Uscire dalla
depressione con l’emissione di “moneta statale” a circolazione interna
Manifesto /
appello a cura di:
Biagio
Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini
Per uscire dalla crisi e dalla trappola
del debito, proponiamo di rilanciare la domanda grazie all’emissione gratuita da parte dello Stato italiano di Certificati di
Credito Fiscale ad uso differito e all’utilizzo di Titoli di Stato con valenza
fiscale. In questo modo lo Stato creerebbe moneta nazionale complementare
all’euro, e di conseguenza nuova capacità di spesa, senza però generare debito.
Questa proposta risulta così compatibile con le regole e i (rigidi) vincoli
posti dal sistema dell’euro e delle istituzioni europee.
La crisi
dell’eurosistema
Molti autorevoli economisti avevano
avvertito che difficilmente una moneta unica che unisce paesi molto diversi per
livelli di competitività, produttività e inflazione avrebbe potuto essere un
motore di sviluppo, soprattutto in mancanza di una forte politica cooperativa e
solidale a livello europeo. Le loro previsioni si sono purtroppo avverate.
Il sistema della moneta unica divide
più che unire i paesi europei e, soprattutto dopo lo scoppio della crisi
finanziaria globale, è diventato un freno per la crescita dell’Eurozona e di
ogni singolo paese. La moneta unica impedisce i riallineamenti competitivi
(cioè le svalutazioni monetarie dei paesi deboli e le rivalutazioni di quelli
forti). Inoltre, in assenza di una politica fiscale comunitaria redistributiva,
risulta inadatta alle esigenze di crescita di ciascun singolo paese. Ne seguono
squilibri commerciali e finanziari, in particolare all’interno dell’Eurozona.
A causa della rigidità intrinseca della
moneta unica, i paesi creditori, in primis la Germania, sostengono l’adozione
di politiche depressive per i paesi debitori come l’Italia, la Francia, la
Spagna e altri paesi del Sud Europa. Per garantirsi il recupero dei crediti, i
primi hanno imposto austerità, riduzioni drastiche del costo del lavoro, tagli
del welfare e aumenti delle tasse. I debiti pubblici denominati in una moneta
che i singoli stati non controllano – e che di fatto appare quindi loro come
una moneta straniera - forzano i governi ad adottare politiche procicliche. Le
economie meno competitive entrano quindi nella spirale della crisi e finiscono
per trascinarvi quelle dei paesi cosiddetti “virtuosi”. L’euro, invece di
spingere verso la convergenza tra i 18 membri dell’Eurozona, ne aumenta le
divaricazioni e i conflitti.
L’Eurozona, e in particolare i paesi
mediterranei, si trovano in una situazione economica pesantissima: stagnano o
calano i consumi e diminuiscono gli investimenti privati e pubblici. La BCE
cerca di dare ossigeno monetario al sistema ma le banche dei diversi paesi
trattengono la liquidità e non offrono sufficiente credito all’economia reale,
in particolare alle piccole e medie imprese. Crescono massicciamente la
disoccupazione e la precarietà del lavoro. Aumentano le divaricazioni territoriali
e sociali. Sembra che l’Europa abbia dimenticato i suoi obiettivi originari di
piena occupazione, sviluppo sostenibile e benessere per tutti i cittadini: la
priorità dichiarata dagli organi della UE è piuttosto mirata esclusivamente ad
aumentare la competitività con politiche di austerità e di “riforme
strutturali”. Tuttavia risolvere i problemi di competitività dei paesi deboli
attuando riforme strutturali richiede molto tempo e nuove risorse; e
l'austerità si mostra ormai chiaramente controproducente. Non a caso i debiti
pubblici dei paesi più deboli continuano ad aumentare. Il tentativo di
applicare il Fiscal Compact non farebbe che aggravare pesantemente la
situazione.
La crisi mette a rischio la
sopravvivenza stessa di qualsiasi disegno di integrazione. L’economia europea è
malata e rischia di infettare l’economia mondiale. Le proposte di
mutualizzazione dei debiti (gli eurobond) e creazione di un fondo federale
consistente, tale da riequilibrare le crescenti asimmetrie territoriali e
sociali, appaiono politicamente impraticabili a causa della ferma opposizione
dei paesi del nord Europa. In questo quadro di incertezza e di grave sofferenza
sono possibili diversi scenari: la continuazione di una fase prolungata di
stagnazione, o peggio di recessione e depressione; la ristrutturazione dei
debiti dei paesi dell’Europa mediterranea; la rottura caotica dell’eurozona con
l’uscita forzata di uno o più paesi dall’euro e il crollo rovinoso del sistema
europeo.
In tale contesto, è del tutto
improbabile che l’iniziativa del governo italiano di negoziare maggiore
flessibilità con Bruxelles e con Berlino sia sufficiente a rilanciare
l’economia del nostro paese, perché non affronta la sostanza dei problemi
strutturali che affliggono l’eurozona. Oltretutto ne accrescerebbe
ulteriormente l’indebitamento. Altri propongono invece l’uscita dalla moneta
unica per non subire ulteriormente un sistema monetario fortemente
penalizzante; ma passare dall’euro alla lira è assai più problematico che
uscire da un sistema di cambi semi-fissi, come era per esempio il Sistema
Monetario Europeo. L'uscita unilaterale dall'euro, cioè dalla seconda valuta
mondiale di riserva, rischia di produrre traumi economici e geopolitici dalle
conseguenze imprevedibili; e, comunque, molti cittadini italiani sono contrari
perché temono di vedere svalutati risparmi, stipendi e pensioni.
Come uscire allora da questa gravissima
crisi che l’Europa si è paradossalmente autoinflitta? È ormai evidente che
occorre rivedere radicalmente i trattati costitutivi dell’euro, ma questo
richiede volontà politica e tempo. Per affrontare la crisi diventa allora
indispensabile che, pur nel contesto dell’euro, ogni stato nazionale assuma
urgentemente iniziative autonome e sovrane per rilanciare l’economia e
l’occupazione. I governi dei paesi europei, dal momento che sono stati eletti
democraticamente (a differenza degli organi esecutivi della UE) per offrire un
futuro migliore ai loro cittadini, hanno non solo il diritto ma anche il dovere
di difendere gli interessi dei loro elettori e di attuare riforme coraggiose
per la prosperità della comunità nazionale. I cittadini si aspettano
giustamente che gli organi politici da loro eletti tornino ad operare per lo
sviluppo dell'economia nazionale, senza attendere permessi o concessioni da
parte di altri paesi e senza subire eccessivi e ingiustificati condizionamenti.
La proposta dei
Certificati di Credito Fiscale
La drammatica crisi economica,
occupazionale e sociale ci pone di fronte a una situazione di grave emergenza.
Non è possibile procrastinare le soluzioni. Occorrono misure urgenti ed
efficaci. A tal fine, la nostra proposta offre un’alternativa concreta e
immediatamente fattibile rispetto alle altre soluzioni che ci sembrano assai
più problematiche e complesse o del tutto impraticabili.
Proponiamo che lo Stato italiano
emetta gratuitamente a favore dei lavoratori dipendenti e autonomi, delle
imprese e dei disoccupati Certificati di Credito Fiscale ad utilizzo differito, validi cioè a partire dopo due anni dall’emissione,
per pagare qualsiasi tipo di impegno finanziario verso la pubblica
amministrazione (tasse statali e locali, contributi, multe, etc.). La
caratteristica principale dei CCF è che possono garantire immediatamente ai
cittadini e alle imprese un forte potere d'acquisto aggiuntivo. Il governo italiano emetterebbe CCF per 90-100
miliardi il primo anno, da incrementare poi nel corso dei due anni successivi
in relazione alle dinamiche inflattive e dell'occupazione fino a un massimo di
200 miliardi di emissioni annue. L’assegnazione dei CCF dovrebbe privilegiare
quelle imprese che si impegnano ad assunzioni nette di disoccupati, ovvero si
impegnano in opere pubbliche urgenti (per il riassetto idrogeologico, il
risanamento delle scuole e ambientale, etc.) da avviare immediatamente.
La soluzione dei CCF è giuridicamente
ineccepibile e difficilmente contestabile in sede UE e da parte dell'autorità
monetaria europea: infatti, se è vero che solo la Banca Centrale Europea è
l'emittente esclusiva della moneta corrente dell’Eurozona, ogni stato sovrano
ha il diritto di offrire legittimamente sconti fiscali, e quindi anche i CCF:
lo stato è sovrano in campo fiscale. Inoltre, la BCE ha il monopolio sulla
emissione della moneta unica, cioè l’euro, ma non ha il monopolio sulla
creazione di strumenti di “quasi moneta”, cioè, per esempio, i depositi
bancari, i titoli di stato, etc. Essendo appunto i CCF nuovi strumenti
finanziari con natura di “quasi moneta” - ovvero rappresentando una “riserva di
valore” e titoli (non di debito) che possono essere trasformati in moneta –
essi non possono essere soggetti al monopolio della BCE.
Il nuovo strumento creato dallo Stato
per ridurre il peso fiscale arriverebbe direttamente e gratuitamente al lavoro
e alle aziende senza creare nuovo indebitamento. L’immissione dei CCF nel
sistema contrasterebbe l’austerità imposta dalla UE e risolverebbe il problema
della carenza di liquidità nel sistema: infatti le banche, sebbene siano state
abbondantemente finanziate dalla BCE, investono soprattutto nel mercato
finanziario mentre riducono i crediti all’economia reale a causa delle sempre
più deboli prospettive di quest’ultima.
I CCF sarebbero scambiabili sul mercato
finanziario analogamente a qualunque altro titolo emesso dallo Stato; inoltre
potrebbero costituire mezzi di pagamento immediato (da usare per esempio
mediante carte di credito). I CCF
diventerebbero un nuovo prodotto finanziario che lo stato si impegnerebbe a
emettere in maniera permanente – anche se in diverse quantità, secondo la
congiuntura economica - in modo da creare un clima di fiducia tale da spingere
gli operatori economici a spendere la parte preponderante del maggior reddito
legato ai CCF in acquisti e consumi, limitando la quota di risparmio e di
tesaurizzazione. Così sarà possibile avviare un circolo virtuoso con effetti
moltiplicativi positivi: domanda che espande la produzione, quindi
l’occupazione, quindi ulteriormente i redditi e la domanda, etc.
I vantaggi della nuova
quasi-moneta statale
L'emissione massiccia di CCF genererebbe
nuova domanda in grado di colmare rapidamente l’output gap (la caduta della
produzione industriale è stata del 25% rispetto ai livelli pre-crisi). La forte
crescita della domanda non aumenterebbe però l’inflazione a livelli eccessivi -
anzi, impedirebbe la caduta dell'economia italiana in una situazione di
deflazione cronica – grazie al recupero delle risorse produttive (lavoro e
capitale) attualmente drammaticamente sottoutilizzate.
Per effetto del moltiplicatore del
reddito, il calo delle entrate pubbliche legato allo sconto fiscale differito
dei CCF verrebbe più che compensato dall’aumento dei ricavi fiscali prodotto
dal forte recupero del PIL. È infatti
ovvio che, nella situazione attuale di grave compressione delle risorse
produttive e tassi di interesse prossimi allo zero, il moltiplicatore sarebbe
senz'altro maggiore di uno*. Il PIL e
l'occupazione crescerebbero quindi velocemente. L'aumento dell'occupazione
avrebbe un valore enorme sia sul piano sociale che su quello economico, perché
un'economia sana è un'economia di piena occupazione.
I deficit e il debito pubblico
diventerebbero più facilmente sostenibili, con beneficio per i creditori
nazionali e internazionali. Inoltre la quota di CCF immessa a favore delle
aziende in quantità commisurate ai costi di lavoro da esse sostenute
rappresenterebbe una significativa riduzione dei loro costi di produzione. Si
replicherebbero così gli effetti positivi di un riallineamento valutario
(svalutazione), evitando però che l’espansione della domanda interna produca
squilibri nei saldi commerciali con l'estero: infatti l'aumento delle
importazioni sarebbe bilanciato da una crescita delle esportazioni derivato
dalla diminuzione del costo del lavoro e dall'aumento conseguente di
competitività.
A puro titolo di esempio, si supponga
di assegnare gratuitamente, in parte dal primo gennaio 2015 e in parte nel 2016
e 2017, circa 70 miliardi di CCF ai lavoratori sia dipendenti che
autonomi in funzione inversa del loro livello di reddito, così da stimolare la
spesa per il consumo (in questo modo si otterrebbero tra l'altro effetti di
redistribuzione dei redditi nel senso della maggiore equità); e di assegnare circa
80 miliardi ai datori di lavoro del sistema privato. Quest’ultimo importo
abbatte del 18% circa il costo del lavoro, una percentuale equivalente alla
differenza di competitività dell’economia italiana nei confronti della
Germania. Altri 50 miliardi circa di CCF dovrebbero essere utilizzati per
finanziare iniziative pubbliche, per esempio per assicurare forme di
reddito garantito, per sostenere iniziative ambientali (energie rinnovabili) e
infrastrutturali, per l'occupazione giovanile e femminile, per la formazione,
per l'imprenditoria al Sud, per erogare reddito alle donne occupate nelle
attività di cura famigliare, etc. L'idea è di privilegiare progetti mirati,
realistici e di rapida attuazione soprattutto per quanto riguarda gli
interventi di prevenzione dei disastri e riparazione dei danni ambientali a
livello locale. Solo per fare un esempio: nel caso dell'alluvione di Genova
potrebbero essere stanziati 300 milioni di CCF (il governo ne sta offrendo 12)
da destinare alle imprese per le opere di risanamento idrogeologico.
Le stime preliminari portano a
ipotizzare che il programma CCF potrebbe partire con l'emissione di 90-100
miliardi nel 2015 che produrrebbero un primo rilevante impatto di crescita su
PIL e occupazione. Il livello massimo di 200 miliardi potrebbe essere gradualmente
raggiunto tra il 2016 e il 2017, e poi stabilizzarsi. A regime, si avranno
quindi 200 miliardi di CCF emessi ogni anno, e quindi - considerando il
differimento dei due anni - un valore costante in circolazione di 400 miliardi a fronte di entrate totali annuali della pubblica
amministrazione di circa 800.
Ipotizzando un moltiplicatore del
reddito di 1,3*, è prevedibile un recupero di
PIL del 15% circa in tre anni, una caduta della disoccupazione di almeno cinque
punti, e saldi commerciali esteri che rimangono in sostanziale equilibrio. Il
deficit pubblico, inteso come differenza tra incassi e pagamenti dello Stato
italiano da corrispondersi in euro, verrebbe portato in pareggio fin dal primo
anno di avvio della riforma. E il
debito pubblico cadrebbe in rapporto al PIL.
Uscire dalla trappola
del debito con i titoli di stato a valenza fiscale
I CCF permettono all’economia italiana
di uscire dalla “trappola della liquidità”. Ma è anche necessario uscire
rapidamente dalla “trappola del debito pubblico”.
Dagli anni Ottanta, l’Italia si è
finanziata sul mercato, pagando alti tassi di interessi reali per sostenere gli
agganci allo SME nelle sue varie forme e poi per preparare l’ingresso
nell’euro. Il cumulo di interessi corrisposti sul debito pubblico ha superato,
a valori odierni, i 3.000 miliardi di euro. Gran parte del debito pubblico è
stata assorbita da investitori istituzionali nazionali ed esteri attratti da
rendimenti particolarmente elevati; tuttavia, il peso del debito pubblico
grava sui cittadini e sulle imprese che devono sopportare una pressione fiscale
pari ormai al 57% del PIL “non sommerso”, un livello intollerabile e
insostenibile. Occorre quindi diminuire il peso del fisco. Ma questo non
deve avvenire a fronte di tagli indiscriminati delle spese per il welfare (da
riqualificare, ma non da ridurre in valore assoluto), non solo per ragioni
sociali e politiche ma anche perché la spesa pubblica italiana in rapporto al
PIL è già complessivamente inferiore alla media UE. La strada corretta è quindi
di ridurre il debito e gli interessi pagati sul debito.
Al riguardo, un grave ostacolo è
costituito dal fatto che il debito pubblico, denominato in una moneta che lo
Stato italiano non emette e non controlla, lo espone a pagare tassi d’interessi
reali elevati e a subire l’iniziativa speculativa degli investitori soprattutto
esteri, i più pronti a vendere o a richiedere interessi elevati nelle fasi di
congiuntura negativa. Il debito pubblico
in euro deve quindi essere ridotto rapidamente e, per quanto possibile, deve
anche essere nazionalizzato.
In aggiunta ai benefici prodotti dalla
ripresa economica che l’introduzione dei CCF innescherà, è quindi opportuno –
via via che il debito in essere giunge a scadenza – rifinanziarlo emettendo,
nella maggior misura possibile, “BTP
fiscali”: titoli che (come i CCF) non verranno rimborsati in euro, con un premio per gli investitori, ma saranno utilizzati alla scadenza per pagare
il fisco. Lo stato italiano e il benessere dei cittadini italiani
devono dipendere il meno possibile dagli umori della speculazione
internazionale.
Per
evitare il rischio di una reazione negativa del mercato di fronte all'emissione
dei CCF, e quindi una riduzione di prezzo dei BTP, specialmente sulle scadenze
lunghe, lo Stato potrebbe introdurre i
CCF lanciando contestualmente un'offerta
pubblica di scambio sui titoli di Stato. Ciò consentirebbe di convertire ogni
titolo di stato in un BTP fiscale con una scadenza più lunga (per es. di tre
anni) e una cedola maggiorata (per es. del 2% annuo rispetto all'attuale).
La
possibilità di conversione potrebbe rimanere aperta per tutta la durata residua
dei titoli permettendo di raggiungere due obiettivi: 1. evitare forti cadute
del valore dei BTP in caso di turbolenze di mercato; 2. accelerare il processo
di riduzione del debito pubblico "vero" (quello da pagare in euro), trasformandolo
in una forma di "moneta fiscale differita nazionale". Si tratterebbe
di un processo di "nazionalizzazione" del debito che permetterebbe di
ridurre notevolmente il rischio dei default dello Stato italiano.
Siamo convinti che i BTP fiscali saranno
senz’altro appetibili via via che l’offerta di titoli di Stato tradizionali
diminuisce. Gli operatori istituzionali italiani, hanno infatti bisogno di uno
strumento “domestico” di gestione della propria liquidità, anche in ragione del
fatto che si ridurrà l'offerta di titoli di Stato tradizionali e che enti come
banche e assicurazioni hanno forte necessità di uno strumento
"domestico" di gestione della propria liquidità (non solo per pagare
le imposte in nome proprio, ma nella loro veste di sostituti d'imposta per i versamenti delle imposte
sul reddito a carico dei dipendenti, dei contributi sanitari e pensionistici,
etc.).
Conclusioni
La manovra che abbiamo illustrato, basata sull'emissione di CCF e di
BTP fiscali, in linea di principio non comporta rischi di default per lo stato
emittente che si impegna ad accettarli ma non a rimborsarli.
L’introduzione dei CCF realizza obiettivi di rilancio della domanda e
dell'occupazione. Inoltre, le azioni di sostegno della domanda consentono di
recuperare PIL e occupazione in misura più che proporzionale (in quando
stimolano una catena di effetti indotti positivi - la maggior domanda spinge a
produrre di più, le aziende riprendono ad assumere, l'occupazione e i consumi
crescono ulteriormente, eccetera). Questo produce maggior gettito fiscale che,
grazie anche al differimento di due anni nell'utilizzo dei CCF per effettuare
pagamenti verso lo Stato, mantiene in equilibrio il saldo tra spese e incassi
statali in euro. A loro volta, i BTP fiscali accelerano la riduzione del
rapporto tra il debito pubblico italiano "vero" - quello da
rimborsare in euro - e il PIL.
Si apre in questo modo anche la possibilità di ridurre rapidamente, per
esempio fino al 60%, il rapporto tra il debito pubblico italiano “vero” -
quello da rimborsare in euro - e il PIL. Potrebbe così diventare possibile
realizzare gli obiettivi di stabilità finanziaria previsti dal Fiscal Compact,
che diversamente non avrebbero nessuna possibilità di essere raggiunti.
L'attuazione di manovre restrittive condanna infatti l’economia italiana a
condizioni di stagnazione e depressione permanenti e impedisce il contenimento
del debito pubblico in rapporto al PIL (e tende anzi ad innalzarlo, com’è
avvenuto dall’inizio della crisi in poi).
Riteniamo che il progetto di creare
quasi-moneta con valenza fiscale da parte dello stato possa e debba essere
esteso ad altri paesi dell’Eurozona, e che possa rappresentare una strada
praticabile per uscire dalla depressione economica.
L'Italia può uscire dal tunnel della
recessione e del debito autonomamente e con le sue sole forze, senza richiedere
ai paesi più competitivi di rivalutare prezzi e salari interni, di peggiorare i
loro saldi commerciali o di trasferire risorse finanziarie verso i paesi in
difficoltà.
Nonostante le difficoltà, le
incomprensioni e i contrasti che la nostra proposta incontrerà indubbiamente,
anche per la sua innovatività, riteniamo che rappresenti la possibilità
concreta di uscire dalla drammatica situazione attuale tentando di evitare
soluzioni e condizioni traumatiche che potrebbero infliggere gravi perdite ai
risparmiatori, al lavoro, alle imprese e, per molti aspetti, alle stesse
istituzioni finanziarie.
Crediamo che questa
possa essere la strada per creare le migliori condizioni affinché l'Europa riesca a uscire
dall’attuale gravissima crisi e a gettare le basi di un diverso sistema
monetario che sia finalmente stabile, sostenibile e foriero di sviluppo e di
piena occupazione.
* Nota esplicativa sul Moltiplicatore del Reddito
Studi recenti (alcuni dei quali
riportati qui in calce) forniscono un ventaglio assai ampio di stime circa il
valore del moltiplicatore fiscale. La nostra proposta si fonda essenzialmente
sulla previsione che il moltiplicatore del reddito assuma valore maggiore di 1. Più precisamente, in maniera prudente e
conservativa, in base alle considerazioni indicate di seguito, abbiamo
ipotizzato il valore di 1,3. Ci sono diversi motivi per i quali la
nostra ipotesi può ritenersi fondata e affidabile:
·
Lo stimolo
alla domanda determinata dall’immissione di CCF sarebbe intensa e persistente.
Si attenuerebbe solo allorché si osservasse una risposta robusta del prodotto e
dell’occupazione
·
L’assegnazione
di CCF avverrebbe soprattutto a favore di soggetti che hanno una maggiore
propensione al consumo
·
I tassi di
interesse sono bassi e tali prevedibilmente resteranno grazie alla politica
monetaria accomodante della BCE
·
La dispersione
della domanda verso l’estero attraverso maggiori importazioni sarebbe
compensata dalla crescita dell’export resa possibile dal forte recupero di
competitività conseguente all’ampio taglio del costo del lavoro
·
L’eventuale
effetto negativo (sul moltiplicatore) che il varo della manovra proposta
potrebbe avere attraverso un rincaro dello spread sul debito pubblico sarebbe
neutralizzato dall’emissione di BTP a valenza fiscale, che stabilizzerebbe il
corso dei titoli debito.
_______________________________
Auerbach
A and Y Gorodnichenko, Measuring the Output Responses to Fiscal Policies,
American Economic Journal, 2012
Blanchard
O and D Leigh, Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers, IMF, January 2013
Eggertsson
G and P Krugman, Debt, Deleveraging and the Liquidity Trap, Quarterly Journal
of Economica, 2012 Eichengreen B and K H O’Rourke, Gauging the Multiplier:
Lessons from History, VoxEu, 23 October 2012
Locarno
A, A Notarpietro and M Pisani, Sovereign Risk, Monetary Policy and Fiscal
Multipliers: A Structural Model-Based Assessment, Temi di discussione N. 943,
Banca d’Italia, Novembre 2013
I CCF senza riforme equivalgono a prendere tempo quindi non risolvono il problema dell'italia. Se invece ai CCF si aggiungono riforme allora i mercati vedrebbero i CCF come un velocizzatore delle riforme stesse. Al momento nella proposta CCF ci sono solo soldi e non riforme.
RispondiEliminaLe riforme che servono le fanno aziende e individui, se si smette di toglier loro soldi di tasca, giorno dopo giorno, e li si lascia lavorare. Il contrario di quanto accade oggi.
RispondiEliminaLe riforme le fanno i parlamenti e i governi e non le aziende o i cittadini a cui viene impedito di votare realmente. La maggioranza delle aziende uscirebbe dall'italia per rimanere nell'euro se potesse farlo.
EliminaVeramente mi risulta che tantissime aziende stanno uscendo dall'Italia oggi che ha l'euro: ed erano aziende che ci restavano, e non campavano affatto male, quando c'era la lira...
Eliminascappano da Roma, e dall'aggressione degli italiani contro chi crea ricchezza, non dall'euro o dall'europa. scappano dal GHETTO al cui interno sono massacrati
EliminaLa maggioranza delle aziende uscirebbe dall'italia per rimanere nell'euro se potesse farlo
EliminaCit.
ma sei sicuro ? guarda che in questo momento...la maggioranza è anti-euro (recenti sondaggi...per quel che possono contare i sondaggi...)...le aziende stanno incominciando a scappare anche dalla Germania....
l'Euro ha il destino segnato....------>>> il crash....o prima o poi....
Shardan
maggioranza anti euro (mi riferisco al contesto italiano ....ma stanno crescendo ovunque in Europa....l'Inghilterra poi...vuole uscirne...)
EliminaShardan
volevo dire che l'Inghilterra vuole uscire dall'UE,,,,(non dall'euro ovviamente )
Eliminai sondaggi vengono da sempre usati per impaurire le masse e ottenere l'effetto voluto. la gente si impaurisce e vota euro. turandosi il naso.
Eliminacaro anonimo....chi usa i mass media...per impaurire le masse...è l'establishment pro euro...a dire il vero
Elimina--- negli anni novanta...hanno bombardato l'opinione pubblica...per creare "artificiosamente " consenso...a favore dell'euro...dicendo che se non fossimo entrati..saremo scivolati nello zimbawe...(è successo esattamente il contrario...chi ha mantenuto la propria moneta...non sta andando malino anzi alcuni stanno andando bene...) ed emarginato /ostracizzato...ridotto al silenzio..tutti gli economisti contrari alla moneta unica (6 premi nobel tra cui Friedman..decisamente contrario )....poi si è avverato esattamente cio che questi avevano prevvisto....adesso sempre l'establishment pro euro...dice che si è stato un errore ma che non conviene uscirne...iniettando attraverso sempre i mass media la paura..di chissà quale catastrofe rinunciando all'euro...(l'uscita dalla moneta unica..può essere problematica se fatta in un certo modo ...le possibili criticità le hanno esposte qua sia Cataneo che Zibordi...indicandone anche le soluzioni....ma una cosa è certa....continuando con questo trend e con questa moneta unica (che non è una moneta perché non ne ha le caratteristiche )...il disastro è sicuro....per cui....)....chi in questo momento ha in mano i mass media sono i pro euro non gli anti euro....quelli sono i sondaggi che esprimono un trend...(azzeccato o meno...non lo so...dipende dalla loro abilità e professionalità nel rilevare gli umori della gente...)..guarda che son gli stessi sondaggisti ..che mesi fa rilevavano che ancora nonostante tutto il trend era pro euro....e qualche hanno fa rilevavano e pubblicavano..gli stessi sondaggi che dicevano che tutto sommato ancora la gente era in larga maggioranza pro euro. OGGI è CAMBIATO TUTTO...
quindi non è una "strumentalizzazione" dei pro euro...son semplicemente le rilevazioni cosi come escono.....
Sei tu..che giri la frittella...lasciando intendere che è una strumentalizzazione.....chi mass mediaticamente si serve della "paura" (e delle balle )...sono proprio i pro euro...che hanno in mano il main stream.
L'Euro (Il sistema cosi come è ) ha i giorni contati...(al massimo qualche anno...)....non si tratta di "ideologia ottocentesca " (questa poi.....:-)....si tratta che "oggettivamente" questa architettura monetaria....N-O-N--->> F-U-N-Z-I-O-N-A-
Da buttare in mare caro anonimo....son quelle teorie economiche artificiose di una sorta di "pensiero unico"...di stampo neoliberista...costruite ad arte è diffuse (sempre ad arte )...in tutte le università e nei mass media ...di tutto il mondo........(son loro che hanno il monopolio dell'informazione )........e sponsorizzate forzosamente dai think tank....foraggiati da "lor signori " (il famoso 2 % )...(es in Italia : Istituto Bruno Leoni )....
E tu ti cibi di quel pensiero. Cosa vuol dire è cambiato il mondo ??....e quindi bisogna far proprie il "loro pensiero".....suppongo....è un bluff...è una retorichella per farci accettare ....le loro ricette criminali.....cosa vuol dire ..è cambiato il mondo??? ma che vuolll direeee ????
ciaoo ;-)
Shardan
la tua è tipica posizione ideologica......(e quindi rigiri la frittella...sino a far convergere e collimare qualsiasi cosa...con i tuoi schemini ideologici...)
il mondo ...aimè...può cambiare anche in senso negativo....(storia docet)...ciò non vuol dire che bisogna accettare un certo status quo...perché "è cambiato il mondo"".......ma che vuol dire ??? ...a me non dice niente....
EliminaAnonimo08 novembre 2014 21:06
i sondaggi vengono da sempre usati per impaurire le masse e ottenere l'effetto voluto. la gente si impaurisce e vota euro. turandosi il naso.
Cit.
ops ...avevo letto male......
si.....ma quella paura (inculcata dai mass media dell'establishment pro euro )...sta venendo velocemente meno. Non funziona più o funziona meno . La gente sta capendo.
Shardan
Anche la Germania ha capito che il giochino non funziona più..ed ha pronto il progetto per la sua fuoriuscita dall'euro.
ma io dico;
Eliminache una moneta unica per 18 economie diverse (e non facilmente omologabili...per motivi culturali , geografici, storici , etc etc ) non funziona------------------->>> è un pensiero ottocentesco ????
ma dai....
Shardan
l'abbarbicamento ideologico sino al parossismo....è una brutta bestia caro nonick..non fa ragionare ;-) (comunismo docet ;-)------->> lo si difende sino all'assurdo ....anche dinanzi all'evidenza. Rende ciechi.
A me ...se questo sistema funzionasse....mi starebbe anche bene. NON F-U-N-Z-I-O-N-A.....anzi è distruttivo.
l'economia non è una moda.....roba del passato o meno che non si usa più come se fosse...un abbigliamento sorpassato...che non è più "trend"...
EliminaDEVE FUNZIONARE... punto.
non vorrei ricordar male...mi pare di aver letto 2 settimane fa...che in Italia il 47 % è contro l'Euro e il 43 % a favore. Con il tempo...man mano che il disastro avanza...i primi aumenteranno sempre di più in Italia e all'estero (in Inghilterra...praticamente tutta la popolazione è contro l'UE--grazie a Nigel Farage...Cameron..si è schierato contro l'UE...perché sa che altrimenti alle prossime elezioni sarà estromesso.......in Germania gli anti euro stanno aumentando a vista d'occhio...in Francia Le Pen è amatissima....etc etc...)
Eliminasi ...sta cambiando il mondo.....forse non nella direzione che tu vorresti....;-)
ogni nodo viene al pettine prima o poi.......la gente alla fine capisce (sulla propria pelle magari...ma alla fine capisce )....
Shardan
quindi non è una "strumentalizzazione" dei pro euro...son semplicemente le rilevazioni cosi come escono.....
EliminaCit.
correzione: quindi questa non è una strumentalizzazione degli anti euro....etc
Buttate quei libri ottocenteschi su cui studiate economia. E' cambiato il mondo.
RispondiEliminanonick
Il mondo cambia ma alcuni principi base dell'economia no.
EliminaA parte che quelli che seguono principi ottocenteschi (sbagliati) stanno tra Bruxelles, Berlino e Francoforte.
Keynes e Kalecki sono del '900...
ma a berlino seguono Keynes e purtroppo malthus. Keynes cioè protezione di chi è privilegiato a vita e Malthus per l'eliminazione degli altri se diventano troppi e non è possibile mantenerli a vita pure loro. o coi lager o con l'austerità.
EliminaA Berlino ? È li' che hanno concepito il fiscal compact, che equivale a mettere Keynes fuorilegge in tutta l'Eurozona. Con i risultati che vediamo...
Eliminama l'errore sta proprio nel non attuare il fiscal compact. il debitore deve auto-crollare creando il panico in germania e costringere berlino a trovare un accordo. invece il 41% alle europee ha fatto capire a berlino che l'italia bluffa e ha il terrore della caduta dell'euro.
EliminaIl Fiscal Compact è ineseguibile, in ogni caso. E l'eurosistema nella sua forma attuale è, oltre che privo di qualsiasi logica, insostenibile.
Eliminase è ineseguibile allora applicalo. se non lo applichi la colpa sarà la tua e non della germania. se lo applichi e non funziona i mercati chiederanno spiegazioni alla merkel.
EliminaNon è ineseguibile nel senso che se lo applichi fai danni. È ineseguibile dal punto di vista puramente aritmetico. Vedi il post del 24.7.2014.
Eliminachi se ne importa della aritmetica, la geopolitica è guerra.
Eliminax Shardan
RispondiEliminaalle regolette del 2% non ci ha creduto mai nessuno. anzi siete voi che con la riforma morbida avete messo un paio di percentuali come se le vostre funzionassero e quelle degli altri no. riguardo certe organizzazioni non mi sembra mai di aver sostenuto caste varie che sostengono il ritorno alla monarchia passando per il liberismo che serve appunto alla oligarchia delle caste di spartirsi i gioielli di stato. questo non ha nulla a che vedere con l'economia che crea ricchezza. è solo furto di ricchezza. cioè medioevo. per il mancato funzionamento dell'euro tu devi dare la colpa ai vari paesi e non all'europa e soprattutto alla germania che però prima o poi dovrà decidere se affondare per la terza volta o andare avanti.
La ricchezza reale viene prodotta anche dallo Stato?
RispondiEliminaLorenzo z.
Certo che sì. Sanità, istruzione, ordine pubblico, investimenti infrastrutturali non sono beni e servizi che hanno un valore?
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