sabato 17 aprile 2021

Gli euroausterici e la Total Factor Productivity

 

Come noto a chi segue questo blog, gli euroausterici sono una setta di commentatori economici che negano a oltranza, a dispetto di qualsiasi evidenza contraria, che la stagnazione economica italiana abbia qualcosa a che vedere con l’euro, con le regole di funzionamento dell’eurozona e con le massicce dosi di austerità fiscale prescritte all’Italia prima per entrare a far parte del club della moneta unica, e poi per rimanerci.

La stagnazione italiana nasce da moooooolto prima, secondo loro. Tipo venti o trent’anni in anticipo rispetto al fatidico 1° gennaio 1999, data di nascita dell’euro.

Come si concilia tutto ciò con il fatto che il PIL procapite italiano, fino alla seconda metà degli anni Novanta, teneva il passo o addirittura guadagnava terreno rispetto alle medie UE15 ?


Elementare Watson, ci fa sapere il baldo euroausterico. In realtà è dal 1970 che la Total Factor Productivity è stagnante se non in declino.



Eccolo, eccolo, lo smoking gun ! ecco la causa profonda del declino economico italiano, svelata al mondo !

Oddio, ma cos’è questa Total Factor Productivity ?

La Wikipedia italiana ci viene in soccorso fornendo la seguente definizione: trattasi della “parte residua di output eccedente gli input di lavoro e capitale”. Di conseguenza “misura, generalmente, il grado di efficienza economica”.

Però ci mette anche alcune pulci nelle orecchie. Nel paragrafo “critiche alle TFP” si legge infatti che “già Abramowitz notava come in realtà il residuo così calcolato era alla fine il risultato non solo del cambiamento tecnologico e del miglioramento dell’efficienza produttiva, ma anche di una serie di possibili errori, come quelli di misura, quelli derivanti da aggregazione e quelli di errata specificazione del modello”. In definitiva risulta essere solo “la misura della nostra ignoranza”.

E in effetti, se è vero che la TFP italiana è piatta se non declinante dal 1970, com’è possibile che invece la produttività del lavoro tra il 1970 e la fine degli anni Novanta sia invece cresciuta ? e parecchio ?



(bloccandosi poi, guarda caso, in corrispondenza dell’euroaggancio… per ragioni che trovate commentate e analizzate in questo post).

L’euroausterico ha la risposta pronta. La crisi dell’economia italiana è stata per una trentina d’anni mascherata dal massiccio utilizzo di indebitamento. L’Italia non riusciva a stare il passo dal punto di vista di tecnologia e organizzazione produttiva, e “copriva” questo problema espandendo il debito. Quale debito ? ma il debito pubblico ovviamente, salito nel trentennio 1970-2000 dal 50% al 110% del PIL.

Il che equivale a dire che l’Italia riceveva ingenti risorse finanziarie che in qualche modo stimolavano la crescita del PIL, ma senza minimamente recuperare efficienza, fino al momento in cui “è arrivato il conto da pagare” (una delle frasi a effetto preferite dagli euroausterici).

Tutto chiaro ?

Mica tanto.

L’argomento crolla sull’affermazione che “l’Italia riceveva ingenti risorse finanziarie”. Se questo fosse il caso, l’Italia avrebbe sistematicamente generato grossi deficit nel saldo delle partite correnti. In altri termini, le esportazioni di beni e servizi e gli incassi per redditi finanziari e trasferimenti dall’estero avrebbero dovuto essere nettamente e sistematicamente inferiori alle corrispondenti voci di import e di pagamenti.

Il deficit nel saldo delle partite correnti corrisponde, ci insegna la partita doppia, a capitali che arrivano dall’estero a titolo di finanziamento o di investimento. Per poter spendere più di quanto produci, in altri termini, ti indebiti, o vendi pezzi di attività economiche nazionali a residenti esteri. Questo debito e queste vendite sarebbero risorse finanziarie esterne. E questo genererebbe un “conto” che prima o poi ti potrebbe venir chiesto di “pagare”.

Ma dando un’occhiata ai dati storici 1970-2000, relativi appunto al saldo delle partite correnti in percentuale del PIL, non si nota nulla di tutto questo.

Si notano invece oscillazioni tra saldi attivi e saldi passivi, con punte negative in corrispondenza delle crisi petrolifere del 1973 e del 1979 ma anche con un lungo e significativo periodo di surplus dopo la rottura della SME.

E infatti (fonte Eurostat) la Net International Investiment Position, il saldo netto tra investimenti e attività finanziarie italiane all’estero (da un lato), e le corrispondenti voci negative per flussi di non residenti verso il nostro paese (dall’altro) era, al 31.12.1998, in sostanziale equilibrio (-9,1% del PIL). Va tenuto conto che la NIIP di singoli paesi può tranquillamente raggiungere livelli compresi tra il 50% e il 100% del PIL. I dati più recenti evidenziano, ad esempio, -27% per la Francia, -66% per gli USA, -84% per la Spagna, -106% per il Portogallo, -176% per la Grecia.


Per cui, dove si vedono questa “droga finanziaria”, questi massicci capitali affluiti in Italia, che poi avrebbero creato il “conto da pagare” ?

Semplicemente non esistono.

Gli euroausterici fanno come di consueto una tremenda confusione tra debito pubblico e debito estero. La NIIP italiana all’ingresso nell’euro non era assolutamente a livelli passivi anomali (oggi è addirittura leggermente positiva).

Certo, lo Stato italiano generava deficit PUBBLICI e li finanziava con debito PUBBLICO. Avrebbe potuto, in parte o totalmente, monetizzarli, ma dal 1981 (divorzio Tesoro – Banca d’Italia) si è deciso di non farlo.

Ma a fronte del debito pubblico, i residenti italiani accumulavano risparmio finanziario privato. Era in buona sostanza una partita INTERNA al paese. Non c’era nessuna “droga” da risorse finanziarie provenienti dall’estero, nessun “conto” che prima o poi qualcuno avesse titolo a presentare.

C’è stata invece la scellerata decisione di entrare in un sistema monetario disfunzionale e di sottoporsi a politiche di compressione della domanda interna nonché a regole procicliche, che hanno prima (fino al 2008) rallentato la crescita italiana, poi (austerità inflitta al nostro paese a partire dal 2011) impedito di recuperare gli effetti della crisi finanziaria mondiale conseguente al fallimento Lehman.

E speriamo di non vivere un ulteriore incubo se errori analoghi venissero ripetuti post termine emergenza Covid.

Tornando agli euroausterici, la sintesi è molto semplice. Il loro è un processo di arrampicamento sugli specchi, finalizzato a negare di non aver capito nulla della crisi economica italiana – né a livello di diagnosi né di prescrizione dei rimedi.

Si appigliano quindi all’unico indicatore che sembra dar loro qualche credito – la fumosissima e inaffidabile TFP – per sviluppare una tesi che crolla miseramente a un’analisi minimamente più approfondita.

 


5 commenti:

  1. Grandissimo Marco Cattaneo. Articolo di livello alto suffragato da dati. Lo memorizzo e lo rilancio

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  2. Ho visto un documentario RAI in cui parlavano della nascita del capitalismo moderno dando i meriti a città simbolo come Londra new York e Amsterdam dicendo che Amsterdam è stata la prima a munirsi di una borsa finanziaria ecc ecc... ma in realtà il 90% delle operazioni nella finanza e in economia le hanno create i banchieri e mercanti italiani del medioevo e rinascimento o sbaglio ??
    Salvo

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