domenica 13 aprile 2025

Di che cosa si parla in Italia

 

Ogni volta che qualcuno esprime un’opinione controversa o anche solo discutibile (come sono discutibili tutte le opinioni) non manca mai il commento “ma perché in Italia si parla sempre di quello che non si conosce” ?

Il che invariabilmente mi suggerisce una riflessione. Chi attribuisce agli italiani il vizio di “parlare di ciò che non sanno” ha mai attuato approfondite analisi e confronti internazionali per valutare se all’estero sia diverso ?

Io ho invece il sospetto, corroborato dalla mia esperienza pratica (che per carità, non è un’analisi strutturata e approfondita) che tutto il mondo sia paese, e che dappertutto il commento da bar sia una prassi ricorrente.

Poi certo, forse all’estero sono meno diffusi i bar, quindi i commenti estemporanei magari è più facile ascoltarli in palestra, in metropolitana, su un taxi o al supermercato.

Inoltre adesso ci sono i social networks, che danno a tutti la possibilità di dire la loro e di essere ascoltati, o letti, da qualcuno.

Ma più in Italia che altrove ? non credo.

martedì 8 aprile 2025

L’unità che non è mai durata

 

Agli amanti dei riferimenti storici, ricordo che l’unità politica europea è stata temporaneamente realizzata, con mezzi alquanto ruvidi, tre volte nella storia del mondo, e che non è mai durata a lungo.

Il primo tentativo è stato quello di Carlo Magno. Impero immediatamente spaccato in tre parti alla sua morte.

Il secondo, quello di Napoleone. Durato pochi anni, finché non l’hanno spedito all’Elba prima, e a Sant’Elena poi.

Il terzo, quello di Hitler. Esito finale, l’Armata Rossa a Berlino.

A chi volesse rievocare l’Impero Romano, ricordo che si trattava sostanzialmente di un impero mediterraneo. A parte l’Italia, le zone più floride e civili erano il Nordafrica, la Grecia, l’Egitto e il Medio Oriente. La Britannia era una propaggine di scarso interesse. La Germania si è rinunciato a occuparla dopo l’imboscata nella selva di Teutoburgo (“Varo legiones redde”) ma in effetti era poco attrattiva anche quella, foreste freddo e nebbia, poco altro di interessante. Essere spediti a guardia del limes centro-orientale era qualcosa a cui i legionari francamente non ambivano.

L’Europa è un’entità culturalmente, linguisticamente, climaticamente disomogenea. Mettere insieme quello che ha poco in comune se non la limitrofia territoriale è sempre finito male. E non stupisce.

 

domenica 6 aprile 2025

Trump, i dazi e la globalizzazione


La mossa aggressiva, anche più del previsto, dell’amministrazione Trump, l’introduzione di dazi molto pesanti, è un grosso colpo contro la globalizzazione. E la globalizzazione ha fatto grandi danni. Per cui al di là delle incertezze, al di là della caduta dei mercati azionari, al di là delle comprensibili inquietudini, c’è da esserne contenti.

O no ?

Non ne sono così sicuro.

Il problema della globalizzazione, e l’ho detto più volte già anni fa, vedi ad esempio qui, è l’aver messo le classi meno abbienti dell’Occidente in diretta concorrenza con i lavoratori dei paesi emergenti. Invece di tutelare il potere d’acquisto dei cittadini occidentali a fronte di una crescita dei paesi ex poveri, si è criminalmente preteso di farli incontrare a mezza strada.

Criminalmente ? sì, perché mentre i redditi del ex terzo mondo aumentavano, quelli dei ceti medi, medio-bassi e bassi del primo mondo calavano. E insieme ai redditi reali, anche le tutele sociali e il welfare.

La globalizzazione è stata gestita così. Si è raccontato che era inevitabile. Ma non lo era. L’appropriato utilizzo dei deficit pubblici avrebbe consentito di redistribuire i vantaggi prodotti da delocalizzazione e globalizzazione, ripartendoli anche a vantaggio del lavoro e non solo del capitale.

Non era necessario abbattere le tutele sociali. Non era necessario comprimere gli investimenti pubblici. E invece si è fatta austerità in Europa con la scusa (totalmente inventata) dell’insostenibilità dei debiti pubblici; e si sono invece accettati i deficit pubblici negli USA ma solo per tagliare le tasse ai ricchi e alle aziende (quindi ancora ai ricchi, perché in azioni investono i benestanti).

Adesso Trump usa la leva dei dazi per riequilibrare i saldi commerciali esteri. Ma ammesso che ci riesca (ed è tutto da scoprire) almeno a parole (a fatti vedremo) la sua amministrazione spinge anche sulla necessità di comprimere deficit e debito pubblico. Altro che rilancio del welfare.

Il debito pubblico e il debito estero USA sono IN DOLLARI. Non c’è nessuna, proprio nessuna, situazione di insostenibilità finanziaria. Né oggi né in prospettiva.

Per correggere le distorsioni, pesantissime, della globalizzazione così come è stata attuata, serve un rilancio dei deficit pubblici (azzerare il patto di stabilità nella UE) e un riorientamento della spesa verso finalità sociali (negli USA).

Ma l’Unione Europea è aperta a un ampliamento dei deficit pubblici solo per il riarmo, e gli USA parlano di contrarre il deficit.

Tutto questo non mi piace. Il problema della globalizzazione, per l’Occidente, non è azzerarla ma correggerne le distorsioni. E la correzione non la vedo avvenire. Non tramite i dazi USA, comunque.

martedì 1 aprile 2025

Le confusioni su risparmio, investimenti e saldi esteri

 

Spesso sento dire a politici e giornalisti, ma anche ad economisti e operatori finanziari, che sarebbe di grandissima utilità “fare in modo che venga investito in Italia il risparmio che oggi invece defluisce all’estero”.

E come non di rado avviene, constato che questa affermazione riflette parecchia confusione in merito alla contabilità nazionale, per non dire in merito alla pura e semplice ragioneria (leggasi partita doppia).

Vediamo un po’. Gli italiani detengono risparmio investito all’estero ? certo che sì. Secondo i dati Bankitalia, al 30.9.2024 i residenti italiani possedevano la bellezza di 3.925 miliardi di attività patrimoniali estere: azioni, obbligazioni, aziende, immobili eccetera.

Naturalmente ci sono anche attività patrimoniali italiane possedute da stranieri, e anche in questo caso l’importo è ragguardevole, ma inferiore: 3.660 miliardi.

La differenza tra questi due importi è la cosiddetta NIIP (Net International Investment Position) che è quindi positiva (eccesso di investimenti italiani all’estero rispetto agli investimenti esteri in Italia) per 265 miliardi.

Come si è formato questo eccesso ? la causa principale sono gli scambi di beni e servizi. Nel 2024, l’Italia ha registrato un surplus (eccesso di esportazioni rispetto alle importazioni) pari a 59 miliardi. E surplus di queste dimensioni sono da alcuni anni una caratteristica strutturale della nostra economia.

E’ importante capire che un surplus commerciale estero produce AUTOMATICAMENTE una crescita della NIIP. Per pagare le esportazioni, il compratore straniero trasferisce attività patrimoniali in suo possesso all’esportatore italiano. Oppure si fa finanziare da un intermediario italiano, che quindi si ritrova con un aumento di crediti o di partecipazioni verso l’estero.

Chiaro ? o l’esportatore italiano, o il finanziatore italiano dell’importatore estero, si ritrova PER DEFINIZIONE un incremento di attività patrimoniali estere. Si verifica quello che viene (in modo fuorviante) definito un “deflusso di risparmio verso l’estero”.

Una via per “far rientrare il deflusso” cioè per diminuire la NIIP, magari facendola addirittura diventare negativa, è andare in deficit commerciale. E’ questo che si vuole ottenere ? equivale a indebitarsi verso l’estero, o a vendere attività estere possedute dall'importatore italiano, per finanziare acquisti italiani di beni e servizi prodotti altrove. Non mi pare una grande idea e di sicuro NON significa “riportare risparmio italiano in Italia”.

Ma tutto questo riguarda i flussi. Non si può invece lavorare sugli stock ? per esempio non dico tutti i 3.925 miliardi di attività italiane all’estero, ma un pezzo, che so il 10% quindi la bellezza di quasi 400 miliardi, potrebbero essere disinvestiti e “rientrare in Italia”.

Certo, potrebbero. Ma per fare cosa ? Se il rientro avviene a fronte di un peggioramento della NIIP, significa che l’Italia ha trasformato il suo surplus commerciale in un deficit. Questi soldi vanno quindi ad alimentare acquisti di beni e servizi ESTERI. Non produzione e non occupazione italiana.

Se la NIIP non peggiora e il surplus commerciale estero non muta, significa che non abbiamo aumentato gli acquisti netti di beni e servizi esteri, ma a fronte della diminuzione di attività abbiamo diminuito anche le passività. Per esempio abbiamo rimborsato finanziamenti esteri. O abbiamo ricomprato azioni italiane oggi possedute da stranieri.

Tutto questo può essere un bene, un male o un fatto irrilevante. Faccio però notare due cose.

La prima è che gli stessi soggetti che parlano dell’utilità di “far rientrare il risparmio italiano” di solito tessono anche le lodi del “far affluire capitali stranieri in Italia”. Della serie, una cosa ma anche il suo contrario.

La seconda è che nel momento in cui i residenti italiani ricomprano azioni possedute da stranieri, o estinguono debiti verso l’estero, NON METTONO NEANCHE UN CENTESIMO IN PIU’ a disposizione dell’economia italiana. Cambiano solo l’intestatario di un titolo azionario o di un finanziamento o di un’attività patrimoniale di altra natura.

E’ appropriato mettere risorse finanziarie in più a disposizione dell’economia italiana ? certo che sì, se l’Italia non ha (e non ce l’ha) un problema di inflazione, e se ha (e ce l’ha) un problema di disoccupazione e sottoccupazione.

Ma la strada NON è far “rientrare il risparmio dall’estero”. E’ espandere il deficit pubblico (in prima istanza) e la formazione di credito privato (con cautela e di riflesso a una sana e organica espansione della produzione e dei redditi interni).

Le chiacchiere sul “rientro dei risparmi” lasciatele a giornalisti, politici, operatori finanziari ed “economisti” che hanno bisogno di aprire un manuale di ragioneria base. E possibilmente di leggerlo e capirlo.

giovedì 27 marzo 2025

E invece la risposta c'è

 

Contenere artificialmente la disponibilità di potere d'acquisto rende più difficile trovare lavoro e comprime le retribuzioni. E' il risultato della demonizzazione di deficit e debiti pubblici. Produce meno crescita e più diseguaglianze.

mercoledì 26 marzo 2025

"Esperti economici" ?

 


Non era il caso neanche nel "recente passato" (recente rispetto al 1943) che gli economisti collegati ai potentati finanziari e industriali lo ammettessero: la spesa pubblica può creare piena occupazione.

Purtroppo è ancora meno il caso adesso. E per la stessa ragione.

sabato 22 marzo 2025

La lingua unica europea

 

Ieri mi sono visto un video in cui Paolo Mieli afferma che l’”Europa” (che poi sarebbe la UE) va sciolta e riformata “su basi completamente diverse”.

Una volta tanto un’affermazione su cui concordo con Mieli – per la prima metà.

Sulla seconda ovviamente non ho opinione perché quali mai sarebbero queste basi è tutto da scoprire. Potrebbe uscirne qualcosa di positivo, tutto può essere. Però rimane sempre da capire quale sia la necessità storica per la quale un’integrazione politica europea dovrebbe ineluttabilmente verificarsi: mai sentito nessuno spiegarlo in modo minimamente sensato.

Sempre Mieli comunque dice un’altra cosa che invece un senso ce l’ha di sicuro: per arrivare a un’integrazione continentale per prima cosa occorrerebbe unificare la lingua.

A livello di ipotesi, se si volesse andare in questa direzione ci sono almeno tre possibilità.

La prima è l’inglese. Però il Regno Unito dalla UE è uscito. E no, non ha intenzione di rientrarci.

La seconda è il latino. Questa è una proposta del mio amico Vincenzo Destasio, avvocato e giurista, docente all’università di Bergamo.

Proposta bizzarra ? molto meno di quanto può sembrare. Fino all’Ottocento la comunità scientifica internazionale comunicava in latino. E il latino ha il vantaggio di essere relativamente semplice da pronunciare (da apprendere, un po’ meno) per i popoli di lingua romanza. Meno per i tedeschi e per gli slavi, che però ad apprendere le lingue altrui sono più bravi.

Volete una proposta veramente originale ? il protoindoeuropeo. La lingua (ricostruita dagli specialisti) da cui derivano quasi tutte quelle utilizzate in Europa, in America, e anche in buona parte dell’Asia.

E in effetti tutte le lingue parlate nel continente sono indoeuropee. Beh quasi. Togliamo il finlandese, l’ungherese, l’estone, il basco e il maltese. Forse mi scordo qualcuno ?

Comunque se vogliamo andare sulla via della lingua unica, partendo adesso ci vogliono un paio di generazioni. Bisogna insegnarla ai bambini nelle scuole, e tra alcune decine d’anni ci siamo. Tutti parleranno la lingua comune come una lingua madre.

Ne vale la pena ? rimane da dimostrare.

mercoledì 19 marzo 2025

Draghi, Ciampi e la sovranità

 

L’audizione di Mario Draghi di ieri, di fronte alle commissioni parlamentari, è stata, possiamo dirlo, surreale. In pratica si sintetizza con “abbiamo sbagliato tutto per un quarto di secolo quindi dateci tutto il potere che adesso ci pensiamo noi a sistemare”.

Ovviamente i media asserviti e i fan (qualcuno ce n’è ancora) che pendono dalle sue labbra lo stanno ricoprendo di elogi, rimpiangono che al momento non sia presidente di nulla e auspicano che sia prontamente nominato (non eletto, il popolo bue non è in grado di apprezzarne la grandezza) Supremo Assoluto Totalitario Autocrate delle Nazioni Associate, o qualcosa del genere.

Tra le altre cose, tentando di giustificare la necessità di cedere sovranità, Draghi ha citato il suo noto (non fatemi dire illustre) predecessore Carlo Azeglio Ciampi, nei termini qui riportati.

Capito il concetto ? cedendo sovranità “all’Europa” in realtà la si conquista. Esattamente come entrando nell’euro si è persa sovranità che in realtà non esisteva, perché si era vincolati a seguire le decisioni della Bundesbank. Mentre adesso un pezzettino di sovranità l’abbiamo, in quanto siamo seduti al tavolo dove le decisioni si prendono.

Se fossi stato presente, avrei obiettato che la necessità di seguire le decisioni della Bundesbank era esclusivamente dettata dalla volontà di mantenere il cambio fisso con il marco (finché ci si riusciva, perché a un certo punto diventava comunque impossibile). Tenendoci la lira e lasciando fluttuare il cambio non ce ne sarebbe stato alcun bisogno.

Mi sarebbe piaciuto obiettare, ma mi rendo anche conto che sarebbe stato inutile. Le obiezioni a Draghi le puoi fare.

Solo che lui non risponde.


sabato 15 marzo 2025

La UE non è un condominio - purtroppo

 

Voi sovranisti, dicono i pro-UE, dovreste farvene una ragione. Criticate la UE, criticate le sue regole, criticate il fatto che esistano, ma dovete anche rendervi conto che se si abita nello stesso condominio le regole servono.

Il problema è che la metafora del condominio si poteva applicare alla vecchia CEE. Non all’Unione Europea.

I condomini sono vicini di casa, certo. E giustamente ogni anno fanno alcune assemblee dove si discute (magari per ore…) di temi epocali quali il costo del portinaio e la manutenzione dell’ascensore.

Però vicini di casa significa che ognuno STA NEL SUO APPARTAMENTO. Che ognuno sta A CASA SUA.

La UE ha trasformato, o quanto meno ci sta provando in tutti i modi, il condominio in una cosa diversa. Uno stanzone gigantesco in cui, abbattute tutte le pareti, tutti i soffitti, tutti i pavimenti, gli (ex) condomini stanno in un ambiente unico.

Da buoni vicini di casa, in Europa si può convivere ragionevolmente bene. Certo con collaborazioni, certo con momenti di discussione sui diritti di transito, sui diritti di pesca, sui sussidi all’agricoltura. L’equivalente del portinaio o dell’ascensore.

Ma se si pretende di trasformare in una megafamiglia qualcosa che famiglia non è, non funziona. Non funzionerebbe neanche se le regole non fossero spesso cervellotiche, spesso assurde e molte volte controproducenti. Come invece sono.

 

giovedì 13 marzo 2025

MES e patto di stabilità: se dico un no perché non due ?


Ultimamente vedo il dynamic duo leghista-sovranista, Borghi-Bagnai, menar vanto dell’aver bloccato la riforma del MES, e su questo hanno buone ragioni. Però utilizzano un’argomentazione su cui c’è qualcosa da obiettare.

In breve: la riforma MES sarebbe stata usata contro le nostre banche e contro il nostro debito pubblico, per tappare buchi altrove (presso il sistema creditizio tedesco, in particolare). Abbiamo fatto bene a stopparla a costo di lasciar passare la riforma del patto di stabilità, perché il patto resterà lettera morta, in particolare i francesi non lo rispetteranno, poi adesso ci sono i programmi di riarmo, eccetera.

Obiezioni, dicevo ? almeno tre.

La prima è che non si capisce perché detto un no, non se ne potevano dire due. Non è che si giocava un asso di briscola dopodiché non ne avevi altri. Tra l’altro la riforma MES doveva essere ratificata dal parlamento, e in parlamento la maggioranza a favore non c’era. La riforma del patto di stabilità invece era materia di governo e Giorgetti non aveva alcun bisogno di dire “siamo stati birichini con il MES però non vogliamo esagerare quindi diciamo sì al patto anche se non ne siamo convinti”.

Un governo realmente persuaso delle sue posizioni avrebbe dovuto affermare: no scusate, questo patto non funzionava prima e non funzionerebbe con queste modifiche, anzi forse sarebbe pure peggio. Lasciate perdere il MES (ammesso che realmente qualche europartner avesse posto la questione in termini di do ut des), lì si è espresso il nostro parlamento.

La seconda: certo, qualcuno, sicuramente la Francia, il nuovo patto non lo rispetterà. Il problema è che non rispettava neanche il vecchio, il che non impediva alla commissione europea di richiamarci, di bacchettarci, di minacciare procedure e sanzioni. I patti a livello UE si sono sempre applicati per alcuni (noi) e interpretati per altri.

Ma, si dice, sarebbe allora rimasto in vigore il vecchio patto. E quindi ? se fosse vero che le nuove condizioni macroeconomiche e geopolitiche fanno saltare tutti gli schemi, allora vecchio o nuovo non faceva differenza. Se come temo io, invece, noi ne resteremo condizionati, avrei di gran lungo preferito che ciò non avvenisse sulla base di una riforma che abbiamo appena approvato (mugugnando, ma i mugugni non fanno testo).

Terza obiezione. Mentre accettava, convinto o no come dicevo non rileva, il nuovo patto di stabilità, l’ineffabile Giorgetti finiva di insabbiare l’innovazione REALMENTE risolutiva: la Moneta Fiscale.

Se vogliamo metterla in termini calcistici, ci si è accontentati di guadagnare un calcio d’angolo. Quando invece si potevano segnare due gol… e finalmente vincere la partita.

 




giovedì 6 marzo 2025

Spazio fiscale, Italia e Germania

 

La Germania a quanto pare è sul punto di buttare a mare il pareggio di bilancio e i limiti di deficit pubblico, per lanciare un megapiano di investimenti, nella difesa e nelle infrastrutture.

Naturalmente in Italia non faremo niente di comparabile e naturalmente sentirete dire ahinoi purtroppo loro hanno spazio fiscale - e noi no.

Tanto per cambiare, è una fregnaccia.

Il limite ai deficit pubblici non è nessun parametro numerico prestabilito di deficit o di debito.

Il limite ai deficit pubblici è l’inflazione, che in Italia è più bassa che in Germania.

Basta utilizzare moneta propria – che anche se restiamo nell’euro è possibile emettere in Italia, sotto forma di moneta fiscale – e lo spazio fiscale diventa immediatamente usufruibile.

In Italia come in Germania, e con ogni probabilità, proporzionalmente alle dimensioni dell’economia, anche di più.

domenica 2 marzo 2025

Panico a Bruxelles

 

Gli eurocrati sono in completo loop mentale di fronte a un contesto economico in cui né USA né Cina sono più disponibili ad accettare una crescita della UE (ma sarebbe meglio dire della Germania) basata sull’export.

In realtà non ci sarebbe ragione di impanicarsi. E’ solo questione di cambiare paradigma, di rilanciare consumi e investimenti interni, e di accettare il riequilibrio dei saldi commerciali esteri.

L’ideale, si capisce, sarebbe buttare a mare l’euro, ma anche emettere Moneta Fiscale e far saltare il patto di stabilità raggiungono lo scopo.

La soluzione è addirittura banale. Non è banale invece farla passare, data la “quantità di capitale politico” spesa a Bruxelles e a Francoforte nell’ultimo quarto di secolo.

Tradotto in parole povere: hanno portato il continente su una china disastrosa, hanno impostato la gestione macroeconomica dell’area su presupposti privi di qualsiasi logica e razionalità, come fanno adesso ad ammettere di aver sbagliato tutto ?

Sarebbe difficile anche per persone differenti dalle teste di osmio che circolano da quelle parti.

sabato 1 marzo 2025

La UE è un mobile inutile e ingombrante

 

L’Unione Europea ? è come avere in casa un mobile grosso, inutile, brutto, scomodo, mal posizionato, di cui non si capisce perché sia lì: non ha nessuna funzione pratica, non ha nessuna funzione estetica, fai fatica a muoverti perché te lo trovi costantemente tra i piedi.

La cosa sensata sarebbe liberarsene. Però essendo pesante, ingombrante, difficile da maneggiare, non si sa bene come spostarlo e dove altrimenti metterlo, e neanche come buttarlo fuori di casa.

Così almeno per ora sei costretto a tenertelo. Ti rende difficile fare una serie di cose, e non ti dà aiuto a farne nessuna. E ti imbruttisce l'arredamento.

Una fenomenale combinazione. Un oggetto che quando non è inutile è dannoso.

domenica 23 febbraio 2025

La regolamentazione che non funziona

 

Niente da fare, gli europeisti non riescono a sviluppare un’argomentazione senza infilarsi in un’autocontraddizione plateale. In questo video dell'ISPI si esprime preoccupazione in merito allo strapotere acquisito dai tecno-oligarchi, e in particolare da Elon Musk, che consentirebbe loro tra le altre cose di deregolamentare l’economia in modo da perseguire senza vincoli e senza controlli i loro interessi.

Al minuto 9, Nadia Urbinati ci fa sapere che per fortuna la UE ha “precorso i tempi”, e ha predisposto un sistema regolatorio a livello sovranazionale, rendendosi conto che i singoli stati erano troppo piccoli per “disciplinare” i grandi potentati economici.

Professoressa Urbinati… lei è una studiosa reputata & rinomata, per cui certe incoerenze logiche dovrebbe essere in grado di evitarle.

Se il problema è la dimensione, e se è vero che Musk & friends stanno scardinando il sistema regolatorio negli USA, evidentemente regolamentare a livello UE NON risolve il problema, non elimina e nemmeno attenua (di per sé) il rischio.

Perché ? ma perché gli USA non sono un “piccolo stato”. La loro economia è dello stesso ordine di grandezza di quella UE (volendo considerare la UE uno stato, come in realtà non è).

Io ho avuto la percezione contraria, cioè che la burocrazia UE, a parte essere nel suo complesso e di base pletorica, vessatoria e inefficiente, è casomai un veicolo SFRUTTATO dai potentati per “farsi al meglio gli affari loro”.

Ma al di là di questa mia (e di molti altri) valutazione, la contraddizione è chiara: se i potentati sono in grado di prendere il controllo dei meccanismi regolatori USA, lo possono fare anche nella UE. Salvo che il motivo per cui non possono sia qualcosa di diverso dalla dimensione: perché la dimensione è analoga.

venerdì 21 febbraio 2025

Se ci attacca l’Austria ?

 

Leggo commenti del tipo: “come si fa a pensare di interrompere il sostegno all’Ucraina ? se domani ci attacca l’Austria per riconquistare il Lombardo-Veneto che facciamo, restiamo inermi ? nessuna reazione ?”

Se ci attacca l’Austria dobbiamo reagire, sicuro. Ma nel caso dell’Ucraina non si parla di un attacco al NOSTRO territorio. Si parla di continuare a sostenere una delle parti in causa di un conflitto in cui noi non siamo tenuti a essere coinvolti, perché non siamo gli aggrediti e neanche siamo soggetti a obblighi conseguenti a un’alleanza.

Il conflitto riguarda parti terze. Possiamo legittimamente esprimere tutte le opinioni che vogliamo su torti e ragioni, su cause e conseguenze, possiamo distribuire etichette di buoni e di cattivi.

Ma come nazione dobbiamo agire in funzione dei nostri interessi, nonché della possibilità di ottenere dei risultati. La politica internazionale funziona così, piaccia o meno.

Le domande da porsi riguardo al ruolo dell’Italia nel conflitto ucraino sono altre:

abbiamo un interesse a far sì che il conflitto si evolva in una determinata maniera ?

abbiamo i mezzi per ottenere che questa evoluzione si concretizzi ?

siamo effettivamente disposti ad utilizzarli, questi mezzi, a livello adeguato a ottenere dei risultati ?

Le domande da porsi sono queste. E puzzano di ipocrisia, francamente, le argomentazioni di natura etica e idealistica. Non perché non siano temi da prendere in considerazione, ma perché li ignoriamo riguardo a qualche dozzina di altri conflitti in corso nel mondo: sui quali non ci attiviamo, non esprimiamo opinioni, a stento sappiamo che esistono.

 

domenica 16 febbraio 2025

La UE non riuscirà perché non c’è riuscito nessuno

 

Perché mai la UE dovrebbe riuscire a ottenere una cosa che non è mai avvenuta nella storia, l’integrazione politica europea aka la formazione di un superstato continentale ?

Dice: l’impero romano ? era sostanzialmente un’entità mediterranea, si estendeva alla Francia e all’Inghilterra ma da Teutoburgo in poi ha rinunciato all’idea di inglobare la Germania e l’Europa centro-settentrionale.

Carlo Magno ? morto lui, si è sciolto tutto.

Napoleone ? è durato pochi anni.

Hitler ? una manciata di trimestri.

Non funziona. Diverse lingue, culture, religioni, condizioni climatiche, interessi economici.

Un progetto nato sbagliato, uno zombie che continua a camminare solo per fare danni, in attesa del collasso definitivo.

sabato 15 febbraio 2025

Abbiamo bisogno del deficit pubblico

 

Esistono due canali di generazione della moneta: quello pubblico e quello privato. Il canale pubblico è quello dello Stato, che spende, e ritira moneta mediante le tasse in misura inferiore alla spesa – quindi attua un deficit pubblico. Mentre il canale privato è il credito concesso dal sistema bancario.

Apparentemente se ne può identificare un terzo, il surplus commerciale verso l’estero, ma il surplus estero non genera moneta, la trasferisce soltanto, dal paese deficitario al paese eccedentario.

Ora, l’economia, e il sistema creditizio in particolare, alternano momenti di euforia e momenti di depressione. Di conseguenza la formazione di moneta mediante il canale creditizio a volte è eccessiva e a volte è carente.

Di conseguenza il canale pubblico di creazione della moneta, il deficit dello Stato, DEVE ESISTERE, e deve agire in modalità ANTICICLICA. Occorre evitare che in un’economia in espansione la moneta sia prodotta solo dal canale privato. E occorre che la creazione di moneta tramite deficit pubblico compensi, agendo in senso contrario, le fasi in cui il canale privato si sta attivando troppo, o troppo poco.

giovedì 13 febbraio 2025

Il debito pubblico è MONETA IN CIRCOLAZIONE


Vediamo se è più chiaro così. NON HA SENSO ridurre il debito pubblico, non ha senso parlare di “risanare il debito pubblico”, perché il debito pubblico non è altro che una forma assunta dagli strumenti di pagamento e scambio in circolazione nell’economia. E’ MONETA, e la quantità di moneta in circolazione DEVE aumentare via via che l’economia si espande.






sabato 8 febbraio 2025

L’innovazione in Europa: un problema mal posto

 

Gli USA fanno innovazione, l’Europa o meglio la UE sa solo burocratizzare e regolamentare. Si dice, ed è vero. Le più grandi aziende USA per redditività e valore di mercato esistono da pochi decenni; dall’altra parte dell’Atlantico, sono vecchie di quasi un secolo, a volte anche di più. Là tecnologia avanzata, qui banche, assicurazioni e public utilities.

Tutto vero. Ma sbagliata la soluzione al problema che in genere viene proposta. Dobbiamo (si dice) incentivare l’innovazione, creare un mercato dei capitali integrato, detassare i fondi specializzati in start-up tecnologiche, deburocratizzare.

Non fraintendetemi. Quando dico che la soluzione è sbagliata non intendo che queste cose siano prive di senso, o inutili. Aiuterebbero (alcune). Sono corrette (alcune). Ma anche nella migliore delle ipotesi, non risolvono il problema di base, che è la crescita asfittica della Vecchia Europa.

Gli USA sono più innovativi ma non è una novità di oggi. Nvidia,  Google, Amazon sono nate di recente, ma le Apple e le Microsoft nascevano e diventavano grandi negli anni Settanta e Ottanta. Niente di equivalente qui. Però USA e UE crescevano a tassi molto simili. Un po’ di più gli USA in termini di PIL totale, un po’ di più la UE (o meglio i paesi che poi l’hanno formata) in termini di PIL procapite (negli USA c’era la crescita demografica che già allora qui mancava).

Gli USA sono più innovativi perché sono la più grande economia mondiale, e un modello aziendale di successo nato là si estende rapidissimamente a tutto il mondo. In Europa otterremmo lo stesso risultato abbattendo le barriere normative ? ma rimarrebbero quelle linguistiche e culturali. Che, ammesso che ci sia da augurarselo, non spariscono in alcuni anni e neanche in svariati decenni.

In Europa non si faceva innovazione ma si cresceva, perché l’innovazione si sapeva adottarla e utilizzarla. Chi arriva dopo può beneficiare dei progressi nati altrove, tanto quanto l’innovatore originario. Spesso anche di più, o comunque più rapidamente.

La mancanza di crescita europea non si risolve con il mercato integrato dei capitali né con gli incentivi fiscali mirati. La mancanza di crescita europea, anzi della UE, anzi ancora di più dell’Eurozona, nasce da un sistema di regole sbagliato nei presupposti. Dalla demonizzazione dei deficit pubblici. Dalle politiche di contrazione della domanda interna per (NON) risolvere un (NON) problema (INVENTATO) di finanza degli Stati.

Il problema sta qui, ed è semplice da risolvere. Ma difficile da far comprendere.

 

martedì 4 febbraio 2025

Quanto dura la caccia alle streghe

 

Giusto un mesetto fa, citando e parafrasando Voltaire, vi dicevo che, come le streghe sono scomparse quando abbiamo smesso di bruciarle, così il problema del debito pubblico scomparirà quando capiremo che è inventato.

Se questa è un’affermazione che può indurre all’ottimismo, un po’ meno lo è la considerazione che la follia della caccia alle streghe alla fine si è esaurita, ma dopo essere durata all’incirca tre secoli, dal 1450 al 1750.

En passant, osserva Alessandro Barbero che quel periodo non è ricompreso “nei secoli bui del medioevo” (che bui a suo parere non sono stati affatto, ma questa è un’altra faccenda). Sono stati i tre secoli successivi all’inizio dell’età moderna.

La follia del considerare il debito pubblico un problema, per non dire il problema fondamentale dell’economia, verrà quindi meno: sicuramente. Però non c’è da giurare che scompaia in fretta.

Però riflettendoci… anche la superstizione del debito pubblico dura da parecchio tempo. Qualcosa come tre secoli, appunto. Si può anche sperare, è lecito, che politici ed opinione pubblica siano sul punto di aprire gli occhi.

Prima o poi deve succedere. I tempi non sono prevedibili. Ma potremmo anche essere alla fine dei tre secoli di oscurità.

sabato 1 febbraio 2025

Debito pubblico in lire, ma quanto mi costi ?

 Spesso anche interlocutori convinti che abbandonare la lira sia stato in errore affermano "certo però che ritornandoci il debito pubblico costerebbe molto di più...".

Lasciamo parlare John Maynard Keynes.



domenica 26 gennaio 2025

Qualcuno mi spieghi

 

So benissimo che la spiegazione vera non esiste: non c’è niente da spiegare, il concetto è assurdo.

Però mi piacerebbe che qualcuno sapesse rispondere alla seguente domanda.

Come fanno molte persone, tra cui anche parecchie intelligenti, competenti e in buona fede – non tutte stupide, non tutte disinformate – a dare una risposta convincente (almeno per loro stessi) a quanto segue.

Perché mai uno Stato dovrebbe trarre beneficio dal prendere a prestito la moneta che viene utilizzata nel proprio territorio ?

Il concetto è assurdo e quindi una risposta corretta non esiste. Però deve esistere una spiegazione che per quanto sbagliata suoni plausibile, almeno a quelle persone.

Qual è questa spiegazione ?

Post scriptum: volevate una prova ? ecco qui Piergiorgio Odifreddi, che uno stupido certamente non è.



mercoledì 22 gennaio 2025

Il più pesante limite

 

Qual è il più pesante limite alla crescita economica e alla riduzione delle diseguaglianze, non solo ma soprattutto in ambito UE, non solo ma soprattutto in ambito italiano ?

La convinzione che il normale processo di immissione di strumenti di scambio e pagamento nell’economia generi un debito.

Un debito non si capisce di chi, da ripagare non si sa a chi.

E’ un vincolo del tutto immaginario, ma le decisioni di politica economica vengono prese come se fosse reale, esistenziale, essenziale.

domenica 19 gennaio 2025

Annullare il debito pubblico ? no

 

Il debito pubblico non va annullato. Il debito pubblico è un falso problema. Il debito potenzialmente problematico è quello in moneta straniera. Il debito in moneta nazionale è una semplice e utile forma di impiego del risparmio privato che si crea automaticamente quanto lo Stato introduce moneta nell’economia mediante il deficit pubblico.

L’Italia non deve annullare il debito pubblico in euro. Deve tornare a emettere la sua moneta nazionale – per esempio, moneta fiscale – e introdurre QUELLA nell’economia tramite i deficit pubblici.

Tenuto conto della crescita reale dell’economia e di un minimo di inflazione, l’incidenza del debito pubblico in moneta straniera – L’UNICO che può rappresentare un problema – comincerà gradualmente a calare. Smetterà in poco tempo dall’essere percepito come un rischio e come un vincolo, e in un periodo di tempo non lungo diventerà completamente irrilevante.

giovedì 16 gennaio 2025

La moneta come strumento di controllo politico

 

La moneta incorpora due caratteristiche apparentemente così antitetiche da sembrare del tutto contraddittorie. E’, da una parte, un oggetto di uso quotidiano, probabilmente più di qualsiasi altro uno strumento imprescindibile, utilizzato da chiunque, noto a qualsiasi persona e a qualsiasi organizzazione. Ed è però anche un’entità che mette in difficoltà la persona media se gli si chiede di definirla e ancora di più di identificarne le funzioni, l’origine e le modalità di gestione.

Che cosa è esattamente la moneta ?

Chi la crea ?

Chi la gestisce ?

Come si è formata ?

E’ indispensabile che esista ?

Penso che anche persone di ottimo livello culturale e professionale sarebbero in seria difficoltà, se venisse loro chiesto di dare una risposta precisa e circostanziata a queste domande.

I manuali universitari di economia politica, che per qualche oscura (?) ragione tendono a parlare poco di moneta, a trattarla come un fatto di natura acquisito, come fosse l’aria o l’acqua, le rare volte che entrano in tema distinguono tre funzioni fondamentali della moneta:

Unità di conto: è il sistema di misura utilizzato per quantificare crediti, debiti, incassi, pagamenti, patrimoni eccetera.

Intermediario di scambio: barattare beni e servizi è possibile ma poco pratico. Uno strumento di compensazione omogeneo e standardizzato è quindi indispensabile per gestire un’economia minimamente complessa e articolata.

Riserva di valore: la popolazione tende a consumare una parte del proprio reddito e a risparmiarne un’altra parte, e il risparmio può essere accumulato in un’attività finanziaria utilizzabile per spese future. La moneta è una di queste attività finanziarie.

Fin qui tutto abbastanza chiaro. Ma non viene praticamente mai citata una quarta funzione.

La moneta è uno strumento di controllo politico.

Non viene mai citata, eppure è sotto gli occhi di tutti.

Nulla vieta di produrre la moneta a seguito di un accordo tra soggetti privati, tra cittadini e aziende, allo scopo di attivare il funzionamento di un circuito di compensazione multilaterale. Ce ne sono esempi interessanti e ben funzionanti, il WIR in Svizzera, il Sardex in Italia.

Ma in pratica è difficile utilizzarli al di sopra di dimensioni locali. Sono accordi contrattuali tra privati, che valgono nella misura in cui si riesce a creare una sufficiente varietà di interscambio di prodotti, e a tutelare il rispetto degli accordi.

Nella grande maggioranza dei casi la moneta è invece un bene pubblico, nel senso che è lo Stato a imporne il valore e quindi a determinarne l’utilizzo.

E lo strumento tramite il quale se ne impone il valore è la tassazione. Siccome una notevole parte della produzione di reddito è assorbita dal settore pubblico tramite tasse, accise, bolli, imposte dirette, imposte indirette, contributi sociali, se lo Stato prescrive che questi pagamenti debbano essere effettuati mediante una determinata entità, questa entità assume immediatamente valore, anche se il suo costo di produzione è pressoché nullo e la sua funzione d’uso (al di là dell’utilizzo nei sistemi di pagamento, in prima istanza verso lo Stato) è inesistente.

Non è una scoperta recente. “A prince, who should enact that a certain proportion of his taxes should be paid in a paper money of a certain kind, might thereby give a certain value  to this paper money”. Lo scriveva Adam Smith nel 1776, e non credo che sia stato il primo ad accorgersene.

Quindi lo Stato è il produttore naturale della moneta, anzi il monopolista naturale della produzione della moneta o quanto meno della maggior parte di essa.

Dovrebbe essere allora evidente che nell’interesse pubblico la funzione di produzione della moneta debba essere monitorata e monitorabile dalla collettività. Essere soggetta a controllo e scrutinio della cittadinanza, con la massima trasparenza concepibile.

E invece, a leggere e ad ascoltare la narrazione degli organi di informazione cosiddetti “accreditati”, per qualche ragione la funzione di emissione monetaria deve restare avvolta in un alone di sacralità, in una cortina di mistero, e soprattutto deve restare al di fuori del controllo dei politici impiccioni e incompetenti, quando non disonesti, e comunque sempre propensi a “comprare consenso con il denaro pubblico”.

Il punto è che i politici possono essere impiccioni, incompetenti, disonesti e propensi a comprare consenso – o meno. Ma sono soggetti a meccanismi di scelta e valutazione mediante libere elezioni. Se crediamo nella democrazia.

Se invece, appunto, uno strumento così importante, così essenziale come l’emissione e il controllo della moneta viene sottratto alla sfera politica, il risultato è metterlo nelle mani di un gruppo di persone magari competentissime (o magari no); ma che non sono state selezionate e confermate al loro posto in funzione della loro capacità di promuovere l’interesse pubblico bensì…

…bensì l’interesse di qualcun altro, o di qualcos’altro.

lunedì 13 gennaio 2025

Chiarimenti sul debito estero

 

Il fatto che un paese sia indebitato nei confronti di soggetti esteri è un problema ? una domanda semplice che però riceve risposte spesso confuse, contraddittorie o semplicemente sbagliate. Qualche chiarimento è utile e occorre partire distinguendo varie casistiche.

Debito pubblico in moneta estera detenuto da soggetti esteri: è un potenziale rischio ma non perché siano stranieri i detentori. Il rischio è dovuto al fatto che è straniera la moneta. Lo Stato che si è indebitato potrebbe avere difficoltà ad approvvigionarsi della moneta (emessa da terzi) necessaria per estinguere il debito. Questo non significa che sia SEMPRE un errore per lo Stato emettere debito in valuta. Può avere senso se ad esempio si vogliono effettuare investimenti pubblici che richiedono strutture o tecnologie non disponibili all’interno del paese, e che entità straniere sono disponibili a fornire solo se pagati in altre valute. In questo caso la situazione dello Stato è analoga a quella di un’azienda che si indebita per investire: non è necessariamente sbagliato, dipende da quali investimenti si effettuano. Però di sicuro è più rischioso rispetto a usare soldi propri.

Debito pubblico in moneta nazionale detenuto da soggetti esteri: non è rischioso e non è neanche da considerare un vero debito in quanto lo Stato emittente può sempre emettere moneta per estinguere il debito quando arriva a scadenza. Il default può sempre essere evitato. Naturalmente se il debito si accompagna a un accumulo di deficit pubblici è possibile che si inneschi un eccesso di inflazione. Ma questo dipende dal livello dei deficit, non dal livello né dal detentore né dalla moneta di emissione del debito.

Debito privato in moneta estera detenuto da soggetti esteri: in prima istanza il problema non dovrebbe essere dello Stato ma dei soggetti privati che hanno contratto il debito. E lo sarebbe anche se i creditori fossero nazionali. Il problema può esondare dalla sfera privata alla sfera pubblica se le dimensioni diventano tali da produrre situazioni di dissesto su aziende o su settori produttivi o finanziari così rilevanti da rendere opportuno un intervento pubblico. In questo caso il debito privato diventa pubblico e si ricade nella prima casistica.

Debito privato in moneta nazionale detenuto da soggetti esteri: anche in questo caso si possono creare fenomeni di dissesto sistemico tali da richiedere un intervento pubblico, che però sono molto più facili da gestire perché le passività sono espresse in moneta nazionale. E anche in questo caso non rileva che i creditori siano nazionali o stranieri.

Quale è la sintesi ?

Che il debito realmente pericoloso è quello pubblico in moneta straniera. E quello privato in moneta straniera se raggiunge livelli tali da spingere lo Stato a interventi che lo trasformano in pubblico.

Conta la nazionalità della moneta, non la nazionalità del creditore.

 

venerdì 10 gennaio 2025

giovedì 9 gennaio 2025

La Groenlandia non è UE

 Probabilmente le uscite di Trump sulla possibile annessione della Groenlandia agli USA sono sparate delle sue solite, destinate a non avere seguito. Però gli zelanti europeisti dimostrano di non conoscere il contesto quando gli rispondono indignati che “non sono ammessi attacchi ai confini UE".


In primo luogo, perché l’Unione Europea non è un’unione politica, non è uno stato, e chi ne parla come se fosse tale scambia i suoi desideri per realtà che non si sono ancora concretizzate (né sembrano vicine a farlo).

In secondo luogo, la Groenlandia NON appartiene alla UE. La situazione è riassunta con molta chiarezza da Wolfgang Munchau nel suo sito Eurointelligence (articolo uscito ieri, 8.1.2025).


Chiaro ? la Groenlandia non fa parte della UE, e può secedere dalla Danimarca se la maggioranza della popolazione decide di farlo a seguito di un referendum. E a quel punto è anche libera di accettare un’eventuale proposta di adesione agli Stati Uniti d’America.

Succederà ? a me pare fantapolitica, però è un percorso possibile. Quello che invece è certo è che non si tratterebbe in alcun modo di un “attacco ai confini” del non-Stato noto come Unione Europea.

sabato 4 gennaio 2025

Voltaire, le streghe e il debito pubblico

 

Voltaire scrisse che le streghe hanno smesso di esistere quando abbiamo smesso di bruciarle.

Allo stesso modo, il debito pubblico cesserà di essere considerato un problema quando smetteremo di alambiccarci su come risolverlo.

Perché NON è un problema.

Per uno Stato, il rischio di insolvenza sul debito pubblico esiste, in forma più o meno accentuata, se si rinuncia a utilizzare la propria moneta, o comunque se si decide di emettere debito in moneta straniera.

Ma nessuna di queste due cose è necessaria, e nemmeno utile.

Uno Stato può emettere moneta, tramite l'eccesso di spesa pubblica rispetto alle entrate fiscali, quindi tramite il deficit pubblico.

E questa emissione corrisponde a un incremento del risparmio finanziario a disposizione del settore privato.

Non c’è necessità di emettere debito pubblico per “finanziare il deficit”.

Se viene offerta la possibilità di investire in debito pubblico, è per fornire al settore privato una forma di impiego del risparmio GENERATO dal deficit pubblico.

Il deficit pubblico prodotto tramite l’utilizzo moneta nazionale va “dosato” in modo corretto per non creare eccessi di inflazione. Ma non comporta alcun rischio di insolvenza.

La rinuncia a utilizzare la propria moneta crea invece un pericolo di default che altrimenti non esisterebbe.

La soluzione non è “ridurre il debito pubblico”. E’ tornare a utilizzare la propria moneta.

La soluzione non è bruciare le streghe. E’ capire che non esistono.