D. Allora Marco, come definisci questo tuo progetto
CCF, Certificati di Credito Fiscale ?
R. Uno schema di riforma del sistema monetario
europeo, che agisce sulla tassazione del lavoro e utilizza un nuovo strumento
monetario.
D. OK questa è la definizione… tu condividi l’opinione
che l’euro ha causato la crisi.
R. Sì, e non l’eccesso di debito pubblico. Il rapporto
debito pubblico / PIL italiano nel 2011 era intorno al 120%, come nel 1995. Nel
frattempo USA, Francia, Germania, Inghilterra dal 50-70% sono saliti all’80-100%.
Il Giappone dal 90% al 240%. In realtà abbiamo accorciato le distanze. Se il debito
/ PIL 1995 non era un gran guaio, perché lo è diventato nel 2011 ?
D. Ma nell’estate 2011 i tassi si sono impennati…
R. Il famoso spread. Da qui il sillogismo: se il
debito è costoso, significa che è troppo alto. La priorità quindi è ridurlo.
D. E invece ?
R. Invece il fenomeno è un altro. Dall’introduzione
dell’euro nel 1999, i costi di produzione e l’inflazione dei paesi nordeuropei
sono stati più bassi di quelli del sud. Il delta medio non è stato enorme, poco
più di un punto. Ma il cumulo ha prodotto una differenza del 20% circa.
D. Non è un merito dei tedeschi e dei loro vicini ?
R. E’ il frutto di una maggior disciplina, possiamo
chiamarla organizzazione, efficienza, moderazione salariale, alcuni dicono compressione
di diritti della forza lavoro. Non è una novità comunque, il Nord Europa ha
sempre avuto un’inflazione più bassa rispetto al Sud. In passato infatti le monete
del Nord si rivalutavano periodicamente.
D. Con l’euro invece…
R. Con l’euro si sono prodotti sbilanci commerciali e
quindi accumuli di crediti finanziari del Nord verso il Sud. A un certo punto
nei creditori è insorto il dubbio che il Sud finisse per diventare insolvente.
D. Ma è un problema di eccesso di consumi al Sud ?
R. Sì, ma non è una storia di formiche e di cicale. Se
il Sud diventa meno competitivo produrre lì conviene di meno. Se il Nord
accumula eccedenze le deve impiegare, e dove ? finanziando consumi al Sud. Se
mi riesce difficile produrre ma mi finanziano per consumare, produco meno a
parità di consumi – non perché sono uno scialacquatore ma perché incentivi e
disincentivi portano a quello.
D. A un certo punto i creditori cominciano a temere
che i soldi non torneranno indietro…
R. O ne torneranno meno, perché ci saranno dei
default, o il Sud dovrà abbandonare l’euro e convertire i debiti in moneta
svalutata. E il timore riduce le quotazioni del debito del Sud. Un BTP o un
Bonos spagnolo per esempio a fronte di un valore di rimborso di 100, cala a 80.
D. E quando devo emettere nuovi titoli…
R. …li colloco a 80 e il costo effettivo del debito sale.
D. Sono andati in crisi i paesi dove i costi erano
cresciuti, non necessariamente quelli con il rapporto debito pubblico / PIL più
alto.
R. Infatti in Spagna e in Irlanda il debito pubblico
era molto basso.
D. Le azioni promosse dall’Unione Europea e dal
Governo Monti non sono state un successo.
R. Si è agito come se i problemi maggiori fossero il finanziamento
del debito pubblico e l’eccesso di spesa: tagli e tasse a fronte della promessa
di intervenire per calmierare il costo del debito, con i vari LTRO, ESM, OMT.
D. Lo spread è sceso…
R. Prima quando con l’LTRO la BCE ha fornito alle
banche, italiane e spagnole soprattutto, soldi per comprare grosse quote di
debito pubblico. Esaurito l’effetto, nell’estate 2012 si era tornati ai livelli
“ante-Monti”. Draghi ha allora annunciato l’OMT, un programma che mette a
disposizione risorse illimitate per calmierare il costo del debito pubblico, a
fronte di impegni da meglio precisare che consisteranno comunque in ulteriori tagli
e tasse.
D. Tutte queste politiche di austerità comprimono
consumi, domanda e produzione.
R. Il PIL è caduto del 2,5%, nel 2013 calerà ancora e
non c’è inversione di tendenza in vista.
D. L’euro è all’origine del problema. Tu però proponi
una cosa diversa dall’uscita dall’euro.
R. L’euro è all’origine del problema perché manca di
flessibilità. Paesi diversi hanno dinamiche di prezzi e costi diversi. Le
valute nazionali e i cambi flessibili erano l’ammortizzatore che compensava gli
squilibri, il riduttore – direbbe un ingegnere meccanico – che trasmetteva il
movimento senza sfridi tra ingranaggi che ruotano a velocità diverse.
D. Si dice: con le valute nazionali i paesi in
difficoltà svalutano il cambio, con la moneta unica devono svalutare i salari.
R. E svalutare i salari è una strada lunga, dolorosa,
iniqua, antisociale. E destinata a fallire, perché crea un circolo vizioso:
tagli, tasse, meno consumi e produzione. Il gettito dovuto alle maggiori tasse
viene eroso dal calo di base imponibile, il credito si blocca, le imprese non
hanno risorse per investire e diventare più efficienti. Anzi spesso delocalizzano
o chiudono.
D. Fin qui, parli come chi non vede alternativa, per i
paesi in difficoltà, all’uscita dall’euro.
R. Per lungo tempo ho pensato che fosse una via
obbligata. Ma in effetti, oltre a svalutare la moneta o svalutare i salari, una
terza possibilità per riequilibrare i costi tra Nord e Sud c’è: abbassare la
fiscalità sul lavoro.
D. Il cuneo.
R. Esatto. Proposte ne stanno circolando, ma gli
importi di cui si parla fanno sinceramente ridere. Centinaia di milioni, uno o
due miliardi. Numeri irrilevanti rispetto al problema.
D. Quali sono gli ordini di grandezza necessari ?
R. In Italia i costi di lavoro lordi annui sono quasi
1.000 miliardi di euro. Al netto di tasse e contributi, i lavoratori ne
percepiscono circa 500. Bene, immagina un intervento che abbatte del 10% il
costo lordo per l’azienda – 100 miliardi - e aumenta del 10% il reddito netto
per il dipendente – 50. Sono 150 in tutto.
D. Ma come finanzi questi 150 miliardi ?
R. Qui entra in gioco lo strumento tecnico, i
Certificati di Credito Fiscale - CCF. Aziende e dipendenti continuano a versare
gli stessi euro di prima per tasse e contributi. Ma ricevono nello stesso tempo
questi CCF.
D. Per il 10% degli importi, dicevi…
R. Immagina che il tuo stipendio netto sia 30.000 euro
all’anno, mentre al lordo di tasse e contributi al tuo datore di lavoro ne
costi 60.000. Tu dipendente continui a percepire i 30.000, e in aggiunta lo
Stato ti assegna un Certificato per 3.000 d’importo. L’azienda continua a
pagare in tutto 60.000, ma lo Stato italiano gli assegna un Certificato per
6.000.
D. Va bene, e con questi Certificati che cosa facciamo
?
R. I Certificati sono utilizzabili per qualsiasi
pagamento dovuto allo Stato, a partire da due anni dopo la loro emissione. Ad
esempio, nel 2013 ti arrivano Certificati per 3.000 euro. A partire dal 2015,
potrai usarli per pagare tasse, imposte, ticket sanitari… perfino multe.
D. In un certo senso è un forte sgravio fiscale sul
lavoro, ma con effetti differiti.
R. Esatto. Però lo sgravio assume le vesti di un
titolo, che può essere negoziato. Se non ho bisogno dei soldi subito, mi tengo
i Certificati. Se no li vendo: poiché hanno un valore certo, realizzabile a due
anni, sarà possibile comprarli e venderli alle condizioni di un titolo di
Stato, con uno sconto basato sugli interessi di mercato.
D. Hai detto che i Certificati sono uno strumento
monetario, che cosa intendi ?
R. Se lo Stato emette titoli che si impegna ad
accettare per qualsiasi pagamento, si tratta a tutti gli effetti di moneta.
L’unica differenza rispetto al contante tradizionale è che l’utilizzo è
spostato nel tempo, di due anni come dicevo.
D. E perché questo differimento temporale ?
R. Perché nel momento in cui vengono utilizzati, i
Certificati riducono gli incassi statali. Questo non è un problema se nel
frattempo il livello dell’attività economica, il PIL, è cresciuto, e quindi ci
sono maggiori introiti che compensano l’utilizzo dei Certificati.
D. Sei convinto che l’introduzione dei Certificati di
Credito Fiscale produrrà una forte ripresa.
R. Certo, in quanto ci sarà una forte riduzione dei
costi aziendali, quindi maggiore competitività, e insieme molto più potere
d’acquisto per i singoli. Questo produce in tempi molto rapidi una crescita di
domanda sia interna che estera.
D. Come fai a esserne così certo ?
R. Guarda cos’è successo da novembre 2011 a oggi.
Monti ha aumentato le tasse e immediatamente c’è stata una caduta pesante di
domanda, consumi e produzione. Qui si agisce esattamente nel senso inverso.
D. In pratica, stai finanziando un abbassamento delle imposte
emettendo qualcosa di equivalente alla moneta.
R. Proprio così. Si tratta però di una “simil-moneta”
utilizzabile nei confronti dello Stato italiano, non in tutta l’area euro. La
Germania e gli altri paesi del Nord non hanno una situazione di domanda
depressa, quindi non servono azioni di stimolo lì.
D. Però fammi capire… lo Stato italiano si impegna ad
accettare questi Certificati in futuro… non è una forma di debito ? l’Unione
Europea non ce lo contesta ?
R. No, perché l’Italia non si impegna a rimborsare i
Certificati in cash, ma solo ad accettarli in pagamento: la differenza tra
debito e moneta è proprio questa. D’altra parte il tema chiave, per i partner
europei e i mercati, è la capacità di soddisfare il debito da pagare cash. La
ripresa dell’economia migliora fortemente questa capacità.
D. L’Unione Europea oggi viene vista come un cerbero,
un controllore severo…
R. Non mi farei paranoie. Le pressioni che ci sono
state fatte, chiamiamole imposizioni se vogliamo, sono andate di pari passo con
nostre richieste, o con necessità di garanzie, di interventi della BCE. Qui non
stiamo chiedendo nulla a nessuno, stiamo introducendo uno strumento di gestione
della nostra economia.
D. Dopo i primi due anni, l’utilizzo dei Certificati
ridurrà le entrare fiscali. Effetto però compensato dai maggiori livelli di
attività economica, dici tu. Se così non fosse saranno necessari degli
interventi.
R. Questa comunque è una responsabilità dei singoli
Stati. L’unione fiscale, la transfer union non esistono. Si dice: ogni Stato
deve fare ordine in casa propria. Bene, ma allora deve anche dotarsi degli
strumenti per portare l’economia a regime. Perché è socialmente, economicamente
giusto, e anche perché la miglior tutela dei creditori è che i paesi finanziati
tornino a sani livelli di attività e di sviluppo economico.
D. Hai una stima del recupero di PIL consentito dall’introduzione
dei Certificati ?
R. Stiamo parlando di emissioni annue per circa 150
miliardi, poco meno del 10% del PIL italiano. Guarda caso, questo è anche il cosiddetto
“output gap”, la differenza tra PIL effettivo e PIL potenziale, quello che
avremmo in buone condizioni di attività economica – quelle del 2007 per
esempio. E’ il recupero a cui si può puntare in un paio di anni.
D. Quando si è formato questo “output gap” ?
R. Nel 2009, quando il PIL è sceso del 5% per la
“crisi Lehman”, e nel 2012, -2,5% a
causa delle politiche di austerità. In questi due anni si è perso il 7,5%
quando, anche a essere pessimisti, l’economia italiana dovrebbe svilupparsi a
tassi medi oltre l’1% annuo, grazie alla crescita demografica, all’innovazione
tecnologica. Tra 2009 e 2012 si è perso il 10% rispetto al trend, senza
recuperi significativi negli altri anni. Nel 2013 abbiamo forti probabilità di
accumulare un altro 2% di ritardo.
D. L’intervento sul cuneo fiscale svolge funzioni
simili a un riallineamento valutario…
R. Sì, perché in un sistema di cambi flessibili, i
paesi più competitivi rivalutano. Questo riequilibra i costi di lavoro per
unità di prodotto. Qui otteniamo un effetto analogo per un’altra via.
D. Sembra la macchina del moto perpetuo…
R. In realtà l’Italia può introdurre questa
innovazione proprio perché ha già effettuato forti interventi su pensioni, IVA,
benzina, IMU. Queste azioni hanno senso se dall’altro lato si sgrava il lavoro:
utilizzo risorse prelevate da consumi e patrimoni per ridurre la fiscalità sul
lavoro e renderlo più competitivo. Monti ha fatto la prima cosa ma non la
seconda, ha somministrato la medicina amara ma non il ricostituente…
D. Gli mancava lo strumento, i Certificati di Credito
Fiscale…
R. Sì, e
partiva dal presupposto che il problema di brevissimo termine dei conti
pubblici fosse di gran lunga il più importante. Invece non c’è soluzione
stabile se non si risolve il tema competitività.
D. Bene… a questo punto una domanda: perché preferisci
questa soluzione rispetto all’uscita dall’euro, pura e semplice ?
R. Guarda, mi è perfettamente chiaro che l’euro è nato
con difetti strutturali, e infatti tanti prestigiosi economisti hanno previsto
con anni di anticipo quello che sarebbe accaduto. Vorrei svegliarmi domattina scoprendo
che è stato un brutto sogno, che l’unione monetaria non si è mai fatta… Però
c’è e il punto diventa: qual è la via più facile per ridare flessibilità al
sistema e renderlo efficiente ? Permettimi una precisazione.
D. Prego.
R. Non ho dubbi che l’uscita dall’euro sia attuabile: gli
impatti negativi di cui si continua a vociferare – crollo dell’economia,
megainflazione – sono pure fantasie. Esistono però gruppi di interesse molto
forti che remano contro. Puoi dire che “non è giusto”, ma la loro capacità di
influenza, di blocco, è forte. Il rischio è che si prosegua con la logica dei
“cerotti”, del fare il minimo per tamponare gli effetti negativi e tirare
avanti, senza risolvere le cause. E’ quanto temono ad esempio George Soros e
Paul Krugman: si va avanti anni con un’economia italiana, anzi del Sud Europa,
che non crolla, non c’è default sul debito pubblico, ma rimane permanentemente
depressa, con alti livelli di disoccupazione, di malessere sociale.
D. E questi gruppi d’interesse…
R. In sintesi sono tre, vediamoli uno alla volta
spiegando perché la soluzione Certificati di Credito Fiscale è molto più
accettabile, per loro, rispetto alla rottura dell’euro.
Il primo sono gli organismi europei, la commissione,
la BCE. Non dico che il progetto Certificati li entusiasmerà perché ricrea
autonomie a livello nazionale. Loro spingono il disegno di centralizzazione, il
“più Europa”… Però è enormemente meglio del break-up dell’euro – per esempio,
per la BCE meglio un euro riformato che un euro che scompare !
D. Poi ci sono i creditori internazionali, immagino.
R. Naturalmente, e per loro tutto quello che riduce il
rischio di default di singoli stati, o di fuoriuscite che implicano il rimborso
in una moneta svalutata, evidentemente è positivo.
D. Fammi indovinare, il terzo gruppo sono gli
industriali tedeschi, del Nord Europa. Loro non vedranno di buon occhio il Sud
che torna competitivo.
R. Ma ancora una volta il confronto è tra due scenari,
la riforma “morbida” del sistema e l’euro che si spezza. Nel secondo caso si
trovano con una moneta – Euro Nord, Euro Residuo, Nuovo Marco – rivalutata e
perdono competitività verso il resto del mondo.
Con la riforma “morbida”, no.
D. Perdono però competitività nei confronti del Sud.
R. Ma i surplus commerciali Nord-Sud già si stanno
riducendo, quindi anche lo status quo non è più così interessante.
D. La riduzione degli squilibri non indica che i
problemi si stanno risolvendo ?
R. No, perché è dovuta al Sud che è caduto in
depressione economica e ha contratto pesantemente l’import. Gli scambi devono equilibrarsi,
ma a fronte di un buon livello di attività economica, non perché il PIL dei
paesi deficitari crolla. Il progetto Certificati rende le aziende del Sud più
competitive e nello stesso tempo aumenta il potere d’acquisto interno. L’Italia
esporterà di più ma comprerà anche di più, incluso dalla Germania. Ci sarà un
riequilibrio commerciale, ma a livelli di attività ben più alti.
D. Hai detto aziende del Sud, Sud Europa immagino, non
solo Italia.
R. Sì: i Certificati possono essere introdotti in tutti
i paesi in deficit di competitività rispetto al “centro”, alla Germania in
primis. Ogni nazione può adattare l’intervento alla sua situazione e ai suoi
delta di costi di lavoro per unità di prodotto. I paesi chiave oltre all’Italia
sono la Spagna e anche la Francia, che è in una situazione intermedia tra Italia
e Germania e dovrebbe quindi attivare lo schema Certificati, ma in proporzioni
meno accentuate.
D. Forse la Grecia ha una situazione troppo pesante
per essere recuperabile…
R. In Grecia servirà, credo, un ulteriore intervento
sul debito. Comunque se si ripristina una maggiore competitività sarà possibile
renderla almeno parzialmente solvibile. Oggi si continua a negare l’evidenza.
Ogni x mesi ci si accorda su tagli di interessi, allungamenti di scadenza
eccetera con l’economia che va sempre peggio, senza alcun segnale di svolta.
D. Alla fine avremo un sistema sostenibile ed
efficiente.
R. Ne avremo creato le condizioni, perché si sarà
introdotta una leva di intervento, di flessibilità che permette di armonizzare
le varie situazioni. Avremo fatto uscire l’Italia e il Sud Europa dalla
depressione. E rimosso il maggior fattore di instabilità economica che esiste
oggi nel mondo, non solo in Europa.
Allora, fatemi capire che sono duro. Oggi, in questo preciso momento, in Italia c’è recessione a causa della deflazione salariale. Lo stato fra due anni mi da un “rimborso” del 10% di tasse (peraltro solo se lavoro) ed io dovrei spendere oggi i soldi, che non ho, perché li avrò fra due anni? Per di più questi soldi, sempre fra due anni, devo darli ad una banca che me li sconti, perché le tasse io, dipendente o pensionato, le pago con trattenute sulla busta paga. Oppure, secondo il progetto, dovrei scontarli subito, regalandone metà alla banca, per poi spenderli? Mi pare una cattiva rielaborazione dei "MEFO bond" inventati nel 1934 dal ministro del Tesoro nazista
RispondiEliminaHjalmar Schacht. Ma quale meccanismo poi curerebbe la deindustrializzazione in corso e la relativa disoccupazione? Gli squilibri strutturali e i disavanzi commerciali si curano meglio (o sono troppo timido e devo dire solo?) con trasferimenti fiscali generosi o (e meglio per tutti) con l’elasticità del cambio.
Perchè scontandoli si dovrebbe regalarne metà alla banca ? lo sconto sarebbe di pochi punti percentuali, in pratica sono BOT a due anni.
RispondiEliminaE' vero che c'è un'analogia con i MEFO bonds di Schacht, che infatti funzionarono benissimo.
Squilibri e disavanzi si curano perchè immediatamente il costo del lavoro per unità di prodotto si riallinea a quello tedesco.
Quanto all'elasticità del cambio, cioè al ritorno puro e semplice alla moneta nazionale, a me va benissimo: i CCF sono l'alternativa se non ce ne fosse la volontà politica. Cosa possibile perchè i titolari di attività finanziarie italiane (che non sono solo i creditori esteri dell'Italia, ma anche i cittadini italiani) fanno resistenza, e non è scontato che si riesca a superarla.
http://www.youtube.com/watch?v=N-xQpQhoIWE
RispondiEliminaClaudio Borghi parla di nuovi TDS della durata di 2 anni che possono essere utilizzati, a scadenza, per pagare le tasse.... a me ricorda la sua proposta
È esattamente la stessa. Borghi mi cita durante l'intervento, se ci fa caso.
EliminaDentro all'euro o fuori dall'euro ? Due strade che porteranno sicuramente allo sfascio entro breve.
RispondiEliminaPerché invece non creare una moneta parallela restando pienamente nella zona euro e rispettando
tutti i trattati?
La crisi è nata dalla mancanza di denaro che ha fermato il lavoro e non viceversa. Basterebbe immettere denaro nella base monetaria per far ripartire il lavoro. Ma come?
Poniamo che si voglia partire dai debiti che lo stato ha nei confronti delle imprese. 71 miliardi.
Lo stato potrebbe creare un nuovo strumento finanziario simile all'assegno circolare, garantito
dalla banca centrale come i bot. Un assegno convertibile in euro al 96% del suo valore a 90 giorni dopo che si è messo all'incasso ma che per legge può essere subito speso all'interno dei nostri confini come moneta corrente. Naturalmente il termine assegno è puramente simbolico in quanto
come ogni moneta si può usare elettronicamente. Una moneta parallela garantita alla pari dell'euro
e convertibile sempre e comunque.(tranne una piccola percentuale) Si dovrebbe fare una campagna per spiegare che è vantaggio di tutti usarla come moneta corrente perché aumenterebbe la base monetaria in circolazione, ben sapendo che anche se venisse riscattata tutta, a differenza dei bot che costano in interessi, questa moneta al contrario renderebbe
Si potrebbe così saldare subito i 71 miliardi a costo zero immettendo denaro fresco. Dopo di che si potrebbe continuare ad emettere questo Super euro fino all'uscita della crisi dosando l'emissione in modo da non creare inflazione ne recessione.
Ma se ci riflette un attimo, i CCF funzionano grosso modo come dice lei... con un dettaglio in più, importante: vengono utilizzati soprattutto per compensare (quindi ridurre, nella sostanza) il cuneo fiscale sul lavoro. Questo riallinea il costo del lavoro per unità di prodotto italiano ai livelli nord europei, e assicura l'equilibrio dei saldi commerciali. Che è necessario per rendere il sistema stabile nel tempo.
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