Molta turbolenza
(per usare un eufemismo) in borsa sulle quotazioni delle banche italiane, ma
anche per la verità degli altri paesi europei. Dai commenti di vari addetti ai
lavori si percepisce moltissima emotività: come quasi sempre, in questi casi, probabilmente
sproporzionata rispetto a quanto sta per accadere.
La mia lettura
della situazione è che nel giro di qualche settimana si troverà una soluzione
che consisterà nell’ennesimo cerotto. Niente rottura dell’euro, niente intervento
del Meccanismo Europeo di Stabilità con troika al seguito. Verrà consentita un’operazione
di ricapitalizzazione di MPS e probabilmente di alcuni altri istituti, con
soldi pubblici (che incideranno sul debito pubblico, ma resteranno al di fuori
del calcolo del deficit annuo).
Non verrà attuata
nessuna procedura di bail-in che vada a toccare depositanti e obbligazionisti
ordinari. L’oggetto del contendere, nel dibattito tra governo italiano e
commissione UE, pare essere in che misura debbano essere penalizzati gli
obbligazionisti subordinati.
Una proposta molto
interessante al riguardo l’ha fatta Claudio Borghi: garantire agli
obbligazionisti subordinati il prezzo d’acquisto. Chi ha pagato 100 rimane con
100, chi ha comprato a 30 la stessa obbligazione (del valore nominale di 100)
se la vede decurtata a 30. Riduce il valore nominale ma non ha perdite rispetto
al prezzo pagato.
Da quello che si
sente dire, sarebbe una proposta almeno in parte in linea con la posizione della commissione
UE, che è di tutelare gli investitori retail (i piccoli individuali, in altri
termini) i quali generalmente hanno acquistato prima che la normativa bail-in
entrasse in vigore, e pensavano quindi di aver effettuato un investimento
sicuro come (in passato…) le obbligazioni bancarie sono sempre state. E di far
subire una perdita agli investitori istituzionali, in particolare agli
operatori speculativi, che hanno acquistato a prezzi più bassi da novembre 2015
in poi – dopo, cioè, che l’esplosione dei casi Etruria – Chieti – Carife – Marche
ha fatto crollare i valori delle obbligazioni (specialmente subordinate) di
tutto il sistema.
In effetti, la
proposta Borghi non comporta perdite (per gli operatori speculativi) rispetto
al valore d’investimento: quindi è migliorativa (sempre per loro) rispetto alla
posizione UE. Ottiene comunque l’effetto di ricapitalizzare le banche
interessate, perché se il valore contabile di una passività (l’obbligazione
subordinata) viene ridotto, si incrementa il patrimonio netto.
Tutto l’oggetto
del contendere sarebbe quindi se la commissione UE si accontenta di questo o
chiede una “libbra di carne” in più agli investitori istituzionali – da un
lato. E se – dall’altro - agli investitori istituzionali medesimi basta fare
pari e patta, o insistono per uscire comunque con un utile (nell’esempio sopra,
accettano la riduzione del nominale per esempio a 50 ma non a 30). Qualcuno di
loro presumibilmente si sta agitando per migliorare la sua posizione facendo
leva sulla sua “limitrofia” al presidente del consiglio (ogni riferimento a
Davide Serra di Algebris è completamente privo di qualsiasi casualità).
Una volta definiti
questi temi di vil denaro, rimane quello (sempre di vil denaro si tratta) di
stabilire quante banche debbano essere ricapitalizzate mediante iniezione di
fondi (in aggiunta agli stralci di passività) e per quali importi. Ho letto di
stime effettuate da Goldman Sachs che parlano di 40 miliardi per l’intero
sistema bancario italiano. Secondo la banca d’affari USA sarebbe un livello
adeguato a soddisfare le richieste della BCE, o per essere più precisi della European Banking Authority (EBA).
Ora, non ho
ovviamente dubbi che in Goldman Sachs lavori gente che sa fare bene i conti. Il
problema è che l’adeguatezza o meno dell’importo di 40 miliardi dipende dal
futuro livello di redditività delle banche, e in particolare dal fatto che
emergano ulteriori sofferenze nel portafoglio crediti, o che il loro livello
invece si stabilizzi o addirittura cali.
Nel primo caso,
tra l’altro, lo stato italiano si ritroverebbe con partecipazioni che perdono
di valore e con il rischio di dover effettuare ulteriori interventi in futuro. Nel
secondo, ci si potrebbe invece trovare nella felice situazione degli USA post
intervento “TARP” effettuato tra fine 2008 e inizio 2009: acquisire cioè quote
bancarie che recuperano valore e possono essere rivendute in tempi non lunghi,
addirittura con un profitto.
E qui torniamo al
tema chiave: l’intervento che si andrà a effettuare nelle prossime settimane è
un costoso cerotto che non risolve il problema, lo rimanda solo di non molti mesi, se l’economia non recupera. E’ invece un intervento sensato se (e solo se) si
avvia un processo di ripresa per domanda, occupazione e PIL.
So di essere ripetitivo, ma si ritorna alle solite
considerazioni: tutto quanto sopra ha senso a condizione che la ripresa parta,
e la ripresa parte solo se l’Italia si svincola dalle costrizioni dell’attuale
Eurosistema.
I neoliberisti e gli ortodossi sostengono che dietro al problema delle banche ci sta la politica italiana con le sue fondazioni bancarie (tacendo o sussurrando il problema dei derivati e dell'eccessiva finanziarizzazione).
RispondiEliminaÈ così? Siamo messi male a causa del troppo potere della politica nelle banche o è vero il contrario,ossia che i banchieri sono troppo liberi di autorizzazare operazioni finanziarie azzardate a scapito dei correntisti e del popolo nel caso in cui le cose vadano male?
Quei problemi c'erano anche prima e alcuni - gli eccessi di finanza speculativa per esempio - molto meno che altrove. La situazione del sistema bancario italiano oggi è tutta spiegata da otto anni di depressione, risolvibilissima introducendo domanda nel sistema economico. Il che richiede però di svincolarsi dall'Eurosistema.
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