Giusto per cambiare un po’ argomento, rispetto ai temi di questo periodo (e di questo blog)…
La domanda di cui al titolo l’ha posta uno specialista di risorse umane, e la risposta mi è venuta chiara e immediata.
Le persone che nella mia vita professionale mi hanno dato e insegnato di più sono quelle che sanno far esprimere al meglio colleghi e collaboratori. Questo nello specifico significa:
UNO, valorizzare le qualità di coloro che ti stanno intorno, aiutandoli a trovare la loro migliore collocazione nel contesto organizzativo. Quella cioè che permette loro di dare il miglior contributo, di esprimere al meglio il loro potenziale. Capire se è stato schierato in attacco un potenziale bravissimo portiere che però non sa tirare – o viceversa; e nel caso aiutare il riposizionamento.
DUE, far sentire apprezzate le persone con cui si interagisce.
TRE, evidenziare i loro comportamenti inadeguati ma non per punirli o per farli sentire fuori posto, bensì per aiutarli a superare le loro attuali limitazioni.
Chi manca di queste tre caratteristiche non dà alcun contributo allo sviluppo dell’organizzazione. In casi estremi (ma neanche tanto) può addirittura distruggerla.
Il punto TRE è particolarmente importante. Tuttavia richiede anche un atteggiamento costruttivo da parte del “ricevente”, cioè di chi vede messa in evidenza l’inadeguatezza dei suoi comportamenti. Il ricevente deve capire se la controparte è in buona fede – se è genuinamente interessata ad aiutarlo. E se ha ragione nelle sue critiche: può non esserlo, ma il ricevente deve prendere sul serio, deve ragionare con equilibrio su quello che gli viene detto.
E deve essere pronto a mettersi in discussione. La reazione epidermica, umana, comprensibile, è “ti sbagli, mi sto muovendo nella maniera giusta, so meglio di te che cosa sto facendo”.
Invece è
assolutamente possibile che il “ricevente” sappia PEGGIO del suo interlocutore
“che cosa sta facendo”. Per il semplice motivo per molte cose sfuggono al
soggetto e sono invece chiarissime a chi lo osserva dall’esterno. Non perché quest’ultimo
sia necessariamente più competente, ma perché guarda alla situazione con un
distacco che il “ricevente” per definizione non può avere.
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