Su LinkedIn mi è capitato di leggere uno scambio di commenti tra operatori del settore finanziario (gestori di fondi, private bankers e simili) in merito all’inflazione giapponese.
Premetto che non sono intervenuto nello scambio come magari mi sarebbe piaciuto fare, per il semplice motivo che chi l’ha iniziato ha anche attivato una funzione che consente di commentare solo ai suoi contatti (non sapevo neanche esistesse – la funzione – del resto non sono un utente “massiccio” di social networks). Forse, probabilmente l’iniziatore / attivatore in questione ama dire quello che pensa ma non ricevere opinioni difformi dalla sua.
Lo scambio di opinioni finiva così per essere un darsi ragione vicendevolmente, nel sostenere le posizioni che io chiamo “euroausteriche”. Com’è tipico di chi opera in quell’ambito professionale (anche se ci sono eccezioni – io sono una di quelle).
Il tema era l’inflazione giapponese, che partita a inizio 2022 da livelli pressoché nulli, ha raggiunto il mirabolante (beh diciamo inusuale, per quel paese) livello del 3%. Questo come dato puntuale a settembre; la media dell’anno, secondo le ultime previsioni FMI, è stimata al 2% sia per il 2022 che per il 2023.
Il commento tipico era “visto !! è provato che la MMT non funziona ! l’inflazione giapponese sta andando fuori controllo ! i nodi stanno arrivando al pettine”.
En passant, l’affermazione che il Giappone “utilizza la MMT” sarebbe da discutere – ma andremmo fuori dal seminato, cioè dall’obiettivo di questo post. Diciamo che sicuramente il Giappone pratica lo yield curve control (YCC), cioè non permette al mercato di imporre i tassi d’interesse sul debito pubblico (pari al 260% del PIL, altro che il 150% scarso italiano…). La Bank of Japan fissa i tassi impegnandosi a comprare titoli a condizioni predeterminate. Il titolo di Stato decennale rende, oggi, l’0,24% e non è mai salito sopra il 2% da decenni.
Fare YCC non equivale a “utilizzare la MMT”, tuttavia non c’è dubbio che le tesi MMT portino alla conclusione che si può fare YCC senza alcuna conseguenza devastante né sull’inflazione né sul cambio della propria moneta.
E infatti il Giappone fa YCC praticamente da una generazione, e non solo l’inflazione non l’ha “devastato”, ma è rimasta inferiore alle medie dei paesi occidentali.
Ma adesso, ci fanno sapere i baldanzosi euroausterici, siamo cioè sono saliti al 3%. Signora mia dove andremo a finire !
Mi scuso se sono irriverente all’eccesso e non voglio essere offensivo nei confronti di nessuno, ma mi pare che qui si sia ampiamente perso il senso del ridicolo.
Il Giappone arriva al 3% e ci dicono che i “nodi della MMT stanno venendo al pettine”.
Il resto del mondo, dove i ministri e le banche centrali considerano la MMT un anatema – ammesso che sappiano cos’è, e quanto ai ministri ho qualche dubbio, almeno in alcuni casi – sta all’8%, al 10%, o livelli anche più alti.
Il commento che i dati suggeriscono, direi con inusuale chiarezza, è che lo YCC fa bene all’inflazione. Molto bene.
Mi sarebbe piaciuto chiedere agli euroausterici come possano aver totalmente rovesciato l’interpretazione dei dati. Dove in realtà da interpretare c’è ben poco.
Mi sarebbe
piaciuto chiederlo, gentilmente. Ma hanno bloccato i commenti…
Tiziano Tanari: Ritengo, oggi più che mai, che il problema di fondo è antropologico; non è comprensibile come faccia il cervello di tanta gente a funzionare così male da ribaltare completamente l'interpretazione della realtà, anche quando si manifesta nelle forme più elementari come in questo caso.
RispondiEliminaSì certe "argomentazioni", formulate peraltro da persone tutt'altro che incompetenti, si giustificano solo come effetto dell'appartenenza a un ben preciso gruppo sociale.
EliminaGiovanni Piva: Marco, in parole povere fanno come facevamo noi fino al 1981: viene fissato un tasso (concordato tra tesoro e BC) ...quello che il mercato nn assorbe, stampa bank of Japan e compra. Per me il ns declino o l'inizio del ns declino, è incominciato con il divorzio del 1981. Il debito prima e dopo il divorzio era in lire, ed era sempre garantito da bdi (anche se dopo il divorzio bdi lo garantiva solo sul secondario, che cmq faceva sì che fosse un debito sempre garantito). Il problema del divorzio fu che parte degli utili di grandi imprese private e pubbliche italiane nn vennero investiti più in ricerca, sviluppò, macchinari, occupazione, ecc ma in tds, in quanto il rendimento dei tds era maggiore del saggio di profitto nell'investire in azienda. Il mercato squilibra. Lo stato regola. La politica monetaria e la politica fiscale deve essere in mano allo stato, e nn al mercato/enti sovra statali.
RispondiEliminaGiovanni Piva: l'inizio è stato quello, ma la mazzata è stata convertire in moneta straniera un debito diventato alto per l'accumulo d'interessi - ma che se non avrebbe dato problemi se lasciato in lire.
Elimina