettare che non sia una funzione statale ?

Significa demandare a interessi privati la gestione del sistema economico-monetario.

Significa svuotare di contenuto l’attività statale, e quindi vanificare il controllo dell’elettorato su di essa.

Significa svuotare di contenuto la democrazia.

giovedì 8 maggio 2025

Il cosiddetto debito pubblico

 

Il cosiddetto “debito pubblico” espresso in moneta propria, cioè in moneta emessa dallo Stato, NON E’ DEBITO. E’ un deposito vincolato, con un termine di scadenza per il suo rimborso, presso il ministero dell’economia dello Stato emittente.

Il deposito può (non necessariamente deve) essere cartolarizzato mediante emissione di titoli di Stato. Questo ovviamente ne agevola la trasferibilità. Ma rimane un deposito monetario.

E se è un deposito monetario in moneta di Stato, non esiste che possa creare un problema di insolvenza. Può creare un problema di inflazione. MA NON UN RISCHIO DI CREDITO.

Il rischio di insolvenza sul cosiddetto “debito pubblico” esiste se, e solo se, il debito è emesso in moneta NON DI STATO. In pratica, se è emesso in moneta straniera… o in moneta emessa da una banca centrale NON controllata dallo Stato.

lunedì 5 maggio 2025

Draghi è competente – in che cosa ?

 

A sentire gli euristi incalliti, la salvezza dell’Eurozona e della UE passa attraverso l’implementazione del “piano Draghi per il miglioramento della produttività”.

Ma una domanda che i summenzionati euristi farebbero bene a porsi è: quali sono le credenziali di Draghi riguardo all’identificare, ancora prima che ad applicare, politiche di rilancio della produttività, e in generale dell’economia reale ?

Mario Draghi ha indubbiamente dimostrato di avere le doti necessarie per conseguire una carriera di primissimo piano nelle istituzioni nazionali e sovrannazionali.

Detto ciò... quali sono le sue credenziali in materia di politica e gestione industriale / aziendale ?

Ha evitato il collasso dell’euro (senza risolverne le disfunzioni) pronunciando tre parole. Non ci voleva molto a capire che erano quelle giuste. Magari non era altrettanto facile ottenere il consenso politico per formularle. O forse sì, dato che non c’era alternativa, a quel punto, se non il crollo del sistema.

Ma facile o difficile che fosse ottenere quel risultato, l’opinione di Draghi in merito a come occorre sviluppare, riformare, far evolvere un sistema economico che coinvolge qualche centinaio di milioni di persone non è meno rispettabile di quella di tante altre persone. Ma nemmeno di più.

Che il piano Draghi sia il libro dei miracoli, possiamo augurarcelo. Però nulla lascia pensare che valga la pena di scommetterci.

 

sabato 3 maggio 2025

L’alibi della piccola dimensione

 

Un luogo comune degli euristi / europeisti / euroausterici è che uno dei problemi strutturali dell’economia italiana sia la piccola dimensione media delle aziende.

A sentire per esempio le proposte di Luigi Marattin, gli incentivi alle aggregazioni dovrebbero essere un elemento non secondario delle azioni di politica economica.

I dati a sostegno di questa posizione sono facilmente confutabili. Trovate qui la spiegazione del perché la minore produttività delle PMI è solo apparente, e qui del perché i dati sulle retribuzioni medie vadano interpretati diversamente.

In effetti chi insiste sul tema “piccolo è brutto” dovrebbe porsi una domanda molto semplice.

La dimensione media delle aziende italiane è sempre stata inferiore a quella britannica, francese, tedesca, per non dire statunitense. Ma questo non ha impedito, per mezzo secolo, all’economia italiana di crescere più velocemente, e di guadagnare terreno, rispetto alle medie occidentali.

Questa tendenza si è bruscamente invertita a fine anni Novanta, non perché le aziende italiane si siano improvvisamente rimpicciolite, ma perché l’Italia ha preso la scellerata, catastrofica decisione di entrare nell’euro.

La piccola dimensione delle aziende italiane è figlia delle caratteristiche degli imprenditori, che a loro volta riflettono quella della popolazione.

L’italiano è tipicamente un grande individualista. Creativo, mentalmente flessibile, spesso geniale nel risolvere situazione impreviste, intuitivo. Ma poco organizzato, a disagio nell’inquadrarsi in grandi organizzazioni, nell’irregimentarsi in strutture rigide.

La piccola dimensione media delle aziende è un alibi eurista. Uno dei vari, implausibili tentativi da negare quale disastro sia stato e continui a essere l’euro per l’Italia.

lunedì 28 aprile 2025

Che cosa NON è il deficit pubblico

 

NON è un onere che incombe sulle future generazioni.

NON è un’indicazione che i politici siano spreconi e disonesti, e/o che comprino consenso con i soldi pubblici.

Ridurlo o azzerarlo NON è virtuoso.

Il deficit pubblico serve a immettere potere d’acquisto nell’economia. E in un’economia che cresce, il potere d’acquisto in circolazione DEVE aumentare gradualmente nel tempo.

Più lentamente se l’economia tende a surriscaldarsi. Più velocemente se l’economia è fiacca.

Il deficit pubblico è una condizione necessaria delle economie.

Prova ne è il fatto che tutti gli Stati sono quasi sempre in situazione di deficit pubblico.

Il pareggio di bilancio è una condizione anomala e transitoria, non un obiettivo da perseguire.

Il deficit pubblico è la normalità.

sabato 26 aprile 2025

Indipendenza e potere

 

L’indipendenza dell’istituto di emissione monetaria è un vulnus per la democrazia, perché mette un potere enorme in mano a un organismo non responsabile di fronte all’elettorato.

Questo è un fatto incontrovertibile. Ma, sento spesso obiettare, se la moneta fosse emessa e gestita dal Tesoro, dal Ministero dell’Economia, i grandi interessi finanziari eserciterebbero comunque una grande influenza, perché sono in grado di offrire cariche, carriere e retribuzioni ai funzionari che “si comportano in modo affidabile”.

E’ vero. La funzione di emissione monetaria rimessa sotto il controllo di un governo democraticamente eletto non è la panacea. Non risolve il problema dell’influsso degli interessi privati.

Non totalmente. Però esercita un importante contrappeso. Il potere dei soldi nel condizionare la politica esiste a tutti i livelli e in tutte le funzioni di governo. Il controllo democratico è fondamentale per contenere l’influenza degli interessi economici privati ed evitare che siano l’unico tipo di condizionamento in tema di gestione della moneta, così come, in effetti, in qualsiasi area della pubblica amministrazione.

E’ una questione di equilibri. La forma di governo ideale non esiste nemmeno in teoria, figuriamoci in pratica. Ma l’indipendenza dell’istituto di emissione è pessima, sia in teoria che in pratica.

giovedì 24 aprile 2025

Una (delle tante) contraddizioni degli euroausterici

 

Tra le (poche) argomentazioni con cui gli euroausterici cercano di difendere / giustificare la scellerata decisione italiana di entrare nell’euro, quella forse più gettonata è che l’euro “ci avrebbe forzati ad avviarci sulla strada giusta, a fare le riforme necessarie, a diventare finalmente seri”.

Ammesso che l’affermazione secondo la quale “eravamo sulla strada sbagliata” fosse corretta (non lo è) l’argomentazione si smonta da sola, e non è difficile spiegare perché.

Se ti infili una camicia di forza per “costringerti a fare le cose giuste” e dopo un quarto di secolo scopri che i risultati sono stati disastrosi, le spiegazioni possibili sono solo due.

O “le cose giuste” non le hai fatte, e quindi la camicia di forza non ha funzionato.

O “le cose giuste” le hai fatte.

Ma giuste non erano.

lunedì 21 aprile 2025

Il debito vero

 

L’antipatia di Trump per i deficit commerciali degli USA nasce in fondo, in larga misura, dallo stesso equivoco in cui cade chi si preoccupa del debito pubblico in moneta propria.

Non è affatto vero che i deficit commerciali USA siano insostenibili, per il semplice motivo che gli USA pagano le importazioni in dollari.

E’ la stessa ragione per cui non preoccupa un debito pubblico in moneta nazionale, mentre può creare guai un debito pubblico in moneta straniera (ed è per questo che l’Italia ha commesso un gravissimo, tremendo errore convertendo il suo debito in lire in debito in euro).

Gli USA non hanno nessun problema finanziario, né oggi né in prospettiva. Salvo quelli che rischiano di crearsi da soli.

venerdì 18 aprile 2025

La lira, i chiodi e il martello

 

Sono davvero comici gli euroausterici che ti accusano di “voler risolvere qualsiasi problema con la lira” (più esattamente, con la reintroduzione di una moneta nazionale).

Pensiamo che tutti i problemi dell’economia nascano da quello ? pensiamo che tutti i guai si risolvano con quello ?

No che non lo pensiamo.

Quello che sappiamo però è che per piantare un chiodo ci vuole un martello.

Disporre di un martello non risolve tutti i problemi della vita. Però permette di piantare il chiodo.

Ostinarsi a non usare il martello perché qualcuno ha detto che si poteva fare con le mani, ottiene invece di ferirsi. Alle summenzionate mani.

E di non piantare il chiodo.

mercoledì 16 aprile 2025

La Moneta Fiscale risolve

 

Immettere moneta nell’economia

Il deficit pubblico viene tipicamente demonizzato.

Si pretende che sia un indicatore di inefficienza e spreco.

E’ invece una caratteristica del tutto normale delle economie che si sviluppano.

Via via che le grandezze reali e nominali dell’economia crescono, deve crescere anche la circolazione di potere d’acquisto.

Il deficit pubblico immette potere d’acquisto perché se lo Stato spende più di quanto tassa, il settore privato riceve più attività finanziarie di quante ne paga.


Perché non si può fare affidamento solo sul credito privato

La moneta viene immessa nell’economia anche per il tramite dell’erogazione di finanziamenti bancari e degli intermediari finanziari in genere.

Ma il credito privato è prociclico: i soggetti privati lo espandono nei periodi favorevoli, creando bolle, e lo contraggono nei momenti negativi, peggiorando le recessioni.

Per questo la creazione PUBBLICA di moneta mediante il deficit dello Stato si DEVE affiancare alla creazione da parte del settore privato – e deve essere gestita in maniera ANTICICLICA.


La Moneta Fiscale risolve le disfunzioni dell’eurosistema

L’eurosistema è disfunzionale in primo luogo perché demonizza il deficit pubblico: in linea di principio vorrebbe che non esistesse.

Questo perché non esiste la volontà di garantire, da parte dell’istituto di emissione, i deficit e i debiti pubblici degli Stati.

Il credito fiscale a libera circolazione, altrimenti detto Moneta Fiscale, emesso dai singoli Stati risolve il problema perché elimina il rischio d’insolvenza in quanto non deve essere rimborsato.


Il Superbonus ha dimostrato l’efficacia dello Moneta Fiscale

Il Superbonus 110% ha costituito un esempio di applicazione della Moneta Fiscale nell’ambito dell’economia italiana.

Ha prodotto un rimbalzo di PIL, dopo la fine dei Covid-lockdown, molto superiore alle previsioni.

E l’ha prodotto senza incrementare il rapporto debito pubblico / PIL rispetto alla situazione pre-Covid.

Tutto ciò nonostante evidenti difetti di impostazione, che comunque possono essere facilmente corretti:

·      Applicazione a un unico settore e non a un ampio ventaglio di interventi.

·      Dimensionamento in linea di principio illimitato.

·      Aliquota 110% che disincentivava la formazione di prezzi corretti per gli interventi finanziati.


Dai CCF al SIRE

Proposta originaria di Moneta Fiscale: i Certificati di Compensazione Fiscale. Moneta Fiscale della forma di titoli di Stato non debitori.

SIRE: Sistema Integrato di Riduzioni Erariali. Strumento finanziario utilizzabile mediante carte elettroniche, anche per pagamenti correnti / quotidiani; conti centralizzati gestiti dal Ministero dell’Economia.

Il deficit di bilancio è attuabile mediante accrediti diretti su conti SIRE, senza necessità di emettere titoli e di creare uno strumento di trading speculativo.

Questi conti sono movimentabili anche nell’ambito di transazioni tra privati, creando una vera e propria moneta di Stato, che può circolare fianco a fianco con l’euro senza (necessariamente) sostituirlo.

 

domenica 13 aprile 2025

Di che cosa si parla in Italia

 

Ogni volta che qualcuno esprime un’opinione controversa o anche solo discutibile (come sono discutibili tutte le opinioni) non manca mai il commento “ma perché in Italia si parla sempre di quello che non si conosce” ?

Il che invariabilmente mi suggerisce una riflessione. Chi attribuisce agli italiani il vizio di “parlare di ciò che non sanno” ha mai attuato approfondite analisi e confronti internazionali per valutare se all’estero sia diverso ?

Io ho invece il sospetto, corroborato dalla mia esperienza pratica (che per carità, non è un’analisi strutturata e approfondita) che tutto il mondo sia paese, e che dappertutto il commento da bar sia una prassi ricorrente.

Poi certo, forse all’estero sono meno diffusi i bar, quindi i commenti estemporanei magari è più facile ascoltarli in palestra, in metropolitana, su un taxi o al supermercato.

Inoltre adesso ci sono i social networks, che danno a tutti la possibilità di dire la loro e di essere ascoltati, o letti, da qualcuno.

Ma più in Italia che altrove ? non credo.

martedì 8 aprile 2025

L’unità che non è mai durata

 

Agli amanti dei riferimenti storici, ricordo che l’unità politica europea è stata temporaneamente realizzata, con mezzi alquanto ruvidi, tre volte nella storia del mondo, e che non è mai durata a lungo.

Il primo tentativo è stato quello di Carlo Magno. Impero immediatamente spaccato in tre parti alla sua morte.

Il secondo, quello di Napoleone. Durato pochi anni, finché non l’hanno spedito all’Elba prima, e a Sant’Elena poi.

Il terzo, quello di Hitler. Esito finale, l’Armata Rossa a Berlino.

A chi volesse rievocare l’Impero Romano, ricordo che si trattava sostanzialmente di un impero mediterraneo. A parte l’Italia, le zone più floride e civili erano il Nordafrica, la Grecia, l’Egitto e il Medio Oriente. La Britannia era una propaggine di scarso interesse. La Germania si è rinunciato a occuparla dopo l’imboscata nella selva di Teutoburgo (“Varo legiones redde”) ma in effetti era poco attrattiva anche quella, foreste freddo e nebbia, poco altro di interessante. Essere spediti a guardia del limes centro-orientale era qualcosa a cui i legionari francamente non ambivano.

L’Europa è un’entità culturalmente, linguisticamente, climaticamente disomogenea. Mettere insieme quello che ha poco in comune se non la limitrofia territoriale è sempre finito male. E non stupisce.

 

domenica 6 aprile 2025

Trump, i dazi e la globalizzazione


La mossa aggressiva, anche più del previsto, dell’amministrazione Trump, l’introduzione di dazi molto pesanti, è un grosso colpo contro la globalizzazione. E la globalizzazione ha fatto grandi danni. Per cui al di là delle incertezze, al di là della caduta dei mercati azionari, al di là delle comprensibili inquietudini, c’è da esserne contenti.

O no ?

Non ne sono così sicuro.

Il problema della globalizzazione, e l’ho detto più volte già anni fa, vedi ad esempio qui, è l’aver messo le classi meno abbienti dell’Occidente in diretta concorrenza con i lavoratori dei paesi emergenti. Invece di tutelare il potere d’acquisto dei cittadini occidentali a fronte di una crescita dei paesi ex poveri, si è criminalmente preteso di farli incontrare a mezza strada.

Criminalmente ? sì, perché mentre i redditi del ex terzo mondo aumentavano, quelli dei ceti medi, medio-bassi e bassi del primo mondo calavano. E insieme ai redditi reali, anche le tutele sociali e il welfare.

La globalizzazione è stata gestita così. Si è raccontato che era inevitabile. Ma non lo era. L’appropriato utilizzo dei deficit pubblici avrebbe consentito di redistribuire i vantaggi prodotti da delocalizzazione e globalizzazione, ripartendoli anche a vantaggio del lavoro e non solo del capitale.

Non era necessario abbattere le tutele sociali. Non era necessario comprimere gli investimenti pubblici. E invece si è fatta austerità in Europa con la scusa (totalmente inventata) dell’insostenibilità dei debiti pubblici; e si sono invece accettati i deficit pubblici negli USA ma solo per tagliare le tasse ai ricchi e alle aziende (quindi ancora ai ricchi, perché in azioni investono i benestanti).

Adesso Trump usa la leva dei dazi per riequilibrare i saldi commerciali esteri. Ma ammesso che ci riesca (ed è tutto da scoprire) almeno a parole (a fatti vedremo) la sua amministrazione spinge anche sulla necessità di comprimere deficit e debito pubblico. Altro che rilancio del welfare.

Il debito pubblico e il debito estero USA sono IN DOLLARI. Non c’è nessuna, proprio nessuna, situazione di insostenibilità finanziaria. Né oggi né in prospettiva.

Per correggere le distorsioni, pesantissime, della globalizzazione così come è stata attuata, serve un rilancio dei deficit pubblici (azzerare il patto di stabilità nella UE) e un riorientamento della spesa verso finalità sociali (negli USA).

Ma l’Unione Europea è aperta a un ampliamento dei deficit pubblici solo per il riarmo, e gli USA parlano di contrarre il deficit.

Tutto questo non mi piace. Il problema della globalizzazione, per l’Occidente, non è azzerarla ma correggerne le distorsioni. E la correzione non la vedo avvenire. Non tramite i dazi USA, comunque.

martedì 1 aprile 2025

Le confusioni su risparmio, investimenti e saldi esteri

 

Spesso sento dire a politici e giornalisti, ma anche ad economisti e operatori finanziari, che sarebbe di grandissima utilità “fare in modo che venga investito in Italia il risparmio che oggi invece defluisce all’estero”.

E come non di rado avviene, constato che questa affermazione riflette parecchia confusione in merito alla contabilità nazionale, per non dire in merito alla pura e semplice ragioneria (leggasi partita doppia).

Vediamo un po’. Gli italiani detengono risparmio investito all’estero ? certo che sì. Secondo i dati Bankitalia, al 30.9.2024 i residenti italiani possedevano la bellezza di 3.925 miliardi di attività patrimoniali estere: azioni, obbligazioni, aziende, immobili eccetera.

Naturalmente ci sono anche attività patrimoniali italiane possedute da stranieri, e anche in questo caso l’importo è ragguardevole, ma inferiore: 3.660 miliardi.

La differenza tra questi due importi è la cosiddetta NIIP (Net International Investment Position) che è quindi positiva (eccesso di investimenti italiani all’estero rispetto agli investimenti esteri in Italia) per 265 miliardi.

Come si è formato questo eccesso ? la causa principale sono gli scambi di beni e servizi. Nel 2024, l’Italia ha registrato un surplus (eccesso di esportazioni rispetto alle importazioni) pari a 59 miliardi. E surplus di queste dimensioni sono da alcuni anni una caratteristica strutturale della nostra economia.

E’ importante capire che un surplus commerciale estero produce AUTOMATICAMENTE una crescita della NIIP. Per pagare le esportazioni, il compratore straniero trasferisce attività patrimoniali in suo possesso all’esportatore italiano. Oppure si fa finanziare da un intermediario italiano, che quindi si ritrova con un aumento di crediti o di partecipazioni verso l’estero.

Chiaro ? o l’esportatore italiano, o il finanziatore italiano dell’importatore estero, si ritrova PER DEFINIZIONE un incremento di attività patrimoniali estere. Si verifica quello che viene (in modo fuorviante) definito un “deflusso di risparmio verso l’estero”.

Una via per “far rientrare il deflusso” cioè per diminuire la NIIP, magari facendola addirittura diventare negativa, è andare in deficit commerciale. E’ questo che si vuole ottenere ? equivale a indebitarsi verso l’estero, o a vendere attività estere possedute dall'importatore italiano, per finanziare acquisti italiani di beni e servizi prodotti altrove. Non mi pare una grande idea e di sicuro NON significa “riportare risparmio italiano in Italia”.

Ma tutto questo riguarda i flussi. Non si può invece lavorare sugli stock ? per esempio non dico tutti i 3.925 miliardi di attività italiane all’estero, ma un pezzo, che so il 10% quindi la bellezza di quasi 400 miliardi, potrebbero essere disinvestiti e “rientrare in Italia”.

Certo, potrebbero. Ma per fare cosa ? Se il rientro avviene a fronte di un peggioramento della NIIP, significa che l’Italia ha trasformato il suo surplus commerciale in un deficit. Questi soldi vanno quindi ad alimentare acquisti di beni e servizi ESTERI. Non produzione e non occupazione italiana.

Se la NIIP non peggiora e il surplus commerciale estero non muta, significa che non abbiamo aumentato gli acquisti netti di beni e servizi esteri, ma a fronte della diminuzione di attività abbiamo diminuito anche le passività. Per esempio abbiamo rimborsato finanziamenti esteri. O abbiamo ricomprato azioni italiane oggi possedute da stranieri.

Tutto questo può essere un bene, un male o un fatto irrilevante. Faccio però notare due cose.

La prima è che gli stessi soggetti che parlano dell’utilità di “far rientrare il risparmio italiano” di solito tessono anche le lodi del “far affluire capitali stranieri in Italia”. Della serie, una cosa ma anche il suo contrario.

La seconda è che nel momento in cui i residenti italiani ricomprano azioni possedute da stranieri, o estinguono debiti verso l’estero, NON METTONO NEANCHE UN CENTESIMO IN PIU’ a disposizione dell’economia italiana. Cambiano solo l’intestatario di un titolo azionario o di un finanziamento o di un’attività patrimoniale di altra natura.

E’ appropriato mettere risorse finanziarie in più a disposizione dell’economia italiana ? certo che sì, se l’Italia non ha (e non ce l’ha) un problema di inflazione, e se ha (e ce l’ha) un problema di disoccupazione e sottoccupazione.

Ma la strada NON è far “rientrare il risparmio dall’estero”. E’ espandere il deficit pubblico (in prima istanza) e la formazione di credito privato (con cautela e di riflesso a una sana e organica espansione della produzione e dei redditi interni).

Le chiacchiere sul “rientro dei risparmi” lasciatele a giornalisti, politici, operatori finanziari ed “economisti” che hanno bisogno di aprire un manuale di ragioneria base. E possibilmente di leggerlo e capirlo.

giovedì 27 marzo 2025

E invece la risposta c'è

 

Contenere artificialmente la disponibilità di potere d'acquisto rende più difficile trovare lavoro e comprime le retribuzioni. E' il risultato della demonizzazione di deficit e debiti pubblici. Produce meno crescita e più diseguaglianze.

mercoledì 26 marzo 2025

"Esperti economici" ?

 


Non era il caso neanche nel "recente passato" (recente rispetto al 1943) che gli economisti collegati ai potentati finanziari e industriali lo ammettessero: la spesa pubblica può creare piena occupazione.

Purtroppo è ancora meno il caso adesso. E per la stessa ragione.

sabato 22 marzo 2025

La lingua unica europea

 

Ieri mi sono visto un video in cui Paolo Mieli afferma che l’”Europa” (che poi sarebbe la UE) va sciolta e riformata “su basi completamente diverse”.

Una volta tanto un’affermazione su cui concordo con Mieli – per la prima metà.

Sulla seconda ovviamente non ho opinione perché quali mai sarebbero queste basi è tutto da scoprire. Potrebbe uscirne qualcosa di positivo, tutto può essere. Però rimane sempre da capire quale sia la necessità storica per la quale un’integrazione politica europea dovrebbe ineluttabilmente verificarsi: mai sentito nessuno spiegarlo in modo minimamente sensato.

Sempre Mieli comunque dice un’altra cosa che invece un senso ce l’ha di sicuro: per arrivare a un’integrazione continentale per prima cosa occorrerebbe unificare la lingua.

A livello di ipotesi, se si volesse andare in questa direzione ci sono almeno tre possibilità.

La prima è l’inglese. Però il Regno Unito dalla UE è uscito. E no, non ha intenzione di rientrarci.

La seconda è il latino. Questa è una proposta del mio amico Vincenzo Destasio, avvocato e giurista, docente all’università di Bergamo.

Proposta bizzarra ? molto meno di quanto può sembrare. Fino all’Ottocento la comunità scientifica internazionale comunicava in latino. E il latino ha il vantaggio di essere relativamente semplice da pronunciare (da apprendere, un po’ meno) per i popoli di lingua romanza. Meno per i tedeschi e per gli slavi, che però ad apprendere le lingue altrui sono più bravi.

Volete una proposta veramente originale ? il protoindoeuropeo. La lingua (ricostruita dagli specialisti) da cui derivano quasi tutte quelle utilizzate in Europa, in America, e anche in buona parte dell’Asia.

E in effetti tutte le lingue parlate nel continente sono indoeuropee. Beh quasi. Togliamo il finlandese, l’ungherese, l’estone, il basco e il maltese. Forse mi scordo qualcuno ?

Comunque se vogliamo andare sulla via della lingua unica, partendo adesso ci vogliono un paio di generazioni. Bisogna insegnarla ai bambini nelle scuole, e tra alcune decine d’anni ci siamo. Tutti parleranno la lingua comune come una lingua madre.

Ne vale la pena ? rimane da dimostrare.