Presupposti
macroeconomici
In termini reali,
il PIL italiano 2015 è stato inferiore di circa 150 miliardi di euro rispetto
ai livelli raggiunti subito prima dell’inizio della crisi (2007).
Il progetto CCF
può essere attuato in dimensioni adeguate a far recuperare questo “vuoto” di
PIL.
Si può partire per
esempio nel 2017 con 30 miliardi di assegnazioni annue, e incrementarle
gradualmente fino a 120 nel giro di quattro anni.
Con un moltiplicatore
fiscale (*) di 1,25, un’azione espansiva della domanda di 120 miliardi genera,
appunto, maggior PIL per 150 (= 120 x 1,25). Rispetto all’attuale livello di
1.700 miliardi circa, questo equivale a un recupero del 9% circa, quindi 2%
abbondante all’anno.
(*) Il moltiplicatore fiscale
misura l’incremento del PIL reale prodotto da un’azione di politica economica
espansiva (maggiore spesa pubblica, minori tasse o azioni di qualunque natura
che incrementino il potere d’acquisto in circolazione). Nei dati riportati in
questa nota, si suppone che l’incremento annuo delle assegnazioni di CCF
produca un’espansione del PIL reale pari a 1,25 l’importo dell’incremento
stesso, ipotesi basata sulle stime prevalenti riferite a economie che
recuperano da un contesto di domanda depressa. Si veda tra
gli altri “Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers, Olivier Blanchard /
Daniel Leigh, IMF Working Paper, 2013: https://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2013/wp1301.pdf.
L’intervallo ivi
stimato è 0,90 – 1,70. Si è qui utilizzato il valore medio (1,30) ridotto a
1,25 per tenere conto di un effetto di attualizzazione del valore dei CCF
assegnati dovuto al differimento di due anni della loro utilizzabilità.
Poiché i CCF sono
utilizzabili come sgravi fiscali due anni dopo la loro emissione, gli utilizzi
resteranno inferiori alle assegnazioni in tutti gli anni precedenti il 2022:
Anno 2017 2018 2019 2020 2021 2022 e oltre
Assegnazioni 30 60 90 120 120 120
Utilizzi 0 0 30 60 90 120
Nell’anno in cui
la situazione va a regime (2022) oltre al beneficio di 150 miliardi (sul PIL
reale) sopra citato, è ragionevole mettere in conto che si sia prodotta
maggiore inflazione, grazie al generale contesto di ripresa economica e di
riassorbimento dell’output gap.
Ipotizzando un 1%
in più di maggiore inflazione, in sei anni si ottiene un ulteriore incremento
di PIL nominale pari a oltre 100 miliardi (1.700 x 6% = 102).
Complessivamente,
il PIL nominale a regime è quindi circa 250 miliardi più elevato per effetto
del progetto CCF. Poiché l’incidenza delle entrate pubbliche complessive è oggi
poco inferiore al 50%, 250 miliardi di PIL nominale in più producono, appunto,
all’incirca 120 miliardi di maggior gettito, compensando l’utilizzo dei CCF che
annualmente arrivano a scadenza (dal 2022 in poi).
Negli anni
precedenti al 2022, grazie allo sfasamento temporale tra assegnazioni e
utilizzi si creano addirittura eccedenze (maggior gettito lordo superiore agli
utilizzi di CCF), utilizzabili per accelerare il processo di riduzione del
rapporto debito pubblico / PIL. In sintesi:
ANNO
|
|
2017
|
2018
|
2019
|
2020
|
2021
|
2022
|
Maggior
PIL reale
|
38
|
75
|
113
|
150
|
150
|
150
|
|
Maggiore
inflazione cumulata
|
1,0%
|
2,0%
|
3,0%
|
4,0%
|
5,0%
|
6,0%
|
|
Effetto
delta inflazione su PIL
|
17
|
34
|
51
|
68
|
85
|
102
|
|
Maggior
PIL nominale
|
55
|
109
|
164
|
218
|
235
|
252
|
|
Pressione
fiscale lorda
|
47,5%
|
47,5%
|
47,5%
|
47,5%
|
47,5%
|
47,5%
|
|
Maggior
gettito lordo
|
26
|
52
|
78
|
104
|
112
|
120
|
|
Utilizzo
CCF
|
|
-30
|
-60
|
-90
|
-120
|
||
Maggior
gettito netto
|
26
|
52
|
48
|
44
|
22
|
0
|
Impianto normativo
A livello
normativo, il provvedimento di legge che definirà, anno dopo anno, le
assegnazioni di CCF, contemplerà anche una serie di interventi (in termini di
minori spese o di maggiori entrate fiscali), operativi nel medesimo anno in cui
i CCF diventano utilizzabili per conseguire sconti fiscali.
Questi interventi
verranno attuati solo nel caso (e nella misura) in cui l’effetto espansivo sul
PIL non produca, nei due anni intercorrenti tra le assegnazioni e gli utilizzi
dei CCF, maggior gettito fiscale in misura pari agli utilizzi medesimi.
E’, in effetti, un
meccanismo analogo alle “clausole di salvaguardia” adottate già da qualche
anno. Con, però, una fondamentale differenza: i CCF assegnati assumono la veste
di un titolo liberamente negoziabile e trasferibile, e costituiscono un
accrescimento immediato di potere d’acquisto e disponibilità patrimoniali per
chi li riceve (e anche un miglioramento di competitività per le aziende a cui
sono assegnati a riduzione del cuneo fiscale – vedi seguito).
Si noti che questo
impianto normativo smina qualsiasi obiezione in merito alla possibilità che
l’assegnazione di CCF produca maggiore indebitamento. Viene attuata,
contemporaneamente a partire dal 2017, un’azione di riduzione della fiscalità
(l’assegnazione dei CCF) e un’azione di uguale importo e di segno opposto sui
conti pubblici (le clausole di salvaguardia). Entrambe le azioni hanno la
stessa decorrenza temporale (il 2019) riguardo al loro effetto diretto sulle
finanze dello Stato. E’ quindi totalmente garantita la copertura del progetto
CCF.
L’importantissima
variazione, rispetto al modo in cui sono oggi utilizzate le clausole di
salvaguardia, è che nel frattempo si beneficia di due anni di espansione
riguardo a PIL, occupazione e gettito fiscale, più che sufficienti (sulla base
delle ipotesi sopra descritte) a “disinnescare” le clausole di salvaguardia
medesime.
Principi di
allocazione delle assegnazioni di CCF
In termini di
allocazione, le emissioni di CCF potranno essere suddivise in modo da far leva
su vari fattori di espansione della domanda interna e di miglioramento di competitività
del sistema produttivo italiano.
Su una dimensione
totale a regime di 120 miliardi annui, per esempio, si può ipotizzare una
ripartizione del tipo seguente:
Integrazione di
redditi da lavoro, 40 miliardi annui.
Assegnazioni alle
aziende a riduzione del cuneo fiscale, 40 miliardi annui.
Interventi di
spesa sociale, 20 miliardi annui.
Investimenti e
opere di pubblica utilità, 20 miliardi annui.
La componente
destinata alle aziende, a riduzione del cuneo fiscale si traduce in una
permanente riduzione dei costi di lavoro dipendente delle aziende pari al 9%
circa, tenuto conto che tali costi equivalgono oggi all’incirca a 450 miliardi
annui per l’intero sistema economico nazionale.
Questa riduzione
corrisponde a un beneficio della stessa percentuale per il CLUP medio delle
aziende italiane, e quindi a un incremento di competitività. Si ottiene il
risultato di incentivare le esportazioni e anche di far recuperare quote di
mercato interno ai produttori domestici, sostituendo importazioni di prodotti
manifatturati.
In questo modo si
eviterà che il recupero di domanda interna, che di per sé produce maggiori
importazioni, soprattutto di materie prime, causi squilibri nei saldi
commerciali esteri e limiti l’effetto espansivo del progetto CCF per quanto
attiene a PIL e occupazione.
Nessun commento:
Posta un commento