Qualche giorno fa,
uno scambio di idee con Biagio Bossone e Stefano Sylos Labini mi ha suggerito
alcune considerazioni in merito alle responsabilità della crisi economica, e
della sua mancata soluzione.
Nell’Eurozona, i
governi hanno le mani legate, si afferma spesso, in quanto non emettono la
moneta che utilizzano, e quindi (1) non possono effettuare le necessarie
politiche di sostegno della domanda e (2) non sono in grado di garantire illimitatamente
la solvibilità dei debiti pubblici. In quest’ottica, lo spossessamento della
facoltà di emissione monetaria da parte degli Stati è, evidentemente, una
disfunzione gravissima.
Questo
affermazioni sono corrette. Biagio mi ha portato però a riflettere sul fatto
che le azioni espansive sono state interrotte prima di quando sarebbe stato
opportuno – in altri termini, si è fatta austerità senza motivo, grosso modo a
partire dal 2011 – anche negli USA e nel Regno Unito, e a causa di consapevoli
decisioni dei governi, non delle banche centrali.
La riduzione degli
stimoli fiscali non è stata così feroce e assurda come nell’Eurozona, ma è
stata sufficiente a rallentare il ritmo della ripresa produttiva anche nei due
principali paesi anglosassoni. E incolpare di questo la Federal Reserve e la
Bank Of England sarebbe francamente ingiusto.
Nulla lascia
pensare che Fed e BOE avrebbero fatto mancare il loro sostegno a politiche
maggiormente espansive, nella misura opportuna (un paio di punto di deficit /
PIL in più per un paio d’anni). Governi sostenuti da maggioranze parlamentari
democraticamente elette hanno però deciso altrimenti, ritardando così
immotivatamente la ripresa, senza che le banche centrali abbiano fatto
pressioni in quel senso.
La Fed e la BOE,
essendo dotate di un mandato duale (tutela dell’occupazione e non solo
stabilità dei prezzi) hanno, in effetti, rapidamente attivato azioni di
Quantitative Easing. Ma il QE ha limiti ben noti riguardo alla sua capacità di sostenere domanda e ripresa produttiva. D’altra parte, sia pure con anni di
ritardo, il QE l’ha avviato anche la BCE (motivandolo con l’inflazione troppo
bassa). Se la BCE fosse stata dotata di un mandato duale (com’è per altri versi
auspicabile) sarebbe cambiato poco o nulla, nel senso che senza la possibilità
di fare espansione fiscale la crisi dell’Eurozona non sarebbe stata
significativamente meno grave, sia in ampiezza che in durata.
Certo, la BCE
tecnicamente potrebbe attuare un’azione espansiva diretta facendo Helicopter
Money. Ma ci sono due problemi seri.
Il primo è che
l’HE implica di prendere decisioni non solo sulla creazione di potere
d’acquisto supplementare, ma anche sulla sua allocazione. E quest’ultima
decisione è compito di governi e parlamenti, non di una banca centrale.
Il secondo è che
le azioni espansive non servono nella stessa misura in tutti i 19 paesi
dell’Eurozona: molto al Sud, molto meno o per nulla nel Nord “teutonico”. Lo
stimolo fiscale deve essere differenziato.
Soluzione ? i Certificati di Credito Fiscale nazionali. Ogni paese li introduce nella misura
necessaria al ripristino di un sano e corretto livello di impiego delle sue
risorse produttive. I CCF danno diritto a sconti fiscali futuri, ma non devono
essere rimborsati in euro e quindi non richiedono garanzie supplementari da
parte della BCE.
Ogni paese, a questo punto, s’impegna senza più eccezioni a non
effettuare spese in euro superiori agli incassi in euro. I debiti pubblici veri, quelli cioè da rimborsare in euro,
si stabilizzano quindi definitivamente in valore assoluto, e calano in rapporto
al PIL (via via che le economie crescono). Sono perfettamente centrati, quindi,
gli obiettivi per cui è stato introdotto il Fiscal Compact. Quei livelli di
debito pubblico sono garantiti dalla BCE – ma non un centesimo in più.
I livelli di CCF
in circolazione potranno fluttuare in funzione delle esigenze di stabilizzazione
del ciclo economico: in altri termini le emissioni potranno essere aumentate o
diminuite in funzione della necessità, rispettivamente, di accelerare la
ripresa, oppure di evitare il surriscaldamento delle economie.
E se un paese è
indisciplinato, cioè se ne emette troppi, accadrà che i CCF perderanno valore
in quanto finiranno per arrivarne a scadenza una quantità eccessiva, che renderà
necessario attendere più tempo per riuscire a utilizzarli (perché il rapporto
tra CCF in scadenza e entrate fiscali lorde diventerà troppo alto). Ma la
penalizzazione toccherà solo i CCF di quel
paese, non degli altri. E non creerà rischi alla stabilità finanziaria
dell’Eurosistema nel suo complesso.
Giovanni Greco: "Ogni paese, a questo punto, s’impegna senza più eccezioni a non effettuare spese in euro superiori agli incassi in euro. I debiti pubblici veri, quelli cioè da rimborsare in euro, si stabilizzano quindi definitivamente in valore assoluto, e calano in rapporto al PIL (via via che le economie crescono). Sono perfettamente centrati, quindi, gli obiettivi per cui è stato introdotto il Fiscal Compact. Quei livelli di debito pubblico sono garantiti dalla BCE – ma non un centesimo in più."
RispondiEliminaOsservazione: se un paese decide deliberatamente di mantenere un'alta disoccupazione o bassi redditi questo in automatico non si propaga agli altri paesi anche utilizzando i CCF?
Alla fine questo obiettivo del Fiscal Compact non è un falso obiettivo, laddove un obiettivo decisamente più sensato sarebbe il pareggio della bilancia dei pagamenti? .... un paese a caso di 80 milioni di abitanti...
L'obiettivo di saldi commerciali in equilibrio è ottenibile dedicando una parte delle emissioni di CCF alla riduzione del cuneo fiscale, nella misura necessaria e a riequilibrare le competitività - vedi il post del 15.9.2013. Poi che obiettivi di riequilibrio bilaterale dei saldi commerciali sarebbero sensati non c'è dubbio, ma il "paese di 80 milioni di abitanti" non li accetterà mai. Bisogna implementare azioni UNILATERALI, altrimenti non se ne esce.
EliminaGiovanni Greco: Ribadisco comunque che se non si è pronti a introdurre la valuta nazionale non si otterranno i CCF che saranno bocciati come aiuto di stato nel caso li si usi per ridurre il cuneo fiscale...
EliminaAiuti di Stato sono gli incentivi dati a specifiche aziende o settori. I CCF non fanno distinzioni aziendali o settoriali: non c'è assolutamente dubbio che NON si tratta di aiuti di Stato.
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