sabato 10 gennaio 2015

Progetto Moneta Fiscale: assicurare la stabilizzazione finanziaria ed eliminare i rischi di insolvenza


Premessa

Senza cambiamenti profondi negli attuali meccanismi di conduzione delle politiche macroeconomiche, la crisi dell’eurosistema continuerà ad aggravarsi e a cronicizzarsi.

L’introduzione di una Moneta Fiscale nazionale (Certificati di Credito Fiscale / CCF) in affiancamento all’euro (in Italia e in tutti i paesi che hanno bisogno di ridurre le tasse, migliorare la competitività delle aziende, ed espandere la domanda) è in grado di risolvere le disfunzioni dell’eurosistema e di rimuovere, una volta per tutte, il dubbio che possa, prima o poi, verificarsi una rottura deflagrante della moneta unica.

Non viene richiesto, inoltre, ai paesi dell’ex area marco di accettare alti livelli di inflazione interna per riequilibrare la propria competitività rispetto al resto dell’Eurozona. Il riequilibrio di competitività dei paesi periferici avviene mediante assegnazione di Moneta Fiscale nazionale che va (in parte) a ridurre il cuneo fiscale che attualmente grava sulle loro aziende. La Germania, in particolare, non deve aumentare prezzi e salari interni: non subisce, quindi, perdite di competitività nei confronti dei paesi extra eurozona, né perdite di potere d’acquisto dei risparmi dei propri cittadini.

 

Esigenze di stabilizzazione finanziaria e di tutela dei creditori

L’attuazione del progetto Moneta Fiscale risulterà, com’è ovvio, enormemente facilitata se lo schema di riforma includerà una serie di meccanismi di tutela, che diano, ai creditori degli stati che introdurranno la Moneta Fiscale nazionale, ampie garanzie di essere rimborsati senza subire perdite né svalutazioni. Tutto ciò, fermo restando l’avvio di una forte ripresa di domanda, produzione e occupazione nell’intera Eurozona.

Nei paragrafi successivi, verranno sinteticamente delineate le principali possibili caratteristiche di questi meccanismi di tutela.

 

UNO: opzione di conversione dei titoli di Stato in circolazione in BTP fiscali

Al momento dell’introduzione della Moneta Fiscale nazionale, tutti i titolari di debito pubblico in euro ricevono un diritto d’opzione, che consente loro (senza peraltro creare alcun obbligo) di convertire i titoli in loro possesso in BTP Fiscali, cioè in titoli che pagheranno capitale e interessi in Moneta Fiscale e non in euro. I BTP Fiscali avranno scadenze più lunghe e tassi d’interesse più alti rispetto ai titoli in euro oggetto dell’opzione di conversione: per esempio tre anni in più di scadenza e un tasso maggiorato di due punti percentuali.

DUE: nel caso degli operatori finanziari istituzionali, condizionare l’assegnazione dei CCF all’esercizio dell’opzione di cui a UNO

Il progetto Moneta Fiscale prevede di assegnare gratuitamente, ogni anno, fino a un massimo di 80 miliardi di CCF ad aziende che operano sul territorio italiano, in funzione dei costi di lavoro da esse sostenuti. Questo riduce il loro costo del lavoro effettivo e riallinea la competitività delle aziende italiane con quella degli stati più efficienti dell’Eurozona.

Circa 3 miliardi su 80 sarebbero da assegnare a società che operano nel settore bancario, finanziario e assicurativo, che sono anche grossi investitori in titoli di debito pubblico. A queste società, i CCF verrebbero assegnati solo a condizione che esercitino la conversione di titoli di Stato in euro (quelli attualmente esistenti) in BTP fiscali, sulla base di un rapporto prestabilito. Ad esempio, un CCF del valore facciale di un euro potrebbe essere assegnato per ogni 10 euro di titoli di stato convertiti. Se questo si verifica, ogni anno l’ammontare di titoli in euro diminuisce (per questo solo effetto) per un importo fino a un massimo di 30 miliardi.

 

TRE: rifinanziamento del debito pubblico in scadenza mediante BTP Fiscali

TRE, nella maggior misura possibile, lo Stato italiano riduce (se possibile azzera) le emissioni di titoli di Stato in euro, emettendo invece BTP Fiscali.

 

QUATTRO: opzione di differimento dell’utilizzo di CCF e BTP Fiscali

Nel momento in cui CCF e BTP Fiscali giungono a scadenza (cioè arriva la data in cui diventano utilizzabili per pagare tasse e per onorare qualsiasi tipo di impegno finanziario verso la pubblica amministrazione), al titolare viene offerta la possibilità di non utilizzarli immediatamente, differendone, invece, l’impiego. In questo caso, viene riconosciuta una maggiorazione del loro importo sulla base di un tasso di interesse (per esempio il 3% annuo). L’interesse viene anch’esso riconosciuto sotto forma di Moneta Fiscale.

Ad esempio, un CCF per un valore di 100, utilizzabile a partire dal 1° luglio 2018, potrebbe essere impiegato per onorare impegni finanziari verso la pubblica amministrazione pari a 103 se l’impiego si verifica, invece, il 1° luglio 2019.

 

CINQUE: impegni al pareggio di bilancio e all’attuazione del Fiscal Compact confermati ma con riferimento ai saldi netti in euro e al debito totale in euro

Viene confermato l’impegno a pareggiare il bilancio pubblico, ma con riferimento al saldo tra spese e incassi in euro. Viene altresì confermato l’impegno a ridurre il rapporto debito pubblico / PIL secondo la progressione prevista dal Fiscal Compact, precisando però che il debito pubblico è quello vero, quello cioè da rimborsare in euro: CCF e BTP fiscali, quindi, esclusi.

 

SEI: clausole di salvaguardia

Nell’ipotesi, estremamente improbabile, che tutto quanto sopra esposto non funzioni (ovvero se l’introduzione dei CCF produce effetti espansivi su domanda e PIL estremamente scarsi, e se tutte le azioni sopra descritte, da UNO a QUATTRO, falliscono o danno risultati estremamente modesti), il governo italiano attiva clausole di salvaguardia, mediante una o alcune (in combinazione) delle modalità sintetizzate qui di seguito, da SETTE a NOVE.

 

SETTE (prima possibile clausola di salvaguardia): prelievo patrimoniale compensato da erogazione di Moneta Fiscale

Viene effettuato un prelievo patrimoniale straordinario, da corrispondersi in euro, compensato però dall’erogazione di Moneta Fiscale (CCF o BTP Fiscali) per un valore effettivo sostanzialmente equivalente.

Questa azione, fermo restando che è altamente remota l’ipotesi che si arrivi effettivamente ad adottarla, è enormemente più indolore rispetto a una pura e semplice imposta patrimoniale. Per esempio, in luogo di richiedere un contributo di 15.000 euro a una famiglia con un patrimonio complessivo di 500.000, si parlerebbe di prelevare i medesimi 15.000 euro attribuendo in cambio BTP Fiscali di pari importo. In pratica, non sarebbe un’imposta patrimoniale ma un obbligo di sottoscrizione di BTP Fiscali (liquidi, negoziabili e di valore economico in linea con l’importo pagato in euro).

 

OTTO (seconda possibile clausola di salvaguardia): parziale conversione di spesa pubblica in Moneta Fiscale

Una quota di spesa pubblica viene convertita da euro a Moneta Fiscale.

Anche questa azione è nettamente meno penalizzante rispetto a un puro e semplice taglio di spesa. Ridurre ad esempio del 2,5% le retribuzioni dei dipendenti pubblici – ad esempio da 2.000 euro a 1.950 mensili – ha pesanti effetti depressivi; continuare a pagare 2.000, salvo che 1.950 rimangono in euro e 50 si convertono in Moneta Fiscale, molto ma molto meno.

 

NOVE (terza possibile clausola di salvaguardia): incrementi di tassazione compensati da erogazioni di Moneta Fiscale

In questo caso si tratterebbe, per esempio, di incrementare l’IVA di un punto percentuale, attribuendo però ai soggetti che la versano un pari importo di Moneta Fiscale nell’occasione di ogni versamento.

Va ricordato che, dopo che tra il 2011 e il 2013 l’aliquota base IVA è aumentata dal 19% al 22%, la legge di stabilità approvata a fine 2014 prevede che, tra il 2016 e il 2018, possano automaticamente scattare ulteriori incrementi, senza alcuna compensazione, fino a un massimo del 25,5%. Questi incrementi si verificherebbero in scenari di andamento negativo del deficit pubblico, presumibilmente dovuti alla mancata ripresa dell’economia, e con ogni probabilità appesantirebbero ulteriormente la domanda interna (vanificando, come è regolarmente avvenuto nel recente passato, il beneficio sul gettito).

Un incremento di tassazione da versare in euro, compensato dall’erogazione di Moneta Fiscale, consente invece, anche in questo caso, di migliorare il rapporto tra spese e incassi statali annui in euro, senza peggiorare l’andamento economico generale.

 

Situazione finale

Si delinea in definitiva una struttura di riforma in seguito alla quale:

===> L’economia italiana ottiene un poderoso rilancio.

===> La competitività delle aziende italiane migliora immediatamente, evitando che il recupero della domanda interna crei squilibri nei saldi commerciali esteri.

===> Non si verifica nessun “frantumazione” della moneta unica europea.

===> Il debito pubblico italiano espresso in euro (quello, cioè, che può dar luogo a rischi di default) viene in pochi anni ricondotto a percentuali molto più basse rispetto al PIL. Nel medio termine, si può arrivare addirittura all’azzeramento di ogni forma di debito pubblico in euro.

===> Lo stato italiano può finanziarsi senza ricorrere a incrementi di debito in euro, erogando Moneta Fiscale sia in forma di CCF che di BTP Fiscali.

===> Si garantisce un altissimo livello di tutela ai creditori, eliminando dal novero delle possibilità concrete ogni ipotesi di default o di svalutazione.
===> Non si richiede ad altri stati dell’Eurozona, in particolare alla Germania, di inflazionare prezzi e salari interni: quindi né di perdere competitività verso i paesi extra eurozona né di far subire ai propri cittadini perdite di valore dei loro risparmi.

20 commenti:

  1. quindi se la vostra proposta non funziona lo stato esproprierà gli euro dei cittadini. ottimo rimedio per far alzare i consumi e i posti di lavoro.

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    1. Preferisce le clausole di salvaguardia previste oggi, che tolgono senza dare nulla in cambio ? E che hanno, al contrario dello schema descritto in questo articolo, altissime probabilità di essere attivate ?

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    2. sono sbagliate entrambe. se si vuole una moneta unica ci vogliono istituzioni unitarie europee e riforme nazionali. se invece si vuole tornare alla moneta nazionale ci vogliono riforme nazionali. sempre riforme sono.

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    3. Istituzioni unitarie europee nei fatti non le vuole nessuno.
      Riforme nazionali utili ce ne sono potenzialmente molte (tra cui a mio modesto avviso ben poche di quelle che sta cercando di attuare Renzi). Ma in un contesto economico pesantemente depresso NON si riuscirà a fare nulla di significativo, neanche se ci fossero le migliori idee e intenzioni. E' inutile dire prima riforme e poi moneta nazionale, è velleitario. Bisogna partire dal rilancio della domanda.

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    4. d'accordo. ma che piaccia o no la maggioranza ha votato a favore dell'europa. e anche se movimenti antieuropei dovessero arrivare al potere difficilmente si prenderebbero la responsabilità di far cadere una cosa così grande. del resto la massa ce l'ha con l'austerità non con l'euro.

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    5. La maggioranza a maggio ha (ancora) votato partiti pro establishment ma la situazione sta cambiando, e in quale direzione mi pare evidente. Che sia complicato spaccare l'euro poi non deve spiegarlo a me, visto che questo blog e' dedicato a un progetto di riforma dell'eurosistema senza spaccature. Ma che vada riformato, e profondamente, mi pare evidente. E in assenza di riforma, la spaccatura arriverà.

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    6. ma iniettare moneta velocizza la spaccatura come la svalutazione monetaria degli anni 70 non fece crescere l'economia ma l'inflazione e la disoccupazione. la riduzione delle tasse invece degli anni 80 fece salire l'economia. (riduzione di tasse senza stampare) se volete una riforma dell'eurosistema senza spaccature allora dovete proporre che sia la bce a stampare i ccf ma non i singoli stati.

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    7. Se stampa la BCE funziona, certamente, ma allora può emettere direttamente euro. Se non lo fa, devono emettere i singoli stati. E funziona altrettanto bene.

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    8. se emette direttamente euro svaluta gli euro. se invece emette ccf ed euro ci sarà un cambio tra i due. se invece ad emettere sono gli stati è necessario uno SME per i vari ccf per evitare barriere commerciali. cioè si torna al punto di partenza. e tutto questo senza affrontare i reali problemi europei ovvero i debiti sovrani e il sistema bancario che regge gli stati e governi. la lehman brother al confronto è un petardo rispetto alla bomba atomica.

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    9. La cosa su cui sono d'accordo è quella implicita nella sua ultima affermazione: il sistema così non regge...

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    10. le soluzioni ci sono ma sono gli stati nazionali che non vogliono accettarle.

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  2. nella parte finale si dice che verrà azzerato il debito pubblico ma allora sarà il privato a fare debiti. ma voi sostenete che sono appunto i debiti privati ad aver creato la crisi. non è una contraddizione?

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    1. Sarà possibile azzerare il debito pubblico perché lo Stato potrà finanziarsi emettendo CCF e BTP fiscali, che non sono debito (non essendo soggetti a rimborso) ma moneta (essendo accettati in adempimento di obbligazioni finanziarie verso la pubblica amministrazione). Non si può andare in default sulla Moneta Fiscale, appunto perché è moneta e non debito. Questo e' il punto chiave.

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    2. ma a quel punto a fare i debiti saranno i privati e non più lo stato. i debiti privati andranno in default (le crisi sono cicliche) e lo stato essendo lui emettitore di moneta dovrà accollarseli fallendo oppure cedendo la sovranità di stampare ccf ai creditori che lo salveranno. oppure sarà commissariata con l'austerità. dove sta la differenza?
      anonimo35

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    3. Se lo stato è emettitore di moneta, è sempre in grado di evitare dissesti sistemici prodotti da una crisi finanziaria stampandola e nazionalizzando aziende e banche. Come hanno fatto USA e UK dopo il 2008. E fermo restando che crisi di quel tipo non capitano (per fortuna) troppo frequentemente.

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    4. ma in quel caso diventi comunista statalizzando tutto. oppure stampi a volontà fallendo per inflazione. ci sono decine e decine di stati falliti pur avendo sovranità monetaria al mondo.

      usa e uk non nazionalizzano ma garantiscono la solvibilità. sponsorizzano o "noleggiano". l'azienda rimane privata. in italia invece la nazionalizzazione è appunto l'acquisizione da parte dello stato e la spartizione dei posti da parte dei partiti. c'è un abisso di differenza. ci sono casi di sponsorizzazione anche in italia ma impediscono la concorrenza e quindi sono paradossalmente anche peggio della nazionalizzazione.

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    5. USA e UK non hanno solo garantito solvibilità, sono entrati nel capitale, hanno acquisito diritti di conduzione delle aziende, poi le hanno rimesse sul mercato. Come la Svezia nei primi anni Novanta. A seguito di una crisi finanziaria di vasta portata succedono queste cose.

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    6. appunto, un abisso di differenza con le nazionalizzazioni intese come si intendono in italia. cioè statalizzazioni.

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    7. Veramente dal 1992 a oggi in Italia si sono viste solo privatizzazioni. E grandi miglioramenti di gestione proprio non li ho notati...

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    8. non sono privatizzazioni bensì "cessioni" di patrimoni pubblici a partiti o famiglie. invece di passare dallo stato al mercato (a tutti) si torna indietro alla monarchia (a pochi). ma le monarchie hanno un nemico, il popolo, che oggi si chiama mercato.

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