I tedeschi e gli
altri paesi del Nord eurozonico continuano a mostrarsi terrorizzati dal rischio
di dover rimborsare il debito pubblico italiano. O in alternativa, dal rischio
di un catastrofico scenario di default, con i suoi effetti a catena sull’intero
sistema finanziario europeo e mondiale.
I piani proposti
dalla UE (MES, SURE, BEI, e dulcis in fundo il Recovery Fund) NON sono,
tuttavia, in alcun modo soluzioni minimamente sensate per questo problema. Sono
sostanzialmente partite di giro: soldi erogati a fronte di contributi o
garanzie che gli stati stessi devono fornire. Interessano solo chi vuole assoggettare,
ancora più di oggi, la politica economica italiana alle istruzioni di Bruxelles.
Istruzioni che
non hanno minimamente migliorato la situazione della finanza pubblica italiana;
in “compenso” hanno devastato il tessuto economico del paese.
Evitare il
default è tecnicamente semplicissimo. Basta che la BCE garantisca
incondizionatamente il debito pubblico italiano (e degli altri paesi).
Ma il sostegno
illimitato della BCE contrasta con i trattati. Una soluzione parziale è stata
partorita da Mario Draghi con il “whatever
it takes”, con un gioco di equilibrio su un crinale estremamente stretto.
Così stretto che
la recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca ha sollevato pesanti
dubbi sulla costituzionalità (ai sensi della legge fondamentale della Germania)
della partecipazione Bundesbank ai programmi BCE. E’ stato, di conseguenza, avviato
un percorso che potrebbe addirittura portare alla spaccatura dell'Eurozona.
Il che sarebbe
una via per risolvere il problema. Ma dal nostro punto di vista, come Italia,
siamo spettatori passivi di queste dinamiche.
Se per problemi
operativi e politici il break-up dell’euro non è un’alternativa percorribile,
rimane una sola possibilità.
L’avvio, da
parte in primo luogo dell’Italia, di un programma di Moneta Fiscale,
dimensionato in maniera tale da portare domanda, produzione e PIL a livelli di
piena occupazione delle risorse produttive.
Unito a ciò,
impegno inderogabile a ridurre il rapporto debito pubblico / PIL, anno dopo
anno, per esempio dal livello stimato per fine 2020 (160%) al 60% nel giro di
vent’anni. Che poi è l’obiettivo del Fiscal Compact.
La Moneta
Fiscale non rientra nel debito pubblico. E' un non-defaultable asset. Non è debito da rimborsare in euro. Non è debito
ai sensi dei principi contabili. Non è debito ai sensi dei trattati.
Se l’Italia ne emetterà in eccesso (eventualità peraltro remotissima), potrà al massimo esserci in problema di svilimento della Moneta
Fiscale, non un rischio di default.
I mercati
finanziari, in presenza di un debito defaultable
dell’Italia che cala costantemente in proporzione al PIL, non potranno che
tranquillizzarsi.
E l’Italia,
finalmente, avvierà una potente e duratura ripresa produttiva e occupazionale.
Altre vie per
uscire dal vicolo cieco attuale semplicemente non esistono.
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